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10 dati curiosi sugli anni 20

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Gli anni 20 furono un’epoca di rottura con la tradizione, ricca d’innovazioni e di cambiamenti dove per la prima volta la donna diventa la protagonista e noi vi raccontiamo dieci dati interessanti e curiosi su questo periodo.

 

  1. Grazie alla prima guerra mondiale, dove tutta la realtà era cambiata di colpo, le donne, che ora guadagnavano denaro con i nuovi mestieri che eseguivano al di fuori dalle mura domestiche, iniziarono un vero e proprio culto alla giovinezza, ormai potevano spendere i propri soldi e che cosa c’era di meglio che farlo in loro stesse per la prima volta? Così divenne fondamentale vestire alla moda, seguendo l’ideale di bellezza dell’epoca che era per l’appunto quello della ragazzina un po’ femmina un po’ maschio che indossa abiti più corti a vita bassa, i capelli con il bob con sopra una cloche e un atteggiamento di sfida.

Coco Chanel a Parigi – 1926

  1. Intorno al 1925, la moda femminile scoprì il ginocchio per la prima volta e tale lunghezza fu la stessa anche per gli abiti da sera, un’altra cosa mai vista prima. L’improvvisa esibizione delle gambe femminili, portò a un grande interesse verso le calze che iniziarono a vendersi più che mai, soprattutto in seta naturale ma si stava aprendo il mercatodelle fibre sintetiche.

 

  1. Gli abiti iniziano a essere confezionati in rayon, una tipologia di stoffa che imitava la seta naturale e che aveva come grande vantaggio, il fatto di essere facilmente lavabile, rendendo la vita delle donne, molto più facile.

Evening dress, Callot Soeurs, ca. 1925. Los Angeles County Museum of Art

  1. Mentre l’abbigliamento da sera era fortemente influenzato e pensato per il ballo, corti abitini che permettevano il movimento, scarpe con un tacco medio e cinturino per non perderle; l’abbigliamento da giorno, era influenzato dallo sport, con abiti al ginocchio leggermente svasati realizzati spesso con il jersey e i pullover sopra.

Da: http://solo-vintage.tumblr.com

  1. Il culto alla giovinezza, l’aumento del tempo libero e una certa inclinazione verso il guardaroba maschile, portarono a una maggiore richiesta di abbigliamento sportivo e abbigliamento da mare; quest’ultimo consentiva finalmente alle donne di indossare anche dei pantaloni.

Foto da: http://theswingdaily.tumblr.com/

  1. Il primo film a rendere davvero popolare il “Little black dress” fu “It” del 1927, dove la protagonista, Chiara Bow, indossa al lavoro un abitino nero pieghettato molto alla moda che viene poi trasformato per la sera in un abito senza maniche, destando lo scalpore degli spettatori.

Clara Bow, “It” 1927

  1. La sfida e la provocazione erano latenti, se le nonne vittoriane avevano una certa avversione verso il trucco perché lo consideravano volgare, le loro nipotine ne facevano un uso esagerato: tra fard sulle guance, smalto colorato sulle unghie, le sopraccigli depilate e gli occhi truccati di nero, decisamente si era aperto un mondo nuovo dove non poteva che svilupparsi l’industria cosmetica.

Bebe Daniels

  1. 3. La “Costume Jewelry” divenne il nuovo must; fiera di essere dichiaratamente falsa, essa conquistò il cuore delle donne offrendogli la possibilità di indossare un bel gioiello senza pagare una fortuna. La stessa Chanel ne fu promotrice, creando la sua linea di falsi gioielli nel 1924, lei credeva che i gioielli dovessero essere indossati per ornare e non per dimostrare uno status economico e sociale.

Chanel

  1. Le donne, alle quali fino ad allora non era mai stato consentito di fumare, tanto meno in pubblico, adottarono un accessorio alla moda: il bocchino, il quale scioccando con la tradizione, tanto più appariscente e lungo era, tanto più clamore causava.

  1. Per la prima volta sono stati resi disponibili prodotti innovativi realizzati in serie come elettrodomestici, il telefono, la radio, il grammofono e l’automobile, creando nuovi bisogni, desideri e fortune.

Una donna seduta sotto un asciugacapelli cromato, 1928. (Keystone-France / Getty Images)

  1. Alla fine degli anni venti, creatori di moda come Jeanne Lanvin, Bernard & Co e Jean Michelline, iniziavano a lanciare il ritorno al punto vita naturale e l’allungamento degli orli alla caviglia degli abiti sia da giorno che di sera, mostrando un ritorno a una figura più naturale e femminile; gli anni folli della garçonne svanivano, ma non per sempre, tre decade più tardi sarebbero stati ripresi dalle incorreggibili ragazze degli anni sessanta.

    Moda 1929

Ana Muraca

 

Bibliografia e sitografia:



 

http://glamourdaze.com/history-of-womens-fashion/1920-to-1929#age-of-chic


Abiti Estetici: Una scelta di Libertà

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Nella seconda metà del XIX secolo l’dea di femminilità era radicata alla concezione che la donna doveva indossare corsetti strettissimi e gonne sempre più ampie, nell’aria però, si stava preparando una sorta di “rivoluzione”, c’era voglia di un lusso più discreto e sobrio.

Questo nuovo stile sciolto e senza costrizioni viene associato alla Fratellanza Preraffaelita fondata da Dante Gabriel Rossetti che traeva ispirazione dagli artisti antecedenti Raffaello e a quelli Rinascimentali. L’ideale di bellezza era rappresentato da una fanciulla dai lunghi capelli sciolti, lucidi, carnagione chiara e sguardi pensosi. Queste muse, tra cui Jane Morris, erano vestite con abiti simili al Bliaut (una lunga tunica medievale indossata in Francia) scollati, con maniche svasate lunghe fino al pavimento e avvolti da un’alta cintura che tratteneva il drappeggio. Questo tipo di abbigliamento, indossato nei circoli letterari e artistici fu molto popolare negli anni ottanta dell’800 anche grazie al Movimento Arts and Crafts guidato da William Morris.

Cucendo la bandiera di Edmund Blair Leighton

Il movimento si occupava di artigianato, architettura e tessitura, soprattutto quella realizzata con telai a mano e la xilografia. Gli abiti estetici erano espressione del movimento omonimo, che si batteva per la difesa dei diritti degli animali, contestando l’uso di piume di uccelli nei cappelli e un eccessivo uso della macchina da cucire che rappresentava un prodotto della rivoluzione industriale.

 

Collezione di Emilie Flöge VIENNA

Spesso gli abiti estetici erano decorati con girasoli o narcisi, ed erano ricamati a mano libera a punto smock. Gli Estetici preferivano i colori ottenuti dalle tinte vegetali, come il salmone, verde salvia, terracotta e oro, ma anche i colori sbiaditi, antichi, dal gusto vagamente esotico come poteva essere il blu pavone.

 

Metz & Co., Netherlandish (Amsterdam), c. 1910.

Abito disegnato dall’architetto Henry van de Velde

L’abito estetico era una protesta contro le costrizioni di corsetti e crinoline; i moralisti urlavano allo scandalo, le donne che non indossavano il corsetto erano considerate moralmente inadeguate e bohemien. Anche l’arte giapponese influenzò il movimento soprattutto con le opere tessili e pittoriche esposte all’Esposizione Internazionale di Londra del 1862. Il paese del Sol Levante era uscito dal suo isolamento culturale ed economico aprendosi al commercio occidentale. L’Orientalismo influenzò la moda, che si ispirò ai kimoni giapponesi.

 

Nel 1875 a Londra un giovane di nome Arthur Lasenby Liberty che lavorava nei grandi magazzini in Regent Street da Farmer’s and Roger’s; dopo che i suoi datori di lavoro rifiutarono di farlo socio, egli aprì nel 1875 autonomamente un suo negozio, il Liberty & Co . Arthur Liberty era un grande appassionato di tutto ciò che era orientale, dalle sete morbide agli oggetti antichi. Lo stile di Liberty & Co era riconoscibile: dai pigiami provenienti dall’India, ai cappotti ricamati cinesi o giapponesi. I cataloghi del magazzino offrivano lunghi abiti da tè in velluto adatti alla vita moderna, con nomi appropriati, come “Jacqueline” o “Josephine” . Accanto all’abbigliamento per signore c’era anche quello per bambini, caratterizzato dal ricamo a punto smock. Gli abiti estetici avevano un aspetto confortevole e aggraziato, indubbiamente più sano delle vesti con corsetti e crinoline.

 

Liberty & Co, 1890 – 1905. Foto da: augusta-auction.com

Walking Suit, ca. 1906-07 Liberty & Co. via Gemeentemuseum Den Haag

1893 and 1897 by Liberty & Co. of London. Foto da: http://yeoldefashion.tumblr.com

Quando il gusto raffinatissimo fu assimilato nel vestire quotidiano, la popolazione comune iniziò a conoscere ciò che prima era riservato a una ristretta minoranza.

 

Francesca Galassini

Bibliografia:

https://en.wikipedia.org/wiki/Artistic_Dress_movement

fashion-history.lovetoknow.com › Fashion History and Eras

 

 

Make up anni 20

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Prima del 1900, le donne non si truccavano, utilizzavano solo prodotti di bellezza come creme, lozioni e polveri per migliorare la qualità della propria pelle ma non per mascherare le imperfezioni; fu soltanto grazie alla rivoluzione industriale, che già all’inizio del 900, compaiono i primi prodotti cosmetici come le intendiamo oggi.

Intorno al 1910 si potevano trovare rossetti, ombretti e mascara, fabbricati da marchi come Maybelline e Max Factor sia in America che in Europa; dopo la guerra, le donne, che avevano assaggiato un bel po’ di libertà, reagirono contro la sottomessa generazione precedente e si trasformarono in intrepide flapper che facevano largo uso di trucchi e belletti per mostrare la propria indipendenza e vedersi sempre più attraenti (non dimentichiamo la mancanza di uomini).

Max Factor applicando il trucco all’attrice Renée Adorée

Nel 1909 Gordon Selfridge, intuendo i tempi che cambiavano, decise di mettere a disposizione nei suoi grandi magazzini “Selfridge” di Londra, un bancone dove era possibile provare prima di comprare ogni tipo di trucco disponibile in negozio; anche le stelle del cinema facevano la loro parte lanciando una tendenza dietro l’altra in materia di moda ma anche di make up attraverso il grande schermo.

