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I pericoli della moda Vittoriana

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In epoca Vittoriana la moda era veramente pericolosa e causa di sofferenze atroci: colori tossici, tessuti infiammabili, cosmetici al piombo, corsetti strettissimi…

Essere alla moda aveva un prezzo altissimo, e di eleganza si poteva anche morire.

La Regina Vittoria, salita al trono nel 1837 divenne una sorta di icona per la sua giovane età e contrariamente alla credenza popolare, fino alla morte del Principe Albert, era molto interessata alla moda, dopo il 1840 gli abiti avevano perso quelle caratteristiche frivole come le maniche a palloncino o i colori sgargianti in favore di un’eleganza pudica e semplice, essi erano caratterizzati da vita bassa, spalle cadenti e corsetti stretti, i bustini erano tagliati in pezzi separati e cuciti insieme a modellare i fianchi, nella parte anteriore veniva inserita una fascia d’acciaio, mentre nella parte posteriore delle stecche di balena erano cucite per dare più struttura. Il corpo della donna rimaneva quindi rigido e in una posizione innaturale impedendole di respirare comodamente.

Foto da: http://drawthisdress.tumblr.com

Anche le gonne presentavano problemi; cucite con pesanti strati di sottovesti erano calde e antigieniche, soprattutto d’estate. Durante il 1850 le gonne divennero ampie in modo eccessivo e si usavano sopra le “Crinoline”: delle gabbie composte da fasce in acciaio flessibile che aumentavano il diametro verso il basso, creando un effetto detto a campana; questa moda divenne così popolare che “Punch”, eco satirico della borghesia, la soprannominò “CrinolineMania”. Molto è stato scritto e disegnato sugli inconvenienti e la pericolosità di questi indumenti, uno dei rischi maggiori era quello di non essere in grado di salire in carrozza e di rimanere impigliate nelle ruote, anche una giornata ventosa poteva rivelarsi imbarazzante in quanto la crinolina con una forte folata di vento poteva capovolgersi come un ombrello, mostrando l’intimo ai passanti.

Una delle maggiori accuse a cui faceva riferimento Punch era che la crinolina veniva spesso indossata per compiere furti; il giornale descrisse che una malcapitata aveva nascosto una grande varietà di oggetti sotto all’enorme vestito: bonbons, orologi, gabbie per uccelli, pasticci di carne e quant’altro; la donna fu naturalmente arrestata all’istante. Il pericolo maggiore era comunque rappresentato dal fuoco, poiché qualunque donna poteva cadere in un camino o rovesciare un tavolo con una candela, la situazione peggiorava ulteriormente a causa dell’alta infiammabilita’ dei tessuti e dall’aria presente sotto alla gonna che faceva in modo che il fuoco la divorasse velocemente, Frances Appleton Longfellow mori’ ustionata quando la sua crinolina prese fuoco.

Foto: victorianparis.wordpress.com

Foto dal sito: http://vichist.blogspot.it

In quegli anni inoltre ci fu un dato curioso: divenne di moda somigliare ai malati di tubercolosi. Le donne dell’epoca volevano infatti emulare Marie Duplessis, cortigiana francese nota per la sua bellezza sorprendente, nel suo ritratto piu’ noto dipinto da E’douard Viénot la dama appare con occhi scintillanti e una pelle color avorio, purtroppo la Duplessis era malata di tubercolosi che l’uccise nel 1847 all’eta’ di 23 anni; tutte le donne si truccavano quindi con prodotti per schiarire la pelle, coloravano le guance di rosa e arrossavano le labbra, proprio come una malata di tubercolosi in stato febbricitante. Nel 1882 Robert Koch annuncio’ di aver scoperto e isolato i batteri che causavano la malattia; inizio’ quindi un periodo di prevenzione con campagne di salute pubblica su larga scala; i medici accusarono i lunghi abiti delle signore, colpevoli secondo loro di spazzare germi e escrementi dalla strada, portando malattie in casa.

Marie Duplessis by Édouard Viénot

 

Prima del 1780 il verde era un colore molto difficile da riprodurre come tintura per i vestiti, fino a quando un chimico svedese-tedesco di nome Carl Wilheim Scheele invento’ un nuovo pigmento verde mescolando potassio e arsenico bianco con una soluzione di vetriolo al rame, questo colore, ribattezzato “Emerald Green” divenne cosi’ diffuso che fu utilizzato oltre che per tingere abiti anche per fabbricare caramelle, giocattoli e candele. Questo tipo di colorante era pero’ altamente tossico e velenoso, poteva infatti provocare nausea, diarrea e mal di testa, a contatto con la pelle esercitava un effetto corrosivo con ulcerazioni sulle mani, unghie e braccia. Nel 1871 una signora che aveva acquistato una scatola di guanti color verde smeraldo soffriva di ulcerazioni cutanee sulle unghie.