Thalia Barbarova, 1920s

 

All’inizio degli anni 20, i prodotti e i colori a disposizione erano molto esigui e per lo più, seguivano i colori naturali del viso, ma rapidamente comparivano nuovi prodotti e colori sempre più arditi. Le donne, che non avevano nessuna istruzione nell’arte di truccarsi, cercando di imitare le stelle del cinema, uscivano per strada incuranti dell’altro che glamouroso risultato dei loro sforzi, ma con un po’ di pratica e il miglioramento continuo dei prodotti, riuscirono a prendere confidenza con il trucco nonostante la disapprovazione maschile. Le bionde si truccavano di verde e di blu, mentre le more usavano il marrone e il nero.

Rossetti:

I rossetti esistevano già da tempo, ma con l’invenzione del rossetto contenuto in un tubo metallico del 1915, la donna iniziò a portarlo sempre con sé. Il colore di rossetto preferito era sicuramente quello rosso e veniva applicato grazie a stencils che garantivano una perfetta applicazione lungo la linea delle labbra ed erano molto utili anche per creare la “Cupid’s bow” , l’ultima moda lanciata da Clara Bow al cinema, che era la bocca disegnata a forma di cuore.

Rossetto Molinard

Il fard non era assolutamente accettato in società, ma da quando venne reso trasportabile, iniziò a essere sempre più usato; esso era spesso rosso o arancione e veniva applicato a forma di cerchio sulle guance.

Gli occhi:

Pubblicità Maybelline degli anni 20

L’ideale era avere grandi e profondi occhi a mandorla ma dato che erano in poche ad averli, il trucco gli diede una mano. Gli ombretti erano applicati con le dita, leggeri sopra le palpebre e sfumati verso la coda dell’occhio per un effetto smokey. Il mascara si trovava liquido, in cera o compatto, per applicarlo, si utilizzava un comune spazzolino. In questo decennio comparve anche l’eyeliner, nato in seguito alla scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1923, per imitare il kohl usato nell’antico Egitto. Le sopracciglia prendevano una forma sottile e facevano una curva con una lieve inclinazione alla fine verso il basso. Sopra la punta di ogni singolo ciglio veniva posta una piccola perla di una sostanza cerosa, usando una tecnica chiamata “beading” proveniente dalla Russia.

 

Smalto per le unghie:

L’industria cosmetica, s’ispirò all’industria automobilistica per creare vernici per le unghie lucenti e durevoli come quelle delle auto; intorno al 1922, la Cutex sviluppo uno smalto liquido e uno in polvere in diverse tonalità di rosa e di rosso. Il tipo di manicure preferita fu quella conosciuta come “moon manicure” dove si pitturava solo la metà dell’unghia lasciando le punte bianche che vanivano poi arrotondate.

Abbronzatura:

Dopo che Chanel aveva lanciato la moda dell’abbronzatura, Elizabeth Arden ed Helena Rubinstein lanciarono al marcato le primi creme solari e polveri per far sembrare il viso abbronzato.

 

Gli anni venti sfrattarono tanti miti e in particolare quello dell’uso del trucco come arma femminile per enfatizzare la propria bellezza e grazie a questo l’industria cosmetica avrebbe avuto un enorme sviluppo negli anni successivi.

 

Ana Muraca

 

Bibliografia e Sitografia:

 

1920s Makeup Starts the Cosmetics Industry- History

www.glamourdaze.com/history-of-makeup/1920s

https://www.smithsonianmag.com/arts-culture/the-history-of-the-flapper-part-2-makeup-makes-a-bold-entrance-13098323/

 

Lo Zibellino da Pulci: un vezzo originale o un oggetto rivoltante?

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Uno degli accessori più alla moda tra la fine del 1400 e gli anni ’30 del 1500 è stato lo “Zibellino da Pulci” o da “mane”. Questi animaletti, appartenenti alla famiglia delle donnole venivano posati sulla spalla, portati in mano o indossati sulla cintura con una catenella collegata al collo e alla bocca dell’animale. Gli esempi più sontuosi presentavano la testa e le zampe ingioiellate, e gli occhi in pietre preziose, tra cui il rubino.

A tutt’oggi ci sono pochissimi esemplari sopravvissuti; le poche informazioni riguardanti il loro aspetto e il modo in cui veniva indossato sono documentati da alcuni dipinti dell’epoca, come il ritratto di Frances Sidney, Contessa del Sussex, di autore ignoto o il ritratto di Isabellade Medici realizzato da Alessandro Allori nel 1558 dove lei ha in mono uno zibellino ingioiellato.

A differenza delle altre pellicce, lo zibellino, o come viene chiamato in alcune zone dell’Italia “sgridatto”è divenuto nel tempo un oggetto enigmatico. Secondo alcuni studiosi veniva usato principalmente per tre motivi: innanzitutto indicava la ricchezza e lo status di chi l’indossava, in secondo luogo, grazie all’associazione donnola-parto veniva considerato come un amuleto protettore della gravidanza e della fecondità come si può vedere nel dipinto che ritrae la contessa Lucia da Porto con la figlia Deidamia, di Paolo Veronese. La Contessa, incinta di sua figlia Emilia indossa uno zibellino sospeso al braccio, molto simile alla testa in oro presente al Walters Art Museum di Baltimora.

Paolo Veronese, ritratto della contessa Lucia da Porto

Testa di zibellino ingioiellata, 1550, probabilmente Veneziana, Walters Art Gallery Baltimore.

In terzo luogo veniva indossato come pelliccia da pulci. Questo termine fu coniato nel XIX secolo da Wendelin Boeheim, il quale sosteneva che date le condizioni poco igieniche dell’epoca veniva indossato con lo scopo di attirare le pulci dal corpo di chi l’indossava sulla pelliccia dell’animale morto. Attualmente però non ci sono prove che confutano questa teoria.

Ritratto di Elisabetta di Volois, Spagna 1560 di Juan Pantoja de la Cruz

Questi bizzarri oggetti venivano indossati da reali e nobildonne ed erano presenti nell’inventario di Enrico VIII, dove viene elencato uno zibellino dalla testuggine impreziosita di diamanti e artigli con pietre di zaffiri. Anche Eleonora di Toledo ne possedeva almeno quattro, mentre la regina di Scozia Maria, al suo ritorno da un viaggio in Francia portò con se’ uno zibellino con la testa in giaietto.
Stravaganze a parte, lo zibellino era forse l’accessorio più diffuso per chi voleva apparire e sedurre in modo un po’ sinistro e macabro.

 

Francesca Galassini

 

Bibliografia:

www.fashionencyclopedia.com/fashion…16th…/Flea-Fur.html

www.larsdatter.com/zibellini.htm

La Perfecto, meglio conoscita come il chiodo

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E diventata quasi una divisa dello spirito ribelle e anticonformista, sempre attuale, giovanile e altera, ha superato egregiamente il passo del tempo; oggi la troviamo in tutti i colori e con tanti varianti, quasi a voler esprimere esattamente la personalità di ognuno di noi; stiamo parlando della giacca a chiodo, meglio conosciuta come la Perfecto.

La sua storia risale alla fine degli anni 20 quando Irving Scott, il cofondatore della compagnia newyorkese Schott Bros, disegnò e produsse la prima giacca in pelle da motociclista con la geniale aggiunta di una zip spostata su un lato che consentiva ai motociclisti di piegarsi facilmente sul proprio corpo e la chiamò “Perfecto” in onore al suo sigaro preferito. Essa sostituiva la meno efficiente giacca con bottoni al collo dei motociclisti dell’epoca; la giacca originale presentava una vestibilità aderente e ritagliata, con una tasca a D e risvolti progettati per attaccarsi o piegarsi uno sopra l’altro. Schott Bross era uno dei fornitori di un distributore Harley Davidson con sede a Long Island che la fecce conoscere, così la Perfecto divenne un completo successo.

Marlon Brando

James Dean

Negli anni ’50, Hollywood aveva scelto la Perfecto per rappresentare l’uomo duro, consolidandola come simbolo della cultura ribelle; il primo ad averla indossato sul grande schermo fu Marlon Brando nel ruolo di uno squilibrato leader di gang di motociclette nel film del 1953, The Wild One, seguito velocemente da James Dean, in di Rebel Without a Cause del 1955; anche l’attore Steve McQueen molto famoso durante gli anni 60, adotto la Perfecto come parte del suo stile anticonformista. A renderla popolare tra i fan del rock and roll, fu Elvis Presley e in seguito anche i Beatles.

Elvis Presley

Già allora l’alta moda ci provo e proporre una sua versione con la versione in coccodrillo disegnata da Yves Saint Laurent per Christian Dior, che però non ebbe grande successo.

Yves Saint Laurent for Christian Dior, 1960.
Foto da: doyle.com/auctions

Gli anni settanta e ottanta, segnati dalla rivoluzione femminista videro il dilagarsi della perfetto anche tra le donne, cantanti come Blondie e Joan Jett hanno adottato la tendenza rendendo la giacca ora unisex. Le sottoculture giovanili dell’epoca, come quella punk, scelsero questo indumento come simbolo della loro ribellione aggiungendole borchie, chiodi e altri elementi metallici; mentre molti artisti famosi come Duran Duran, i Sex Pistols e i Ramones indossavano versioni più grezze. Durante gli anni ottanta, la tendenza motociclista raggiunse il culmine con una vestibilità più ampia sulle spalle e sulle braccia (molto simile al numero Thriller di pelle rossa di Michael Jackson).

Blondie, foto da: http://www.madame-ostrich.com

I Ramones

Durante gli anni novanta, supermodelle come Kate Moss avvicinarono il grande pubblico, che fin ora si era mantenuto al margine della cultura rock e underground, all’utilizzo del perfetto con lo stile casual chic dove le versioni erano meno ornate e affusolate.

Kate Moss e Johnny Depp

Oggi la Perfecto o il chiodo com’è conosciuta in Italia, fa parte integrande del guardaroba sia femminile che maschile, ormai è possibile trovarla in ogni materiale, variante e colore e può essere usata in qualsiasi situazione casuale o formale.

 

Ana Muraca

Bibliografia e sitografia:

http://www.bbc.com/culture/story/20140424-rebel-rebel-the-biker-jacket

http://www.eonline.com/news/695028/a-brief-history-of-how-the-leather-jacket-went-from-military-uniform-to-iconic-fashion-staple

http://www.bbc.com/culture/story/20140424-rebel-rebel-the-biker-jacket

FRANCY’S PILLS: Bianco e Nero – Valentino e la Collezione Hoffman

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Roma, 20 Luglio 1989

L’atmosfera è trepidante, si percepisce un’impaziente attesa; la previsione di qualcosa di memorabile; la sala gremita d’invitati sta per assistere a una delle più originali collezioni di Valentino: un capolavoro di perfezione, creatività e magnificenza è la sensazione di assistere a un evento straordinario.

Qualche mese prima Valentino durante una visita al Victoria & Albert Museum di Londra era rimasto ammirato da una sedia progettata da Josef Hoffmann, uno dei padri della Secessione Viennese; Hoffmann era un noto architetto e dopo aver progettato ville per l’alta borghesia industriale, nel 1905 gli fu commissionato Palazzo Stoclet, costruito nei sobborghi di Bruxelles. Questo edificio gli era stato commissionato da Adolphe Stoclet, banchiere e collezionista d’arte. Hoffmann non ebbe alcun limite di costi nel progettarlo perché era di proprietà esclusiva di Adolphe e Susanne Stoclet ed era adibito a esposizioni di opere d’arte e ricevimenti speciali.

Josef Hofmann 1907 al V&A museum

Josef Hoffmann, Palazzo Stoclet. Foto da: http://www.artwort.com

La collezione haute couture autunno inverno 1989-90 di Valentino non può non ispirarsi all’architetto austriaco, alla Secessione Viennese e alla sua ventata rivoluzionaria, ai grafismi in bianco e nero e ai motivi geometrici . Un mantello in raso bianco presenta gli stessi motivi a scacchi optical del pavimento bianco e nero della sala da pranzo, con all’interno mosaici di Gustav Klimt.

Mantello collezione 1989 di Valentino

Collezione 1989 di Valentino

Koloman Moser, che lavorava essenzialmente sulle arti applicate, creando stoffe, complementi d’arredo, vetrate e monili era un altro artista protagonista della Secessione Viennese al quale Valentino si è ispirato, soprattutto per i grandi collari gioiello intarsiati a motivi geometrici in bianco e nero che emulano Emilie Floge, musa di Klimt. I motivi a intarsio di Moser continuano su molti capi della collezione tra cui un robe-manteau e un raffinatissimo abito da sera. “ L’estate droga gli occhi di luce e ombra” La boutique ha scoperto che l’estate è un continuo bianco e nero, in una parola è “OP”. Così si legge sul numero di Marzo di Vogue Italia del 1966, in un articolo focalizzato sul grande successo di questo trend.“. E sembra che anche Valentino ne sia rimasto ammaliato.

Scrivania disegnata da Koloman Moser, al V&A museum

Scrivania disegnata da Koloman Moser, al V&A museum

Collezione 1989 di Valentino

Collezione 1989 di Valentino

Francesca Galassini

Bibliografia


 

 

Coiffeur alla Titus, il primo taglio di capelli corti per le donne occidentali

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In un periodo di grande agitazione politica e sociale, si crearono le condizioni necessarie per la nascita del taglio alla Titus, passato alla storia come il primo taglio di capelli corti per le donne in occidente.

Sembra che tutto sia iniziato in seguito ai ritrovamenti negli scavi di Pompei ed Ercolano della metà del XVIII secolo che portarono grande entusiasmo per i valori e i principi delle culture antiche come quella greca e quella romana e una volontà di riviverle attraverso il neo classicismo. In particolare però il taglio alla Titus è stato creato da Monsier Dunplan per l’attore François-Joseph Talma nel ruolo dell’imperatore Tito nello spettacolo che commemorava il tredicesimo anniversario della morte di Voltaire nel 1791. I capelli di Talma erano tagliati corti, nello stile di un busto romano; il pubblico lo accolse con diverse esplosioni di applausi e una settimana dopo molti giovani parigini avevano già provveduto a tagliarsi i capelli come lui.

Inizialmente il taglio alla titus incarnava tutti gli ideali rivoluzionari e l’orgoglio repubblicano, ma intorno al 1794, le donne fecero loro questo nuovo taglio che oscillava tra le associazioni politiche e quelle di genero. Il primo ritratto femminile dove compare questo nuovo stile è stato quello realizzato da Pierre Narcisse Guérin (1794), si trattava di uno studio di una giovane ragazza con i capelli molto corti tagliati in modo piuttosto grezzo; molto diverso dai capelli accuratamente arricciati e impomatati che lo stile vedrà in seguito.

Nel 1802, il “Journal de Paris” riportava che più della metà delle donne benestanti e alla moda avevano tagliato i propri capelli o facevano uso di una parrucca con lo stile alla titus; infatti, tale moda coincise con il ritorno delle parrucche, il che facilitò la sua diffusione, sia perché le donne per essere alla moda non dovevano per forza tagliarsi i capelli ma potevano benissimo indossare una parrucca, sia perché le parrucche alla titus, essendo più corte, potevano lavarsi ogni giorno, a differenza delle altre parrucche sempre vittime di pidocchi e germi di ogni tipo.

Portrait de la contesse Fouler de Relingue

Madame Arnault de Gorse, ritratto di Louis – Leopold Boilly

Johann Friedrich August Tischbein, ritratto di Amalie Wolff-Malcolmi

Alcuni hanno ipotizzato che il taglio alla titus avesse a che fare con “le bal des victimes”, i balli delle vittime, che presumibilmente hanno avuto luogo dopo il periodo del Terrore (1793-94). A questi balli erano ammessi solo parenti delle vittime e loro erano chiamati a dimostrare la loro solidarietà con le vittime attraverso il loro abbigliamento: le donne potevano portavano un laccetto rosso intorno al collo a simboleggiare il collo tagliato o indossavano accessori dai chiari riferimento alle esecuzioni o ancora, si tagliavano i capelli “alla titus” cosi come alle vittime venivano tagliati per assicurarsi che la lama della ghigliottina scendesse pulita attraverso il collo. Purtroppo di questi balli non esistono prove certe, i contemporanei non ne parlano e la storia non divenne popolare fino al 1820.

Orecchini con ghigliottine, del periodo del Direttoria, Musée Carnavalet.

Gli uomini continuarono usando il taglio alla titus, lo stile perse il suo lato controverso dopo la caduta di Robespierre e divenne la norma sotto Napoleone; infatti chi non si tagliava i capelli era perché ancora sperava in un ritorno della monarchia cosa sicuramente mal vista dai repubblicani.

Ritratto di Jean-Baptiste Paulin Guérin, 1801 realizzato da Robert-Jacques-Francois-Faust Lefevre

Ritratto di un uomo giovane di François-Xavier Fabre. 1809

Il taglio e la parrucca alla titus femminile fu un fenomeno commerciale ben illustrato nelle riviste per donne dell’epoca; dal taglio grezzo del ritratto di Guérin attraverso una resa sempre più femminile verso l’inizio del XIX secolo, con l’utilizzo di accessori come nastri e fiori e una sapiente piega dei riccioli attorno al viso, seguendo l’antica mitologia e rendendolo più accettabile come un taglio femminile.

Costume Parisien

Ritratto di Thérésa Tallien, di François Gérard, 1804

Nel frattempo furono creati una grande serie di accessori per coprire, quando opportuno, l’intrepido taglio; si trattava per lo più copricapi chiamati “cache – follies” che letteralmente significavano copri pazzie, perché il taglio alla titus era percepito come una vera e propria follia dai più.

Georges-Jacques Gatine. “Les Titus et les Cache-folie, le Bon Genre No. 39,” La Mésangère. Print. 1810. Bibliothèque Nationale de France

Il taglio alla titus femminile, ebbe molti detrattori, soprattutto uomini che lo vedevano come il desiderio femminile di contestare l’autorità maschile, per non parlare della confusione dei sessi che esso provocava nonostante la moda del periodo prevedesse abiti particolarmente femminili.

James Gillray, “The Progress of the Toilet…Dress Competed.” Hand colored etching. February 25, 1810. From the British Museum.

Le donne, forse per sentirsi partecipi ai tempi che cambiano, per sfidare gli uomini o per un semplice capriccio dettato dalla moda, continuarono incuranti con la moda del taglio alla titus fino al 1810 ca, quando esso è stato completamente abbandonato in favore di acconciature alte e complesse per le quali era indispensabile avere i capelli i più lunghi possibile.

 

Ana Muraca

Bibliografia:

Usurping Masculinity: “The Gender Dynamics of the coiffure à la Titus in Revolutionary France” , Jessica Larson

https://timeline.com/french-revolution-haircut-guillotine-83fa3e370d05

http://shannonselin.com/2015/05/coiffure-a-la-titus/

FRANCY’S PILLS: Voglio Quelle Scarpe!

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Il fascino e la suggestione esercitata dalle scarpe rosse non è un fatto recente, ma anzi, ha caratterizzato epoche e culture diverse. Le scarpe rosse rappresentano una serie di molteplici simboli e codici sociali.

Nella cultura europea e asiatica il colore rosso rappresenta la vita e la fertilità, ma anche il pericolo, oltre che alla guerra e alla morte. Il rosso è il colore estremo, la tinta delle emozioni forti, della magia e dell’esperienza religiosa. Può avere quindi significato positivo e negativo, come nota l’antropologo Claude Lévi-Strauss. I paramenti sacri delle più alte autorità religiose sono di colore rosso, lo stesso delle prostitute dei quartieri a luci rosse. Storicamente le scarpe rosse erano segno di autorità e potere, come quelle dei senatori romani, oppure quelle di Enrico VIII e di Edoardo IV  sepolti entrambi con le scarpe rosse, simbolo del potere monarchico oltre che simbolo di ricchezza, dato l’alto costo delle materie coloranti come la robbia e la cocciniglia.