Nel 1860 un rapporto della Ladie’s Sanitary Association diffuse la notizia che un copricapo contenente arsenico era in grado di uccidere venti persone. Il British Medical Journal scrisse:” Gli abiti verdi delle signore possono uccidere uno stuolo di ammiratori in una dozzina di sale da ballo”. Nonostante i ripetuti avvertimenti da parte di medici e scienziati le donne vittoriane sembravano innamorate del verde all’arsenico.

“Emerald Green” dress colored with arsenic, English or French (c. 1860–1865) (Collection of Glennis Murphy, photograph Arnold Matthews)

Un altro problema molto diffuso era quello dei tessuti infetti che diffondevano malattie nelle fabbriche, nelle case popolari ma anche tra i ricchi della borghesia, secondo Alison Matthwes David la figlia del primo ministro vittoriano Sir Robert Peel morì dopo che aveva indossato un abito usato per coprire un malato di tifo; spesso infatti gli abiti erano confezionati in luoghi fatiscenti e in situazioni di assoluto degrado.

In epoca vittoriana l’abbronzatura era prerogativa solo di chi lavorava all’aria aperta e non delle donne dell’alta borghesia che la consideravano indice di non “purezza razziale”, per creare il pallore della pelle venivano usati trucchi a base di piombo che causavano la paralisi del nervo radiale, nel 1869 uno dei fondatori dell’American Medical Association scrisse che aveva preso in cura tre donne che si erano imbellettate con trucchi al piombo e che dopo avevano presentato una paralisi temporanea alle mani.

Tra i cappelli piu’ popolari dell’epoca c’erano quelli con uccelli imbalsamati che furono uccisi in nome di chissa’ quale eleganza; ma anche i volatili, secondo alcuni studi, fecero le loro vittime inconsapevoli, la tecnica di imbalsamazione prevedeva infatti l’uso di saponi all’arsenico, altamente tossici e nocivi. Nel 1887 la commentatrice di moda Mrs Haweis inizio’ una diatriba contro l’uso di questi uccelli “fracassati” scrivendo:” Un cadavere non è mai un piacevole ornamento”, negli anni successivi il progresso scientifico e tecnologico determinarono un cambiamento nei costumi e una maggiore consapevolezza che la salute era importante quanto l’eleganza; e forse anche di piu’.

1885 The Victoria & Albert Museum

Francesca Galassini

 

Bibliografia:

 

Fatal Victorian Fashion and the Allure of the Poison Garment

http://pictorial.jezebel.com/the-arsenic-dress-how-poisonous-green-pigments-terrori-1738374597

Deadly Victorian fashions

http://www.smithsonianmag.com/science-nature/how-tuberculosis-shaped-victorian-fashion-180959029/?no-ist

http://www.vam.ac.uk/content/articles/c/corsets-and-crinolines-in-victorian-fashion/

 

 

 

 

 

 

 


10 curiosità sull’epoca Vittoriana

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L’epoca vittoriana è piena di curiosità e invenzioni bizzarre in fatto di costumi e di moda, qui vi proponiamo 10 cose che probabilmente non sapevate su questo periodo e che ne sono la prova:

I lunghi capelli femminili furono una vera ossessione, essi non erano tagliati se non in caso di malattia, avere una chioma lunghissima quasi fino ai pedi era sinonimo non solo di bellezza ma anche di buona salute. I capelli venivano sciolti solo nell’intimità della camera coniugale, questo perché in quel periodo erano considerati un oggetto erotico oltre che facevano aumentare la dote, tale valore proveniva da una tradizione letteraria molto diffusa dove le donne dai lunghi capelli simboleggiavano forza e sacralità, incantando e proteggendo i cavalieri dagli attacchi del Male.

Dal sito http://www.vintag.es

Prima dell’epoca vittoriana, era consuetudine conservare dentro un medaglione o un altro tipo di gioiello, una ciocca di capelli del proprio amato o di un caro estinto, ma quello che era solo un’usanza commemorativa, le donne vittoriane la convertirono in una vera e propria arte.   I capelli iniziarono a essere tessuti o lavorati come un merletto per creare ogni tipo di gioiello.