Il Papa Gregorio VII riceve Enrico IV a Canossa in questa illustrazione del XIV secolo. Foto: www.pressreader.com/uk/bbc-history-magazine

Nel XVI secolo Luigi XIV fece applicare alle sue calzature tacchi rossi come simbolo del potere divino del Re e ben presto la moda del tacco rosso si affermò presso l’aristocrazia, facendo divenire le scarpe di marocchino rosso uno status symbol. Nel corso del ‘700 la calzatura rossa a pantofola in stile turco divenne la scarpa preferita dei gentiluomini benestanti.

Particolare del ritratto del 1701 di luigi XIV

Nel 1845 lo scrittore danese Hans Christian Andersen fa ballare ininterrottamente la “sua Karen” con un paio di scarpe rosse nell’omonima fiaba. Come per un incantesimo le scarpette rosse stanno saldamente incollate ai piedi di Karen che la costringono a ballare giorno e notte, finché un boia, mosso dalla pietà taglia i piedi della ragazza, che continuano a ballare. Procuratasi un paio di piedi di legno viene benedetta da un angelo che fa volare in cielo la sua anima. Il finale inquietante della fiaba è riconducibile alla vita stessa dello scrittore, vittima di ossessioni infantili e perennemente alla ricerca di affetto e stima. Nato nel 1805, figlio unico di un calzolaio povero, Andersen viveva nella bottega del padre, che fungeva anche da abitazione. Per lo scrittore le scarpe rappresentavano degli oggetti inquietanti e sinistri. La madre educò il figlio amorevolmente, ma con molte superstizioni, e la paura del buio e dei cimiteri. Le scarpe rosse di Karen simboleggiano quindi la peccaminosità, e al tempo stesso hanno una valenza magica e pagana:” Aderite bene ai piedini quando ballate” dice il vecchio soldato dalla barba rossa….

Scene dal film “Red Shoes” del 1948, inspirato alla fiaba di Hans Christian Andersen

Nel 1939 le scarpe scarlatte di Dorothy, interpretata da Judy Garland nel film “Il Mago di Oz” sono divenute ancora più famose delle sopra citate. In origine queste scarpette erano di colore argento, ma fu deciso di cambiarle in rosso rubino per sfruttare al meglio il nuovo mezzo del Technicolor.

Dal film “Il mago di Oz” del 1939

Nel corso del XX secolo le scarpe rosse sono associate a quelle donne che fanno libero sfoggio della propria sessualità; dive come Marylin Monroe e Jane Russel in “Gli Uomini Preferiscono Le Bionde” (1953) sono seducenti e eleganti, anche se alla ricerca di uomini a cui portare via denaro. Nel suo guardaroba personale Marylin possedeva un paio di scarpe rosse decorate con brillantini create da Salvatore Ferragamo all’epoca di quando fu girato il film; nel 1999 furono battute all’asta da Christie’s ed è interessante notare che fossero appartenute alla donna più seducente del secolo, la cui vita aveva preso una svolta tragica, come quella di Karen.

Locandina del film “Gli uomini preferiscono le bionde”

La scarpetta rossa recentemente è stata associata alla danza e alla libertà nei movimenti tanto che lo stilista Manolo Blahnik nel 1986 ha creato un paio di scarpe di raso rosso di nome “Martha” in onore di Martha Graham, pioniera della danza espressiva. La fondatrice de il The Red Shoe Club, Velva Lee Heraty spiega come dopo la morte della figlia, indossare un paio di scarpe rosse le abbia restituito il desiderio di vivere: “ Amate le scarpe rosse perché sapete che, attraverso Dotothy e Marylin esse sono diventate un simbolo e un’icona universale… nella misura in cui evocano il fascino dell’avventura, delle passioni, della sicurezza di sé e dell’impudenza”.

Illustrazione della scarpa disegnata da Manolo Blahnik per martha Graham nel 1986

Francesca Galassini

Bibliografia

 

https://www.theawl.com/2011/05/a-little-history-of-red-shoes

https://australianballet.com.au/…/why-so-fascinating-red-shoes


I ritratti miniatura

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I ritratti in miniatura erano dei ritratti realizzati in piccole superfici, solitamente in gouache, acquarelli o smalto. Il loro nome però non deriva dalla sua piccola dimensione, bensì dai manoscritti miniati dai quali provengono; infatti, su questi testi le lettere capitali erano realizzate con del minio, un minerale dal colore rosso che fini per dargli il nome; poi dalle lettere si passò a illustrare il testo e infine, quando intorno agli anni 60 del 400 i libri stampati iniziarono a competere con i libri miniati, i miniatori offrirono oltre ai loro libri, anche delle miniature indipendenti sia per culto o semplicemente come oggetti di lusso. Un altro modello iconografico di riferimento erano i ritratti antichi su monete, sigilli e medaglie.

Il Libro d’Ore del Perugino « I Facsimili – Franco Cosimo Panini Editore

Le miniature furono di grande utilità per la monarchia, soprattutto quella inglese e quella francese (che in un certo senso lanciarono la moda) esse erano piccole, intime e rafforzavano i rapporti personali e affettivi; spesso venivano date personalmente, in cerimonie pubbliche come segno di riconoscimento, divennero il regalo ideale per ambasciatori, cortigiani e personalità di rilievo, potevano anche sigillare l’amicizia o gli accordi tra paesi, ma furono anche un medio per conoscersi, per inviare proposte di matrimonio, per ricordare la persona amata o scomparsa. E noto come Elisabetta I dal 1580, indossasse un suo ritratto come segno di regalità o come Enrico VIII dopo la prematura morte della terza moglie mandasse i suoi ambasciatori per tutta Europa alla ricerca di una nuova moglie che avrebbe scelto solo guardando il suo ritratto e si sa, le apparenze ingannano e dopo essersi “innamorato” guardando il ritratto in miniatura di Anna di Clèves la sposò per lasciarla dopo qualche mese perché la moglie non somigliava affatto al ritratto che li era stato pervenuto.

Miniatura di Anna de Cléves realizzata probabilmente da un allievo di Hans Holbein intorno al 1539 e oggi al V&A museum

Va menzionato anche i ritratti miniatura dentro a ritratti a grande formato, con donne e uomini che sono stati ritratti indossando un ritratto in miniatura, come una serie di ritratti spagnoli di donne dell’alta società insieme alla miniatura del re.

Ritratto della principessa Luisa di Napoli e Sicilia, realizzata da Joseph Dorffmeister,1797

I primi miniatori usavano pigmenti a base di acqua e li mischiavano con gomma arabica, le loro tavolozze erano delle conchiglie e madre perla in modo da poter vedere i colori nella loro purezza e il supporto era spesso una pergamena molto sottile. Durante la seconda metà del diciassettesimo secolo la moda era di realizzare le preziose miniature con smalto su una superficie di rame, particolarmente in Francia; mentre in Germania, si preferiva la pittura a olio sempre su una superficie di rame. Nei primi anni del settecento, l’artista italiana Rosalba Carriera iniziò a esperimentare l’utilizzo dei colori ad acqua sull’avorio e vent’anni dopo, esso divenne il mezzo prediletto per le miniature. L’avorio, non essendo un materiale poroso, permetteva ai vari estratti di colore di avere un effetto trasparente e luminoso, ma presentava grandi difficoltà proprio per gli stessi motivi, determinando una diminuzione nel formato delle miniature che portò a un minor costo e a una maggiore diffusione.

Tansen Collection

Per proteggere i delicati strati di pittura, si usava un vetro convesso che pero non poteva toccare la superficie del dipinto, soprattutto quando la base della miniatura era di avorio che non assorbendo la pittura, essa poteva svanire con il contatto.

Le prime miniature erano custodite in piccole scatole di legno o avorio per proteggerle, tali scatoline potevano essere portate in una borsetta o custodia o legati in vita; esse erano portate sia da uomini sia da donne. Le donne preferivano portarle in vista, indossate come gioielli (medaglioni, anelli, spille e bracciali), attaccate a nastri e indossate al collo, nei capelli o su copricapi; gli uomini soprattutto dopo la metà del settecento, erano più discreti e le portavano appese al collo sotto la camicia, in una tasca o in un medaglione chiuso. Occasionalmente si vede il ritratto di un uomo indossando una miniatura in un anello come nel ritratto di un nobile in banyan di seta blu, realizzato da Liotard.

Dettaglio del ritratto di Marie-Louise, regina del Belgio, realizzato da Franz Xaver Winterhalter, circa 1841

1798-1800 Alexandra Pavlovna Romanova ritratta da V. Borovikovsky Gallery – Moskva Russia

Com’era portata una miniatura, dipendeva interamente del soggetto, di quanto fosse intimo e personale o se si trattava di una propaganda o di un emblema politico. Non tutte le miniature venivano portate con se, alcune erano create come decorazione di scatole e tabacchiere, per appendere alla parete o per tenerle accanto al letto. Spesso questi ritratti erano realizzati per creare delle gallerie di uomini illustri o di ritratti familiari, in questi casi, le miniature tendevano a essere un po’ più grandi del solito. Un esempio di queste gallerie è quella che Caterina d’Austria regalò a sua nipote Maria del Portogallo, futura principessa di parma, perché potesse ricordare ai suoi cari nella sua nuova dimora.

Collezione di miniature di María del Portogallo, 1565. Galleria Nazionale di Parma.

Un altro utilizzo curioso della miniatura è una moda che prese piede intorno al 1650 che consisteva in sovrapporre sopra le miniature diverse lamine dipinte in colori opachi su mica, creando così una galleria di costumi per la miniatura originale, come questa miniatura dove è stata ritratta una giovane fanciulla che a piacimento può cambiare abito e pettinatura diventando persino una monaca.

folkcollection.com

folkcollection.com

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Dal diciottesimo fino al ventesimo secolo, la pittura di miniature fu uno di quei passatempi delle donne dell’alta società alla pari con il lavoro a maglia, il ricamo, o il saper suonare o cantare. Loro dipingevano per lo più i membri della loro famiglia e gli amici.

Durante l’800, le miniature acquisiscono un altro importante utilizzo; esse erano commissionate per commemorare ogni momento importante nella vita di una persona: dalla nascita, il fidanzamento, il matrimonio, i meriti nella carriera, la guerra, i traslochi, la morte, incluso scene erotiche, parti del corpo, motti politici, le mascotte, i paesaggi, ogni cosa veniva raffigurata.

La maggior parte delle miniature a noi pervenute sono ovali, ma ci sono anche circolari e qualcuna quadrata e rettangolare e persino a forma di arco che in seguito si sarebbero sviluppate come i “lover eyes”.

Collection of David and Nan Skier

Alcune miniature riportavano delle frasi scritte sul retro, a volte si trattava di frasi romantiche, iniziali, ammonimenti, frasi in latino, ecc; mentre altri potevano avere diversi estratti e custodire al loro interno ciocche di capelli e altri oggetti del cuore.

La demanda di miniature declinò rapidamente quando nel 1839 fu inventata la dagherrotipia, l’antenata della fotografia. Il costo di una fotografia era infinitamente inferiore, essa era anche molto più fedele alla realtà e per la prima volta la gente comune si poteva permettere la riproduzione di se stessa.

 

Ana Muraca

 

Bibliografia e sitografia:


El retrato en miniatura

http://www.vam.ac.uk/content/articles/h/a-history-of-the-portrait-miniature/

https://en.wikipedia.org/wiki/Portrait_miniature

http://christine-archibald.com/history.html

https://www.metmuseum.org/toah/hd/mini/hd_mini.htm

 

Francy’s Pills: Una rivista per….. Sole Donne

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Nel 1830 a Philadelfia Louis.A. Godey penso’ di inziare a pubblicare una rivista per sole donne : Godey’s Lady’s Book.

Per 48 anni, fino al 1878 è stata la rivista più diffusa nel periodo prima della Guerra Civile Americana. Ogni uscita conteneva poesie, incisioni create da artisti e scrittori dell’epoca, una tra queste Sarah Josepha Hale, che ha pubblicato diversi manoscritti contenenti lavori svolti da sole donne. Nel 1860 dopo che la Hale divenne editorialista il numero degli abbonati salì fino a 150.000. Godey’s Lady’s Book era il giornale più diffuso dell’epoca, ma anche il più costoso: gli abbonati pagavano circa 3$ all’anno, il Saturday Evening Post chiedeva 2$.

Hale in breve tempo divenne arbitro del gusto americano e usando la sua influenza sul giornale promosse diverse cause in favore delle donne creando una sezione dal titolo”Occupazione per le Donne”. Tuttavia Godey non amava discutere di questioni politiche tanto che durante la guerra civile americana la rivista rimase neutrale, perdendo circa un terzo dei suoi abbonati.

La rivista era molto famosa per le illustrazioni di moda e i modelli con le misure pronti per essere cuciti, oltre che i pezzi e gli spartiti di musica per pianoforte. Nel 1834 Godey’s pubblico’ The Visionary, racconto di Edgar Allan Poe. Sarah Hale si è battuta per varie cause per sostenere l’educazione delle donne; innanzitutto credeva che il loro ruolo nella società doveva essere simile a quello degli uomini, sostenendo inoltre che le professioni dovevano essere aperte anche al sesso femminile. Nella rivista ha dato il suo appoggio e usato il suo spazio editoriale a sostegno della festa nazionale del Ringraziamento, presentando tra l’altro ricette tradizionali come il tacchino arrosto e le torte di zucca. Sostenne inoltre la Regina Vittoria come esempio di moralità, femminilità e intelletto. Dopo che la Regina per le sue nozze con il Principe Albert aveva scelto di indossare un abito bianco, Godey’s scrisse: ”Fin dalla prima età il bianco è l’emblema della purezza e della fanciullezza, la tonalità più adatta. E il cuore cederà al prescelto”.

A Natale del 1850 Godey’s pubblicò un incisione dell’immagine della Regina Vittoria e del Principe Albert con il loro albero di Natale decorato facendolo divenire di uso comune anche negli Stati Uniti.

Godey’s Lady’s Book cadde in declino dopo il ritiro di Sarah Hale; nel 1878 Godey vendette il giornale e dopo varie vicissitudini cambiò il nome in Puritan.

 

Francesca Galassini

Bibliografia

 

www.accessible-archives.com › Collections and Coverage

 

https://www.britannica.com/topic/Godeys-Ladys-Book

 

https://www.amazon.it/Godeys-Ladys-Book-February-1864/dp/5518917635

 

Francy’s Pills: Victory Rolls, ovvero il Rullo della Vittoria

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La prima metà degli anni Quaranta è funestata dalla tragedia del secondo conflitto mondiale. In Europa le immense perdite civili e la distruzione di molte città rendono la ripresa lenta e difficile. Ovunque c’è mancanza di fiducia, e le donne, costrette al razionamento, indossano abiti tristi e austeri, spesso confezionati con tessuti ruvidi.

Costrette a lavorare in fabbrica nel posto dei propri uomini sognano le dive del cinema hollywoodiano; negli Stati Uniti viene utilizzato il divismo come forma espressiva per esportare i propri ideali di bellezza all’Europa in guerra; attrici come Lana Turner e Hedy Lamarr, con il loro fascino influenzano tutte le donne europee.

Hedy Lamarr nel film del 1944 “The Heavenly Body”

In Italia viene celebrata l’era del cinema dei “telefoni bianchi”, con dive come Valentina Cortese e Doris Duranti; ma come venne esaltato il glamour in un’epoca di austerità e povertà ? Con un nuovo tipo di acconciatura, che faceva pensare alle starlette del cinema: i Victory Rolls.

Doris Duranti

Questo nome bizzarro deriva dalle manovre in cielo degli aerei da combattimento della Seconda Guerra Mondiale; gli apparecchi creavano infatti una sorta di rullo di scarico che rimaneva impressa nel cielo, ispirando le donne dei patrioti ad acconciarsi con grossi riccioli a cilindro, disposti su entrambi i lati della testa, non necessariamente simmetrici.

Foto dal sito: http://vintagevisions27.blogspot.com

Foto dal sito: glamradar.com

Essa era considerata l’acconciatura in onore dei soldati che tornavano a casa: Victory Rolls era la manovra in segno di vittoria! Per questo tipo di pettinatura i capelli venivano girati attorno alle dita o ad un apposito supporto che poteva essere un gomitolo di lana o di cotone; successivamente i grossi riccioli girati su se stessi venivano fissati sul capo con apposite forcine o in mancanza di queste con scovolini.

Questo stile, adottato dalle pin up dell’epoca è ancora oggi in voga, grazie al ritorno della moda degli anni ’40. La diva del Burlesque Dita von Teese  adotta spesso questo tipo di acconciatura nelle sue performance.

Dita von Teese

Katy Perry, Foto: burlexe.com

 

Francesca Galassini

 

Sitografia:

 

La pièce d’estomac

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La piece d’estomac, le stomacher o in italiano, le pettorine furono un accessorio fondamentale del guardaroba femminile dal XVII al XVIII secolo, quando le donne indossavano dei busti aperti sul davanti e le ampie gonne.

Esse erano un panello di stoffa triangolare e venivano indossate sulla parte frontale dell’abito che andava dalla linea del collo fino alla vita e alcune volte anche in po’ più in basso e fissate al busto tramite nastri e aghetti o spille.

Le pettorine potevano essere realizzate a forma di “V” o a forma di “U” e avevano diverse funzioni: esse coprivano il busto e la camicia sottostanti, davano sostegno e decoravano l’abito.

LACMA Collections, Pettorina Frencese 1700-1750.

Pettorina inglese del 1710 ca, inglese, al Metropolitan Museum

In realtà le pettorine erano un’idea alquanto pratica per l’epoca perché erano concepite per essere cambiate a piacimento secondo l’occasione e lo stile dell’abito; alcune erano realizzate dalla stessa stoffa dell’abito, mentre altre erano di una stoffa contrastante; esse permettevano anche cambiare la forma del corpo nei casi di dimagrimento, aumento di peso o gravidanza, l’unica cosa che la donna doveva fare era usare una pettorina più larga o più stretta adattando l’abito alla sua condizione, comprare una nuova pettorina era molto più facile ed economico che dover comprare un nuovo abito.

Maria Carolina of Austria, Queen of Naples” by Anton Rafael Mengs, circa 1768

Grazie alla loro natura di abbigliamento esterno, le pettorine erano spesso molto decorate con ricami, pagliette, nastri, filli metallici, fiochi, fiori, ecc., una delle decorazioni più in voga tra le donne più abbienti era quella di una lunga spilla o gioiello che copriva tutta la pettorina, oppure era usata sopra un abito chiuso frontalmente in modo da simulare una pettorina. All’inizio del 700 erano molto di moda le pettorine con pesanti ricami floreali, cosi come i lacci e i fiocchi arricciati; uno degli stili più popolari di quel secolo era l’échelle, una serie di fiocchi che diminuivano di dimensioni dal collo alla vita, questo stile fu introdotto da Madame de Pompadour, una delle amanti preferite del re francese Luigi XV e fu rapidamente copiato in tutta Europa.

Disegno per un gioiello da corsetto, 1725–50
Cooper Hewitt

Portrait of Madame de Pompadour (1756), detail. François Boucher (French, 1703-1770)

Durante la fine del sedicesimo secolo le pettorine erano irrigidite con stecche di legno o supporti di stecche di balena per creare il profilo rigido e piatto che piaceva all’epoca. L’inflessibilità delle pettorine si abbinava bene con la struttura rigida dei guardinfanti che erano le sottostrutture che reggevano le ampie gonne delle donne. All’inizio del diciassettesimo secolo, sia le gonne sia le pettorine divennero più morbide e fluide; quando la moda cambiò di nuovo verso la fine del diciassettesimo secolo, la rigidità tornò, sebbene le pettorine fossero ora modellate in modo da spingere i seni verso l’alto. I rigidi effetti di sagomatura delle pettorine furono in seguito raggiunti dal corsetto usato nei secoli XVIII e XIX.

LACMA collection, 1775 ca

Alla fine del XVIII secolo, gli abiti, sia di uomini sia di donne, iniziarono a semplificarsi, in parte grazie all’anglomania di cui erano vittime in particolar modo i francesi; questa semplificazione dell’abbigliamento non risparmiò le pettorine che avevano l’inconveniente di dover essere fissate ogni volta e quindi vennero sostituita dalle “compères”, che erano due pezzi di stoffa cuciti permanentemente all’abito, uno a sinistra e uno a destra, realizzati dalla stessa stoffa dell’abito, chiusi sul davanti tramite bottoni o gancetti che agevolavano molto l’atto del vestirsi.