Foto: http://www.catlynch.com

In Inghilterra, durante il medioevo, il cross dressing, ovvero, lo scambio di abiti tra i generi, era utilizzato a teatro, in particolare dagli attori maschi che si vestivano da donna per interpretare i ruoli femminili. Durante la pudica età vittoriana, le autorità religiose si opponevano con forza a questa pratica perché si prestava a confusione e a una rilassatezza dei costumi, ma nonostante ciò, o forse proprio per questo, il cross dressing fu molto popolare, incoraggiato anche dall’interesse feticistico per la lingerie femminile, i corsetti e le scarpe che come oggetti di costrizione, producevano piacere.

Nella comunità omosessuale, alcuni uomini iniziarono a praticarlo, per poter vivere con il proprio uomo come una coppia, oppure per poter adescare altri uomini. Famoso il caso di due attori dilettanti, Boulton e Park che furono arrestati mentre, vestiti da donna, cercavano di rimorchiare in una sala piena di uomini.

Ernest Boulton e Frederick Park, noti come Stella e Fanny.
Foto:

L’epoca vittoriana fu segnata dall’uso diffuso di laudano in Europa e negli Stati Uniti, il laudano, era una tintura di oppio con un’elevata concentrazione di morfina usato come un potente antidolorifico e veniva prescritto per una gran numero di disturbi e malattie degli adulti ma anche dei bambini: dai raffreddori alla meningite, dalle malattie cardiache ai crampi mestruali, dall’insonnia alle irritazioni. Questa droga, usata come oggi noi usiamo l’aspirina, causava assuefazione e se assunta una dosi massicce poteva causare anche delle allucinazioni e portare alla morte.

Foto: goticomania.it

 

Durante quest’epoca la morte era cosi presente nella vita quotidiana, grazie a grosse epidemie di colera, tifo, difteria, per non parlare dell’alto tasso di mortalità infantile, che quando comparve la fotografia, fu casi naturale avvalersene per rubare un ultimo ricordo alla morte, così divenne consuetudine farsi fotografare accanto al caro estinto per ricordarlo, ma anche per ricordarsi che la morte era sempre in agguato.

Foto: curiosauro.it

Un’altra usanza legata al luto era quella di usare i tearcatchers, o bottiglie raccogli lacrime: durante i funerali, i familiari e gli amici piangevano il caro estinto e raccoglievano le proprie lacrime in questi lacrimatoi, che successivamente venivano chiusi con uno speciale tappo che lasciava evaporare le lacrime e quando il contenitore tornava a essere vuoto, anche il periodo di lutto era finito, indicando alla persona che era arrivato il tempo di andare avanti con la propria vita.

Foto: Paris Hotel Boutique

 

L’industrializzazione cambiò velocemente lo stile di vita accrescendo la produttività, la gente iniziò ad avere più tempo libero da dedicare allo sport, alle gite al mare o in montagna e a ballare. Le donne però si ritrovarono più che mai con un grattacapo da risolvere, come poter fare tutte queste cose senza rovinare o sporcare le preziose gonne e allo stesso tempo evitare di mostrare più del necessario.  La risposta fu un curioso oggetto chiamato “Skirt lifter” ovvero la pinza reggi gonna: era una sorta di forbici senza lama che finiva in due dischi interni che servivano per afferrare un lembo della gonna, mentre all’altra estremità c’era un piccolo anello attaccato a un nastro, a una corda o a una catena per sospendere l’oggetto, giusto sotto la vita.  Si pensa siano comparsi già durante gli anni quaranta dell’ottocento per sollevare le gonne delle signore durante le lunghe passeggiate, arrivando a essere un accessorio molto popolare, a partire dagli anni sessanta, fino all’inizio del nuovo secolo.

Foto: Christie’s

 

Durante il periodo Vittoriano, i tussie mussie, piccoli bouquet di fragranti erbe e fiori, divennero più un accessorio alla moda che un oggetto usato per ragioni di salute; essi erano portati in piccoli vasi d’argento che potevano essere attaccati al corpetto; furono pubblicati un gran numero di dizionari dove era possibile capire il significato simbolico di ogni pianta, perché per una giovane donna era di grande importanza non solo conoscere tali simbologie, ma anche doveva essere brava a comporre i bouquet e a sapere quale era il più adeguato a seconda dell’occasione.

“De quoi écrire (What to Write)” by Hermann Fenner- Behmer, c1890, private collection.