Robe à la Française, ca. 1765 ”

Detail of 1775 compere stomacher heavily trimmed with fly fringe.

Ana Muraca

 

Bibliografia e sitografia:

 



http://www.fashionencyclopedia.com/fashion_costume_culture/European-Culture-17th-Century/Stomacher.html

https://collection.cooperhewitt.org/objects/18554365/

18th Century Stomachers

An Appetite for Fashion Decadence: A Brief History of Stomachers

Francy’s Pills: Un Giorno da Principessa: Breve Storia dell’Abito da Ballo

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Ah… L’abito da Ballo. Quello più etereo, quello più sognato, l’abito delle fiabe…

La tradizione di indossare abiti da ballo risale a molti secoli fa, essa ha origine nel XV secolo presso la Corte di Borgogna tramite il governatore Filippo il Buono, che all’epoca dettava legge in fatto di costume.

L’arte della tessitura della seta, infatti, permise alle cortigiane di indossare lunghi abiti con strascichi ornati con pellicce preziose ( Houppellande). La vivace vita di corte dei secoli XVI e XVII con la sua attenzione verso le arti e la musica crearono un ambiente fertile per gli abiti da ballo femminili. Con l’avvento del periodo barocco l’attenzione cominciò a spostarsi alla corte di Luigi XIV; gli abiti di quel periodo presentavano gonne gonfie, con scollature e maniche bordate di pizzo e fiocchi. Avere l’abito da ballo più bello garantiva che gli sguardi fossero puntati su chi l’indossava, creando un alone di esclusività: ecco perché Maria Antonietta ne ordinava 300 all’anno indossandoli una sola volta. Si dice che quando il proletariato francese prese d’assalto Les Tuileries nel 1792 si diresse direttamente al guardaroba di Maria Antonietta, facendo a brandelli i suoi abiti, simbolo di ostentazione e ricchezza.

Immagine dal film Marie Antoinette del 2006, diretto da Sofia Coppola.

Durante la metà dell’800 l’abito da ballo presentava determinate caratteristiche: corpetto aderente, gonna a crinolina, scollature ampie e braccia rigorosamente nude o coperte da guantini. Le dame cominciarono ad affidarsi a Charles Frederick Worth, couturier di origine inglese, che all’epoca proponeva creazioni esclusive come l’abito da ballo in tulle con stelline lucenti applicate indossato dall’imperatrice Sissi. I modelli di Worth erano “segreti”, nessuno, neanche le riviste dell’epoca erano a conoscenza delle sue creazioni. Scrittori e giornalisti mantennero alta l’attenzione su di lui definendolo “Il grande Worth” avvalorando così la sua leggenda.

Ritratto dell’imperatrice Sissi, realizzato da Franz Xaver Winterhalter

Emilie Pingat, couturier concorrente di Worth, creava affascinanti abiti da ballo con incredibili decorazioni applicate a ricamo sulle grandi superfici, considerati dei capolavori del “più artistico tra gli artigiani parigini”. Pingat era noto per usare nei suoi disegni la stampa del papavero, come dimostra un abito del 1873…

Abito da ballo, Emile Pingat 1860, Metropolitan museum

Nella metà del XX secolo l’Europa era uscita distrutta dal secondo conflitto mondiale. La povertà, i razionamenti dei tessuti avevano tolto fiducia ai couturier francesi che avevano chiuso i loro atelier. Fu un giovane chiamato Christian Dior a ridare smalto alla couture francese con una collezione presentata nel 1947 che è considerata ancora oggi una pietra miliare nella storia della moda e che è stata definita New Look. Dior voleva far tornare le donne a sognare dopo anni di stenti e ristrettezze. Nella collezione inverno del 1949-50 presentò due abiti da ballo tra i più ambiti: Junon e Venus. Junon fu realizzato in tulle di seta azzurro acqua con petali ricamati di paillettes sfumate, Venus in tulle di seta grigio perla con ricami iridescenti. Entrambi i pezzi, conservati al Metropolitan Museum appartenevano alla socialitè americana Byron C. Foy.

Christian Dior, abito “Junon” 1949-50
Metropolitan museum

Christian Dior, abito “Venus” 1949-50, Metropolitan museus

Charles James, genio dell’alta moda americana ha creato alcuni degli abiti da ballo più spettacolari. Negli anni ’30 quando si esibì a Parigi per la prima volta Poiret dichiarò:” Ti passo la mia corona, indossala bene”. James era un artista che costruiva sogni; i suoi abiti da ballo erano cuciti con precisione matematica utilizzando stecche, crinoline e strutture da modisteria e anche se alcuni abiti da Gran Sera come “Butterfly” o “Clover Leaf” pesavano 15 chili, riusciva con una particolare tecnica a renderli leggeri, consentendo a chi li indossava di ballare con grazia e leggiadria. Oggi molti dei suoi abiti sono custoditi al Metropolitan Museum e richiedono delicati sforzi di conservazione in quanto estremamente fragili.

Indossare un abito da ballo rende speciali, anche sotto i riflettori, basti pensare al mondo del cinema: Gwyneth Paltrow nel 1999 ricevette l’Oscar indossando un morbido abito di taffettà rosa di Ralph Lauren.

Charles James, “Butterflie”, 1955, Metropolitan museum

Charles James, “Clover leaf”, Metropolitan museum

 

Francesca Galassini

In copertina un opera di Victor Gabriel Gilbert

Bibliografia

 

https://fashion-history.lovetoknow.com/clothing-types…/ball-dr…

Fashion History 101: The Ball Gown Decoded

Vogue: The Gown, by Jo Ellison

Francy’s Pills: Le Bambole della Gratitudine

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Nel Maggio del 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Europa era devastata, l’economia e le infrastrutture di Francia e Germania erano crollate e milioni di cittadini europei si erano ritrovati in poco tempo sfollati, senza cibo, con la paura e la mancanza di fiducia verso il futuro.

Nel 1947 le condizioni dell’economia europea non si erano risollevate rapidamente come avevano sperato le nazioni alleate, così nel giugno di quell’anno gli Stati Uniti misero in atto il Piano Marshall che aveva l’obiettivo di ricostruire l’industria europea e incoraggiare il commercio tra i continenti. Mentre il piano era in fase di sviluppo un movimento, capeggiato dal giornalista americano Drew Pearson ritenne che il gesto non fosse sincero, ma solo propaganda politica, senza pensare ai veri interessi della popolazione in Europa. Pearson lanciò così un appello via radio a milioni di americani affinché contribuissero a donare cibo, e generi di prima necessità alle popolazioni stremate.

Le merci furono inviate attraverso il “treno dell’amicizia” e l’operazione di Pearson si rivelò un enorme successo tanto che i paesi europei tra cui la Francia per ricambiare il gesto inviarono negli Stati Uniti il “Merci Train”. Oltre sei milioni di famiglie parteciparono con spirito di reciprocità e le organizzazioni europee inviarono preziosi oggetti d’arte, documenti storici e perfino un abito da sposa per una giovane americana. Cinquantaduemila casse di regali furono imballate e caricate sulla nave “Magellan” nel porto di Le Havre in Francia. La nave arrivò a New York il 2 Febbraio 1949, scaricando la merce nei vagoni del Merci Train che viaggiò per 11 giorni attraverso la California, il Nevada, Colorado, Dakota del Sud, Wyoming e Nebraska, fino ad arrivare nuovamente a New York.

 

Tra i doni più preziosi c’erano 49 bambole vestite dai più importanti couturier francesi, ognuno scelse una data tra il 1706 e il 1906 e reinterpretò a modo suo la moda di quell’anno. Ogni couturier si era ispirato alle arti, alla letteratura e ai figurini antichi per realizzare queste bambole. Come nel caso del Theatre de la Mode anche le bambole del Merci Train erano alte circa 24 pollici con le teste e i colli scolpiti nel gesso e le acconciature composte da capelli umani. Inizialmente avevano uno scopo itinerante ma si rivelarono molto fragili nell’affrontare lunghi viaggi. Fu così che vennero acquisite dal Metropolitan Museum, dove sono tutt’oggi custodite.

 

Francesca Galassini

Bibliografia

https://themerrydressmaker.blogspot.com/…/origins-of-1949-me…
azmemory.azlibrary.gov/digital/collection/acmfriend

I Pomander

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Accessori decisamente alla moda dal medioevo fino al settecento, i pomander erano delle piccole palle profumate che contenevano erbe aromatiche come l’ambra grigia, la cannella, i chiodi di garofano e lo zibetto, mischiate con sostanze cerose e racchiuse in contenitori (dallo stesso nome) che presentavano dei piccoli forellini per rilasciare il profumo.

 

La parola pomander, viene dal francese “pomme d’ambre”, che significa mela ambrata e si riferisce sia alla forma tondeggiante della mela, sia all’ambra grigia di cui spesso era composta. Molto usati, perché coprivano i cattivi odori di un periodo in cui l’igiene era molto scarsa alla credenza che l’acqua propagasse le malattie. I primi pomander risalgono al XIII secolo e provengono dall’oriente, diventando presto appannaggio delle classi più alte e dal clero.

Ritratto di donna con pomander, Barthel Bruyn il Vecchio, 1547 ca.

I pomander erano spesso realizzati in oro o argento e avevano dei dettagli decorativi particolari come la filigrana, lo smalto o l’incastonatura di pietre; oggetti come questi erano fondamentali per vivere in un ambiente che spesso era maleodorante e se racchiusi in dei contenitori decorati con delle pietre preziose o semi preziose, assumevano una valenza sacra o acquisivano dei poteri magici con delle proprietà curative.