Verso la metà del secolo, le gonne iniziarono a crescere sempre di più, e a essere indossate sopra le “Crinoline”: delle gabbie composte da fasce in acciaio flessibile che aumentavano il diametro verso il basso, creando un effetto detto a campana; questa moda era cosi scomoda e pericolosa, che rendeva ogni movimento tutta una impresa, essa poteva rimanere impigliata ovunque, alzarsi con una follata di vento lasciando allo scoperto tutte le virtù della proprietaria, ma anche incendiarsi inavvertitamente mentre si passava vicino a una candela, la situazione poteva peggiorare ulteriormente a causa dell’alta infiammabilità dei tessuti e dall’aria presente sotto alla gonna che faceva in modo che il fuoco la divorasse velocemente.

circa 1858 (Photo by Hulton Archive/Getty Images)

L’età d’oro della tassidermia fu durante l’epoca vittoriana, essa fu così popolare che animali impagliati finirono per fare parte non solo dell’arredamento interno, ma furono anche utilizzati per decorare cappelli, orecchini, collane e tutta una serie di accessori di moda che finirono con diversi specie di uccelli; ma la moda andò anche oltre con Walter Potter chi creava delle vere e proprie scene con piccoli conigli, criceti e tutta una serie di piccoli animali disposti a giocare a cricket o in un aula da scuola o ancora mentre partecipano ad un animato ballo.

Cappellino del 1890 ca.
Foto: yeoldefashion.tumblr.com

 

Ana Muraca

Bibliografia:

https://en.wikipedia.org/wiki/Laudanum

https://it.wikipedia.org/wiki/Laudano

Crossdressing, sex and gender di Di Vern L. Bullough,Bonnie Bullough

http://www.bbc.com/news/uk-england-36389581

Steampunk

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Se non avete mai sentito parlare di “Steampunk” sicuramente avrete visto gli abiti, gli accessori e gli oggetti riferiti a questo genere di cultura, che spazia su piu’ piani artistici, in ogni campo, passando per la moda, il design di oggetti e accessori, come orologi e occhiali, la letteratura, il cinema, come il film Viaggio al centro della terra (1959), La Citta’ Perduta (1995), per citarne alcuni, ma anche auto e moto.

 

Il primo ad introdurre il termine stempunk fu lo scrittore K.W. Jeter che lo scrisse nell’introduzione di Morlock Night nel 1987. La parola “Steam” sta per vapore ed indica i macchinari che si muovono con la forza motrice del carbone. “Punk” in questo caso ha il significato di grezzo, ferruginoso, di scarsa qualita’.

 

Il fulcro dell’estetica steampunk è infatti il vecchio ingranaggio di un oggetto e il riciclo del ferro. Uno slogan tipico per descrivere l’atmosfera steampunk puo’ essere :” come sarebbe stato il passato se il futuro fosse accaduto prima”. Narratori come Jules Verne, H.G Wells o i piu’ moderni Philip Pullman o Stephen Hunt citano invenzioni retro futuristiche e macchine fantasiose, immaginate da persone vissute nel XIX secolo.

Foto: http://steampubpalermo.it

 

Nella moda il genere steampunk ha fan in tutto il mondo con oggetti e indumenti caratterizzati da materiali come il rame, il cuoio e gli ingranaggi il tutto unito per creare un look unico e assolutamente personale. Per gli uomini le regole di base sono quelle di vestirsi da esploratori, cacciatori, militari, aristocratici, scienziati, medici, dirottatori e spie. Cosi’ troviamo principalmente pantaloni con tagli rettilinei, camicie, gilet damascati, giacche e cappotti con cappelli a cilindro o caschi; ai piedi stivali in gomma con grosse fibbie.

Negli accessori le possibilita’ sono infinite e legate soprattutto a uno stile retro futuristico con elementi del mondo alchemico. Nascono cosi’ orologi da tasca, maschere in pelle antigas, vecchi occhiali da pilota modificati con set di lenti multiple per guidare bizzarre mongolfiere e dirigibili, binocoli e canocchiali con funzioni di spionaggio, braccia meccaniche che suggeriscono l’idea di un braccio artificiale fornito di pistole e marchingegni pensati per un era post atomica dallo scenario angosciante.

Foto Ana Muraca, Lucca Comics 2016

Le donne indossano corsetti in pelle con borchie di sapore vittoriano, abiti lunghi con strascichi, sottovesti a brandelli e pizzi che si contrappongono a vestiti maschili cuciti su misura fatti per essere indossati con un atteggiamento provocatorio e intimidatorio. La filosofia è quella di mescolare il vecchio con il nuovo, la tecnologia moderna con il design dell’epoca vittoriana.I colori piu’ usati sono il borgogna, bronzo,oro scuro e viola scuro.