Pomander, Germania, inizi del XVII secolo, V&A museum

Olanda 1600-1625
https://www.rijksmuseum.nl/nl/collectie

Pomander, prima metà del XVII secolo, Met Museum

Molti pomander presentavano delle incisioni come iniziali e frasi e la classica forma tonda poteva trasformarsi in una barca, un teschio, una lumaca e altri animali, ma anche in un frutto, un cuore, e persino un crocifisso e qualche volta al loro interno c’erano delle partizioni che permettevano di avere più di un profumo. I pomander avevano diversi formati, essi pendevano dalle cinture o da catene intorno alla vita, come ciondoli per collane o addirittura come perline di un rosario. Maria di Scozia aveva un gran numero di pomander, da ornamenti per la testa a collane e cinture, fu persino seppellita con una catena fatta con perle di pomander da cui pendeva un agnus dei.

!500-1600, pmander appartenuto alla regina Maria di Scozia, Royal Collection Trust

I pomander erano usati sia da donne sia da uomini delle classi aristocratiche, era noto che il re Enrico VIII possedeva almeno sedici pomander, mentre la regina Elisabetta I era spesso ritratta indossandone uno.

Regina Elisabetta I, 1580, artista sconosciuto, Collezione Privata.

Ai primi dei settecento, i pomander divennero più piccoli e venivano usati attaccati a delicate catene, alle chatelaine o tramutate in bottoni e anelli, ma fu sempre in questo periodo in cui i pomander e la gioielleria aromatica iniziano a scomparire lentamente.

Ana Muraca

 

Sitografia:

http://dioneaorcini.com/medieval-more-info/

http://www.langantiques.com/university/Pomander

https://en.wikipedia.org/wiki/Pomander


Bibliografia generale sulla Storia del Costume

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Qui, potete trovare una lista di alcuni dei migliori titoli sulla storia del costume in generale, è una lista destinata a crescere col tempo quindi, se il vostro libro preferito non ne fa parte, scriveteci e lo aggiungeremo volentieri.

















Il bandeau

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Il bandeau è stato uno dei primi accessori per capelli, utilizzato da uomini e donne sin dall’antichità: dai sumeri agli assiri, dai greci ai romani e in seguito indossato con esiti altalenanti sino ai giorni nostri. Si tratta di una fascia più o meno decorata, da indossare sulla testa e che copre la fronte e la nuca, essa permette di tenere a posto i capelli e di realizzare anche acconciature più complesse.

Busto di una giovane donna, forse una sacerdotessa a giudicare dal suo diadema e pettinatura. Tarda età romana. Marmo. Istituto d’arte di Chicago.
Immagine dal sito: http://travelswithnancy.com

I bandeau furono anche usati durante il medioevo e il rinascimento soprattutto in Italia, ma ad avere la prima vera ondata di popolarità, si dovete aspettare fino all’inizio dell’ottocento quando durante il neoclassicismo si ripresero alcune mode dell’antichità; essi erano spesso composte di fili di perle o gemme passati sulla fronte e allacciati alla pettinatura nella parte posteriore, erano molto usati per abbellire l’acconciatura e incorniciare il viso, come nel ritratto della principessa Paolina Bonaparte, raffigurata con un bellissimo bandeau – gioiello.

Horae ad usum Parisiensem [Heures de René d’Anjou, roi de Sicile (1434-1480)] | Gallica

Ritratto della principessa paulina Bonaparte

Durante il periodo edoardiano, quando si riprese ancora una volta l’immaginario greco con morbidi drappeggi di tessuto, la silhouette aderente e la vita alta; i bandeau tornarono di moda ma arricchiti da perline, nastri, merletti, passamanerie, giaietto e pietre preziose.

La Coiffure Française illustre, 1910

All’inizio del 900, s’iniziarono a usare delle bande spesso realizzate in crochet decorate con nastri, fiori di stoffa e pizzo, seguendo una credenza diffusa all’epoca, secondo la quale un po’ di pressione sulla fronte, poteva far passare il mal di testa. Insieme a questa tipologia di bandeau, Poiret lanciava, ispirandosi ai balletti russi, uno stile orientaleggiante che includeva bandeau e turbanti con una marcata connotazione drammatica e teatrale, realizzati spesso in tessuti esotici e decorati con piume, oppure ingioiellate, ricoperte di perline o lustrini.

Headache bandeau dei primi del 900. Immagine da: www.vintagetextile.com

Paul Poiret 1910. Met Museum

Poiret bandeau 1913

Il periodo di maggiore splendore del bandeau furono gli anni venti, esse divennero un simbolo delle flapper, si adattavano meravigliosamente al taglio alla garçonne e permettevano di esprimere quello spirito allegro e frizzante dell’epoca; se di giorno la donna alla moda usava le cloche, la sera il bandeau era indispensabile; infatti, si usavano spesso dei veri e propri gioielli a forma di bandeau, soprattutto dopo la scoperta della tomba di Tutankhamon, avvenuta nel 1924, che scatenò la moda d’indossare corone, tiare, piccoli clip per cappelli e tutto ciò che potesse trasformare una donna in una dea egizia.

Gloria Swanson, in “My American Wife” (1922)

Paul Poiret, moda ispirata all’antico Egitto, anni 20

Suzanne Lenglen, tennista francese, vincitrice di ben 31 titoli di campionato e la prima celebrità del tennis femminile, fu una grande promotrice del bandeau, era solita usarli durante le sue partite, non più con una funzione meramente decorativa ma anche funzionale, cosi manteneva a posto i capelli e asciugava il sudore della fronte.

Suzanne Lenglen, foto dal sito: heavy.com/sports/2016/05/suzanne-lenglen

Con la seconda guerra mondiale, le donne costrette a uscire di casa per unirsi alla forza lavoro che produceva per lo più armi e munizioni, cominciarono ad indossare delle sciarpe arrotolate intorno alla testa per proteggere i capelli e per evitare incidenti con i macchinari.

Due lavoratrici degli anni 40. Immagine da: http://amo-vintage.tumblr.com

Negli anni cinquanta le attrici di Hollywood resero il bandeau nuovamente un accessorio alla moda, attrici come Brigitte Bardot, Audrey Hepburn e la principessa Grace Kelly sono state spesso fotografate usando dei semplici bandeau. Tale moda continuò durante gli anni sessanta, con un particolare ritorno, quello dei bandeau sportivi, guidato dai grandi del tennis come John McEnroe e Bjorn Borg e dall’icona del basket Slick Watts .

Brigitte Bardot
www.harpersbazaar.com/beauty/hair/g7053/iconic-headbands/

Da questo periodo in poi il bandeau è stato uno degli accessori più versatili e usati; a seconda delle tendenze della moda, si è fatto riferimento ai bandeau degli anni venti, degli anni cinquanta e così via, e oggi è diventato parte integrande del guardaroba di ogni bambina, ragazza e donna.

 

Ana Muraca

 

Bibliografia e sitografia:

 

 

1920s Headband, Headpiece & Hair Accessory Styles

https://www.kooshoo.com/blogs/news/7723339-the-history-of-the-headband

 

http://sheepandstitch.com/history-of-the-headband/

 

https://www.harpersbazaar.com/beauty/hair/g7053/iconic-headbands/

La reticule a forma di ananas

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Tempo fa, avevo notato una piccola borsetta dell’inizio del XIX secolo, nelle pagine del libro del Kyoto Costume Institute “La Moda, storia dal XVIII al XX secolo”, quello che mi aveva colpito oltre alla sua particolare forma ad ananas, era quanto sembrava realistica nonostante fosse stata fatta a maglia.

Guardandola nel dettaglio, si vede che le foglie sono composte di ben quattro tonalità di verde, dal più chiaro al più oscuro, mentre il centro era di un giallo intenso, molto simile a quello di un ananas vero; poi il tutto era sorretto da una sottile cordicella verde.

Kyoto Costume Institute

Una borsetta molto simile l’ho vista dopo in un film, si trattava di “Bright Star”, era la storia degli ultimi tre anni della vita del poeta inglese John Keats e la sua storia di amore con Fanny, una ragazza indipendente che amava creare e cucire i suoi propri abiti. In una scena, l’intraprendente Fanny se ne va in giro in abito bianco, uno spencer rosso e una borsetta a forma di ananas, mai un abbinamento fu così azzeccato, era splendida, e la storia mi ha incuriosito ancora di più e quindi mi sono messa a fare qualche ricerca.

Dal film “Bright Star”

La borsetta in questione è una reticule, usata principalmente dal 1795 al 1820, il suo nome deriva dalla parola francese “réticule”, che a sua volta deriva dal reticolo latino, un diminutivo di rete. Queste piccole borsette divennero di moda durante il periodo della reggenza nel tardo XVIII secolo grazie al drastico cambiamento della moda. In precedenza, le donne portavano oggetti personali in tasche nascoste legate intorno alla vita; ma la nuova moda composta di abiti a colonna realizzati in tessuti sottili, non contemplava l’utilizzo di tale sistema e quindi ecco che compaiono le reticule. Col passare del tempo, questi nuovi accessori sono state realizzati in una grande varietà di tessuti come il velluto, la seta e il raso; la loro chiusura era a cordoncino nella parte superiore e venivano portate sopra il braccio su una corda o catena. I reticule erano una espressione della creatività femminile, le donne spesso si creavano i propri modelli, per questo si trovano una grande varietà di forme, stili e decorazioni.

Fichu de Velours, Redingote de Merinos (and a tasseled reticule), Costume Parisiene

Per quanto riguarda la nostra borsetta a forma di ananas, sembra sia stata ispirata da Josephine de Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte la quale era nata nell’isola della Martinica, nei caraibi, e che tra le altre mode da lei lanciate c’era anche quella della frutta esotica come motivo decorativo. La borsetta era stata realizzata in fili di seta gialli, verdi e decorata con perline argentate.

Reticule, Kyoto Costume Institute

Una versione della “Pine Apple Bag” apparve in “The Lady’s Assistant”, per la realizzazione di disegni utili e fantasiosi a maglia o all’uncinetto, pubblicati dalla signora Jane Gaugain nel 1840; il che ci fa capire che questo modello non era poi cosi raro e curioso ma probabilmente molto alla moda; infatti fino a noi sono arrivate diverse varianti.

Reticule 1800 – 1829 al Victorian and Albert Museum

Reticule del 1825 al Rijksmuseum museum

Ana Muraca

Bibliografia e sitografia:

http://twonerdyhistorygirls.blogspot.com/2018/07/from-archives-pretty-witty-pineapple.html

Welcome to Jane Austen – www.janeausten.co.uk

Terminology: What is a reticule or indispensable?