Foto Ana Muraca, Lucca Comics 2016

Una donna con uno stile steampunk indossa giacche per andare in carrozza, pantaloni da cavallo e mantelli con cappuccio legati alle anche, strani gioielli realizzati con piccole parti di orologi da polso e da tasca meccanici (ingranaggi,lancette e molle) posizionati su delle basi di ottone o rame e sigillate con una resina trasparente che sembra vetro. Il risultato sono dei gioielli preziosi, unici, dall’aspetto eterno.

Foto Ana Muraca, Lucca Comics 2016

A causa della popolarita’ dello steampunk c’è una crescente tendenza a fare di esso una subcultura e uno stile di vita. Una grande comunita’ di appassionati gravita intorno a questo genere, divenuto oramai di moda anche tra gli stilisti attuali. Un filone ricco e variopinto quello dello steampunk che Jeff Vandermeer e S.J Chambers tentano di spiegare nel libro “Steampunk Bible”, una guida illustrata all’immaginifico mondo di corsetti, occhialoni, scienziati pazzi e strane letterature.

 

Francesca Galassini

 

Bibliografia:

http://www.design-training.com/fashion-design/steampunk-fashion-guide.html

http://www.huffingtonpost.co.uk/william-higham/steampunk-what-the-hell-is-it_b_1015192.html

https://thefashionfoot.com/2015/09/16/an-introduction-to-steampunk-fashion/

Le 10 mostre da non perdere quest’autunno

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Queste sono le 10 mostre sulla moda e la storia del costume più importanti e interessanti dell’autunno 2017, dalle mostre su Balenciaga, Dior e Yves Saint Laurent, ai confronti tra la moda del presente e passato di Chatsworth e del Moma alla retrospettiva sulla principessa Diana, troviamo un autunno veramente ricco.

 

Chatsworth nel Derbyshire

House Style: Five Centuries of Fashion at Chatsworth House

Fino al 22 Ottobre 2017

House Style presenta oggetti mai esposti dalla collezione Devonshire per raccontare le storie di alcuni degli affascinanti personaggi che hanno camminato a Chatsworth. In particolare, la couture eccezionale creata da Jean Phillipe Worth e Christian Dior, insieme a capi contemporanei di influenti designer come Gucci, Helmut Lang, Margiela, Vivienne Westwood, Erdem, Alexander McQueen, Christopher Kane e Vetements.

Lo spettacolo include anche collezioni personali di famiglia, compresi oggetti appartenenti all’attuale Duca e Duchessa del Devonshire. Questi pezzi vengono visualizzati accanto a livrea, uniformi, abiti da coronamento e costumi da sera, dimostrando la varietà di moda e ornamento della collezione Devonshire per tutte le generazioni.

https://www.chatsworth.org/events/house-style/

 

V&A

Balenciaga: Shaping Fashion

Fino al 18 Febbraio

Questa mostra esamina il lavoro e l’eredità di un celebre spagnolo Cristóbal Balenciaga, con oltre 100 pezzi realizzati dal “maestro” di couture, dai suoi discepoli e dai designer di moda contemporanei che lavorano nella stessa tradizione innovativa.

https://www.vam.ac.uk/exhibitions/balenciaga-shaping-fashion

 

 

 

 

Museo Yves Saint Laurent Paris

Apertura del nuovo museo

il 03 Ottobre del 2017

Il museo Yves Saint Laurent Paris apre le sue porte con un’esposizione retrospettiva unica del lavoro di Yves Saint Laurent, presentato nei locali leggendari dell’ex casa d’alta moda.

https://museeyslparis.com/en/events/journee-portes-ouvertes

 

SCAD FASH Museum of Fashion + Film (Atlanta)

‘Guo Pei: Couture Beyond’ exhibition

fino al 04 Marzo 2018

la prima mostra militare statunitense del famoso designer di moda Guo Pei, il primo designer nazionale cinese invitato a partecipare alla prestigiosa Chambre Syndicale de la Haute Couture. Questa mostra storica presenta più di 30 dei suoi abiti più grandi e drammatici dell’ultimo decennio, accanto a una selezione di abiti e giacche prêt-à-porter. “Guo Pei: Couture Beyond” include un’esplosione completa con calzature e accessori coordinati.

http://www.scadfash.org/exhibitions/guo-pei-couture-beyond-exhibition

 