 

Il moiré

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Anche conosciuto come “watered silk” (seta marezzata), si tratta di una tipologia di tessuto che vuole imitare le increspature dell’acqua; usato sin dal medioevo sia nell’abbigliamento che nell’arredamento.

 

L’origine del moiré risale al medioevo dove era tenuto in grande considerazione ed era usato per abiti da donna, mantelle, e per rivestimenti e guarnizioni. In origine il moiré era fatto solo di taffetà di seta e in seguito anche in lana, cotone e fibre sintetiche come la viscosa (rayon).

Borsa in moirè, fine settecento, inizio 800.
Foto: rubylane.com

L’aspetto marezzato è solitamente creato dalla tecnica di finitura chiamata calandratura nota come “moire antique” e “moire anglaise”,; in questa procedura, il tessuto viene inumidito e piegato longitudinalmente a metà con il lato frontale verso l’interno e con le due cinture che corrono affiancate. Poi, vengono utilizzati rulli a coste e le nervature producono l’effetto filigrana, i rulli lucidano la superficie e rendono il tessuto più liscio e lucente. Vengono utilizzate anche le alte temperature e la pressione, in questo caso, il tessuto viene spesso smorzato prima di essere fatto scorrere attraverso i rulli. Il risultato finale è un tessuto lucente, cangiante, dovuto alla riflessione divergente dei raggi di luce sul materiale, causati dalla compressione e dall’appiattimento dell’ordito e dal riempimento dei fili in punti, formando così una superficie che riflette la luce in modo diverso. Ci sono anche altri tipi di moire fatti da alcune armature, come la variazione della tensione nell’ordito e nella trama, l’utilizzo di un ordito e trama di colori diversi, facendo scorrere il tessuto attraverso rulli di rame incisi o semplicemente stampando l’effetto su un tessuto liscio.

Moirè

Nella moda, il moiré viene spesso utilizzato per abiti da sera in taffetà di seta e abiti da ballo. È anche usato frequentemente per i tessuti di arredamento per la casa, come tende e tappezzerie.

All’epoca di Luigi XIV si usava una tipologia di moiré a cannettatura netta su fondo scuro. Il periodo barocco vidi l’ascesa del tessuto moiré utilizzato nella tappezzeria; mentre che durante il periodo Vittoriano, il moiré fu molto usato da grandi creatori di moda come Charles Frederick Worth, chi era solito disegnare abiti in moiré , ricamati con perline per le dame di corte; mentre nel XX secolo è stato molto usato per abiti da sera e da matrimonio, particolarmente belli gli abiti da cocktail creati da Cristian Dior durante gli anni cinquanta.

French gentleman’s or boy’s silk coat & waistcoat, 1780s-1790s
Foto di: vintagetextile.com

House of Worth, 1894.
Foto: diary.ru

Abito del 1880s, marchio ‘Henry Darling & Co, Edinburgh.

Christian Dior, 1952, abito Moiré

Abito da sposa, Molyneux weddig dress – 1948.
V&A museum

I tessuti moiré di solito sono corposi e possono anche essere rigidi, ma bisogna fare molta attenzione a piegarli perché possono trattenere le pieghe e la maggior parte non può essere stirato. Alcuni perdono la loro lucentezza speciale se si bagnano, quindi molti oggetti fatti con un disegno moiré – specialmente sete e rayon – devono essere lavati a secco.

 

Ana Muraca

Bibliografia e sitografia:

*”Dizionario internazionale dei tessuti”, Bianchi editori

* https://oureverydaylife.com/what-is-moire-fabric-12303299.html

*https://en.wikipedia.org/wiki/Moire_%28fabric%29

 

La storia della giacca

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EVOLUZIONE DEI MODELLI MASCHILI

La giacca è un capo divento un “must have” sia del guardaroba maschile che di quello femminile, possiamo riconoscere la sua origine in diversi capi maschili del passato come il FARSETTO con falde allungate, nel COLLETTO MILITARE indossato sotto l’armatura, nella CASACCA o GIUBBA della seconda metà XVII secolo fino ad arrivare alla MARSINA. che abbinato a GILET e CALZONI, costituirà la formula dell’abito maschile, che resterà in uso per tutto il Settecento, fino alla Rivoluzione Francese.

Il FRACK, derivato dal Frockcoat, capospalla di origine militare comparso in Inghilterra nel 1720, fu adottato come soprabito informale dagli aristocratici per la caccia e la vita in campagna. All’inizio dell’Ottocento, Lord Brummel, arbitro dell’eleganza londinese, lo consacrò vestito civile da cerimonia. Il modello si presentava corto sul davanti, in modo da rivelare il fondo del Gilet, con allacciatura doppiopetto, revers molto pronunciati, maniche arricciate e imbottite all’attaccatura, lunghe e strette ai polsi. La vita fortemente segnata evidenziava la convessità del petto, le falde a coda, lunghe al ginocchio, erano separate da uno spacco posteriore. Per tutto il Novecento e ancora oggi il FRAC, HABIT NOIR per i francesi, TAIL COAT in Inghilterra, rappresenta l’abito maschile da cerimonia, il più elegante in assoluto, riservato ad occasioni speciali ed ambienti esclusivi. (Completano la mise: il panciotto in piquè bianco, la camicia con sparato pieghettato, colletto ad alette e polsini semplici con gemelli, il cravattino in piquè, sempre bianco, detto WHITE TIE).

 

Lo SPENCER comparve in Inghilterra alla metà del XVIII secolo e si diffuse in epoca Impero per merito di Lord J.C. Spencer; fu adottato dagli uomini in viaggio, dai militari e anche dalle signore. Il termine individua una giacca a doppio petto corta in vita, senza falde, collo a revers e con maniche lunghe.

Spencer 1800 ca, V&A museum

Dalla metà dell’Ottocento, l’abito da giorno del signore elegante formato da tre pezzi, redingote, pantaloni e gilet, rappresenta l’uniforme borghese diffusa in tutti i ceti sociali. La REDINGOTE, giacca di linea a clessidra, lunga al ginocchio e stretta alla vita, presentava falde tagliate diritte all’apertura in modo da sovrapporsi quando allacciata. Era realizzata in panno di lana, di colore blu o grigio scuro, foderata in seta o in flanella scozzese; veniva indossata di giorno su pantaloni diritti, a quadri o a righe.

Uomo che indossa una Redingote, 1834.

Nel 1857, si diffonde in Inghilterra come mise da giorno la JAQUETTE o LONG JACKET, che all’inizio provoca il disprezzo del mondo elegante. La JAQUETTE si presentava diritta, larga alle spalle e lunga alle anche, con abbottonatura alta sul petto, due semplici cuciture laterali, due tasche tagliate; confezionata on tessuti a grandi quadri o righe, si abbinava a pantaloni coordinati che ricadevano sul piede e senza staffa. Alla fine del secolo, comparve un nuovo modello di giacca a falde arrotondate, lungo al ginocchio e di colore scuro, la FINANZIERA, che divenne l’abito da giorno dei banchieri e alti funzionari; veniva indossata sopra il GILET e pantaloni a tubo rigati o quadrettati, camicia bianca inamidata, cravatta e cilindro ed era destinata a gli appuntamenti d’affari, alle visite mattutine, alle passeggiate.

Jaquette, 1906, Wikipedia. Maison du Petit Saint-Thomas, Eté 1906

All’inizio del Novecento s’impone un nuovo modello inglese: il TIGHT COAT, giacca attillata da giorno, che relega la REDINGOTE ad eleganza demodé. Il TIGHT, possiede un un unico bottone sul davanti e ha solo il taschino in alto a sinistra; è caratterizzato dalle falde che arrivano fino al ginocchio, arrotondate sul davanti e formano due lunghe code sul dietro.  I colori preferiti erano il grigio scuro o nero, ed era abbinato a pantaloni grigio/nero di linea diritta, camicia, gilet e cravatta. Il TIGHT sarà la giacca dell’abito maschile da giorno utilizzata per tutti gli appuntamenti ufficiali e le cerimonie eleganti.

Tight, foto dal sito: www.ilblogdelmarchese.com

Lo SMOKING è l’abito maschile da sera o da società, il più formale in assoluto. In Italia e in Francia si chiama SMOKING, in Inghilterra DINNER JACKET, letteralmente giacca da pranzo, mentre negli Stati Uniti è chiamato TUXEDO, dal nome del club Tuxedo Park a New York dove comparve per la prima volta nel 1886. La giacca da SMOKING mono o doppiopetto, spesso nera, viene realizzata in panno leggero di lana con revers in seta e tasche a filetto; si indossa abbinata a pantaloni della stessa stoffa con un gallone di seta sul lato esterno; d’obbligo il PAPILLON e le scarpe di vernice nera. Una fusciacca in vita, la CUMMERBUND, a partire dal 1925 sostituisce il GILET.

Smoking, Lanvin 1927, Metropolitan Museum

Il BLAZER, la classica giacca con collo a revers, tasche a filetto e taschino in alto a sinistra, è nata come indumento maschile tra la fine del XIX e l’inizio del XX. Adottata come uniforme in alcuni college inglesi, tra cui Oxford e Cambridge, con il distintivo del college stesso sul taschino, fu realizzata in colori vivaci. Pare che da qui derivi il nome “BLAZER”, infatti in inglese “Blaze” significa “splendore”, inteso come vivacità dei colori. Successivamente il termine BLAZER indicherà la giacca classica da uomo. Dalla metà degli anni sessanta questo termine è usato per indicare la giacca di taglio maschile sia da uomo che da donna, monopetto o doppiopetto. Il NAVY BLAZER è una giacca con bottoni dorati doppiopetto blu scuro.

Blazer 1928, Museum at FIT

Principe Carlos con il suo Blazer, Foto: theguardian.com

Negli anni Ottanta,la giacca Armani, DESTRUTTURATA, non più rigorosamente maschile o femminile, ha creato un nuova concezione di vestibilità e di moderna sartorialità….

 

Armani, giacca destrutturata degli anni 80.

DESTRUTTURARE: scomporre una struttura per riorganizzarla; scomporre un ordine formale per nuove creazioni artistiche.

 

Daniela Aquila

Bibliografia:






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