 

 

 

Moma

Items: Is Fashion Modern?

fino a gennaio 28 del 2018

esplora il presente, il passato – e talvolta il futuro – di 111 articoli di abbigliamento e accessori che hanno avuto un forte impatto sul mondo nei secoli 20 e 21 e continuano a essere attuali oggi. Tra questi, pezzi noti come il Levi’s 501s, la camicia bretone e il vestito nero, e antiche e culturalmente ricche come il sari, la collana di perle, la kippa e il keffiyeh. Alcuni designer, ingegneri e produttori sono stati invitati a parlare di alcuni di questi pezzi e del loro futuro. La mostra prende in considerazione le molte relazioni tra moda e funzionalità, cultura, estetica, politica, lavoro, identità, economia e tecnologia.

https://www.moma.org/calendar/exhibitions/1638

 

 

Musée des Arts décoratifs Paris

Christian Dior, couturier du rêve

Fino al 07 Gennaio 2018

Il Musée des Arts Décoratifs celebra il 70 ° anniversario della creazione della Maison Dior. Questa sontuosa ed esaustiva mostra invita i visitatori a un viaggio di scoperta attraverso l’universo del fondatore della Casa di Dior e degli illustri couturiers che lo hanno seguito: Yves Saint Laurent, Marc Bohan, Gianfranco Ferré, John Galliano, Raf Simons e, recentemente, Maria Grazia Chiuri.

http://www.lesartsdecoratifs.fr/en/exhibitions/current-events-1322/musee-des-arts-decoratifs/christian-dior-couturier-du-reve

 

 

Getty

Kensington Palace, London

Diana: her fashion history

Per tutto il 2017

Dopo 20 anni dalla sua morte, viene realizzata una mostra che parla dell’evoluzione della principessa, dai primi look romantici fino agli abiti eleganti e glamour che hanno caratterizzato gli ultimi anni della sua vita in un suggestivo evento espositivo a Kensington Palace

https://www.hrp.org.uk/kensington-palace/explore/diana-her-fashion-story/#gs.latg7ls

 

 

 

 

Fashion Museum Bath

Lace in Fashion

Fino al 01 Gennaio 2018

Il merletto è stato un segno di stile ed eleganza sin dal XVI secolo. Dai raffinati indumenti di lusso indossati dai reali e dall’aristocrazia alle mode fatte a macchina per la quotidianità, la mostra rivela sia le tecniche che i nomi che hanno reso il merletto una tendenza e una moda duratura. Con 50 tesori storici e abiti di design, Lace in Fashion si avvale delle ricchezze della collezione del Fashion Museum per mostrare l’abilità e la seduzione di questo tessuto alla moda.

https://www.fashionmuseum.co.uk/laceinfashion

Museo Salvatore Ferragamo Firenze

1927 IL RITORNO IN ITALIA

Fino al 02 Maggio 2018

Nel 2017 ricorrono novant’anni dal ritorno di Salvatore Ferragamo in Italia, nel 1927, dopo dodici anni trascorsi negli Stati Uniti. In occasione di questo anniversario, il Museo Salvatore Ferragamo ha ideato un progetto espositivo che si apre a una panoramica sull’Italia degli anni venti, decennio al quale oggi guardiamo come una vera fucina di idee e di sperimentazioni condotte con mente aperta e scevra da pregiudizi o condizionamenti ideologici. Ferragamo scelse di stabilirsi a Firenze in virtù della sua riconosciuta centralità nella geografia del gusto e dello stile nazionali in un momento storico scandito da molti ritorni: ritorno all’ordine, al mestiere, alla grande tradizione nazionale. La mostra narra proprio di questo attraversamento nella cultura del tempo, sviluppandolo per capitoli come un romanzo di formazione. Fil rouge del percorso espositivo curato da Carlo Sisi è il viaggio in transatlantico che Ferragamo compie per tornare in Italia, inteso come metafora del suo itinerario mentale attraverso la cultura visiva dell’Italia degli anni venti, da cui estrae le tematiche e le opere che influenzarono, in maniera diretta o indiretta, la sua officina poetica; senza trascurare nessuno degli aspetti culturali e sociali che contraddistinsero la rinascita civile del primo dopoguerra, alla vigilia dell’autoritaria affermazione del regime fascista.

https://www.ferragamo.com/museo/it/ita/mostre

 

 

Museo del Tessuto (Prato)

IL CAPRICCIO E LA RAGIONE. ELEGANZE DEL SETTECENTO EUROPEO

Fino al 29 Aprile 2018

 

Allestita nella sala dei tessuti antichi del museo, la mostra è un viaggio nello stile e nel gusto della cultura artistica del Settecento, attraverso la moda, il tessuto e le arti decorative.

Oltre 100 reperti tra tessuti, capi d’abbigliamento femminili e maschili, porcellane, accessori moda, dipinti e incisioni, raccontano i cambiamenti di stile che si susseguono in questo periodo storico, dall’esotismo ai “capricci” compositivi della prima metà del secolo fino alle forme classiche austere dell’ornato neoclassico. L’accostamento dei tessuti alle più diverse tipologie di manufatti e tecniche artistiche permette ai visitatori di avere una visione completa di tutti gli stili che attraversano il secolobizarre, chinoiserie, dentelles, revel solo per citare alcuni esempi della produzione tessile settecentesca – venendo così a creare un costante dialogo sia con i capi d’abbigliamento e gli accessori moda, sia con gli altri elementi d’arredo.

http://www.museodeltessuto.it/settecento/

 

 

10 musei di moda e costume assolutamente da visitare

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Questi sono 10 tra i più bei musei di storia del costume e della moda del mondo:

Metropolitan Museum of Art

La collezione del Costume Institute con oltre 35.000 costumi e accessori, rappresenta, cinque continenti e sette secoli secoli di abiti alla moda, costumi regionali e accessori per uomini, donne e bambini.

https://www.metmuseum.org/about-the-met/curatorial-departments/the-costume-institute

 

 

 

MFIT (New York, Stati Uniti)

il Museo di FIT è conosciuto per le sue mostre speciali innovative e premiate.. Fondato alla fine degli anni Sessanta, è visitato da 100.000 persone ogni anno. Con una collezione permanente di 50.000 abiti e accessori dal XVIII secolo fino ad oggi, il Museo di FIT pone l’accento su abiti esteticamente e storicamente significativi, con un occhio verso la moda contemporanea d’avanguardia.

http://www.fitnyc.edu/museum/index.php

 

 

 

 

FIDM (los Angeles, Stati Uniti)

Il museo si trova al piano terra del campus di Los Angeles dell’Istituto di moda di design e merchandising e ospita una collezione di oltre 12.000 costumi, accessori e tessuti del XVIII secolo fino ad oggi, compresi i costumi cinematografici e teatrali. Il Museo FIDM ospita inoltre la prima Collezione di Costume di Hollywood in prestito presso la città di Los Angeles, Dipartimento di Parchi e Ricreazione. Presenta l’esposizione annuale del costume di movimento cinematografico nelle gallerie.

http://fidmmuseum.org/

 

Kent State University Museum (Kent, OH)

Il Museo del Kent State University accoglie gli studenti e il grande pubblico per visualizzare, studiare e ricercare dalla sua collezione di moda storica, contemporanea e mondiale. La collezione va oltre l’abbigliamento e i tessuti per includere anche vetro americano, mobili, dipinti e altre arti decorative. Il Museo ospita anche una biblioteca di libri e periodici storici dedicati alla moda e alle arti decorative.

https://www.kent.edu/museum

 

 

 

V&A museum:

E uno dei musei d’arte e design leader a livello mondiale, ospita una collezione permanente di oltre 2,3 milioni di oggetti che coprono più di 5.000 anni di creatività umana. Il museo custodisce molte delle collezioni nazionali del Regno Unito e alcune delle più grandi risorse per lo studio di architettura, dei mobili, della moda, dei tessuti, della fotografia, della scultura, della pittura, della gioielleria, del vetro e della ceramica.

Elementi chiave della collezione comprendono abiti del XVII secolo, “mantua” del XVIII secolo, abiti da sera degli anni ’30, abiti da sera degli anni ’60 , inoltre un numero crescente di pezzi da designer del ventunesimo secolo.

https://www.vam.ac.uk/

 

Fashion Museum, Bath Ingland

Ci sono quasi 100.000 oggetti nella collezione, che vanno dai guanti decorati dal tempo di Shakespeare a moda dai designer più importanti di oggi nella collezione Dress of the Year. Questi oggetti preziosi, mostrando diversi aspetti della storia della moda, sono stati (per la maggior parte) forniti al museo da molti generosi donatori e organizzazioni durante i più di 50 anni di attività del museo.

https://www.fashionmuseum.co.uk/

 

 

Musée de la Mode et du Textile (all’interno del Louvre, Parigi, Francia)

Oggi, il museo occupa 9.000 metri quadrati e presenta circa 6.000 oggetti nella collezione permanente. Nella collezione, sono presenti opere che rappresentano la storia del costume dal Reggimento francese ad oggi (16.000 costumi e 35.000 accessori moda) e tessuti del VII secolo in poi (30.000 esemplari), così come arredamento d’interni, mobili , oggetti d’arte, carta da parati, arazzi, ceramica, bicchieri e giocattoli dal Medioevo al presente.

http://www.lesartsdecoratifs.fr/en/

 

Musée Galliera (Parigi, Francia)

La collezione è dedicata all’ abbigliamento e al costume, coprendo momenti chiave della storia della moda e mettendo in mostra i designer iconici francesi. La collezione del museo comprende abiti e accessori dallo streetwear all’alta moda. Il dipartimento del XVIII secolo ospita una delle più grandi collezioni di abbigliamento del mondo dell’età dell’illuminismo. Le sue collezioni sono tutte temporanee.

http://www.palaisgalliera.paris.fr

 

 

 

Museo del traje (Madrid Spagna)

Con circa 160.000 tra oggetti e documenti, il museo del traje ha una collezione di abbigliamento, gioielleria e accessori storici, contemporanei e tradizionali (con particolare attenzione ai costumi e designer spagnoli).

http://www.mecd.gob.es/mtraje/inicio.html;jsessionid=39AA38A28F5255E48FD59219187644F2

 

 

Kyoto Costume Institute (Kyoto Giappone)

La collezione KCI attualmente va dal XVII secolo ad oggi, con più di 12.000 capi di abbigliamento e 16.000 documenti. L’istituto ha ricevuto donazioni da alcuni dei migliori stilisti e case di moda di oggi come Chanel, Christian Dior e Louis Vuitton.

http://www.kci.or.jp/en/

 

 

Icone di moda: Coco forever!

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Gabrielle Chanel ebbe una vita privata segnata da molti eventi che tracciarono il suo percorso creativo e dando origine a una personalità complicata, terrorizzata dalla solitudine e in perenne “guerra” contro il mondo. La mancanza di radici la costrinse a inventarsi una identità che plasmava ogni volta a suo piacere e cercando di farsi accettare dagli altri, si costruì un personaggio, la Gabrielle che lei voleva essere e che finì per diventare.

Gabrielle Chanel nacque il 19 agosto 1883 a Samur in Alvernia, il padre, venditore ambulante, alcolista e donnaiolo portò la famiglia a una vita di miserie e ristrettezze, la madre Jeanne, dopo aver partorito 5 figli morì nel 1895, dopo di che, visto il disinteresse del padre, vennero divisi: i due maschi furono mandati a lavorare, mentre le tre femmine a Aubazine nell’orfanotrofio del Sacro Cuore di Maria.

Gabrielle non accettò mai la scomparsa del padre; in alcuni racconti riferisce che Albert era partito per l’America, in altri che era divenuto un allevatore di cavalli e un viticoltore. Dopo aver lasciato l’orfanotrofio Gabrielle cominciò a lavorare insieme a sua zia Andrienne presso la Maison Grampayre a Moulins, entrambe erano state assunte come commesse e sarte, dopo circa un anno decisero però di lasciare la maison e aprire una piccola attività di riparazioni. Raggiunta l’indipendenza, le due donne cominciarono a frequentare la vita sociale della città, tra caffè all’aperto e la Rotonde, uno spazio adibito a concerti dove Chanel tentò la carriera canora ma senza successo. Di quegli anni rimasero il soprannome “Coco” ripreso da un ritornello di una sua canzone e alcune foto che la ritraggono con abiti che delineavano già un gusto improntato verso la semplicità.

Illustrazione di Alice Negri www.alicenegri.com

Durante una delle sue serate conobbe un ufficiale di cavalleria Etienne Balsan, ricco erede di una famiglia borghese e grande appassionato di allevamenti di cavalli da corsa. Gabrielle divenne la sua amante e fu a vivere con lui a Royallieu, una proprietà in campagna dove spesso gli amici di Etienne venivano a trovarli ma Gabrielle non si sentiva a suo aggio in quel mondo, e cominciò a pensare a come farsi accettare, concludendo che l’abbigliamento era un elemento fondamentale.

A Royallieu, scoprì come si vestivano gli uomini che si occupavano dei cavalli: pantaloni Johdpur, grandi cappelli e stivali, per distinguersi dalle compagne degli amici di Etienne Gabrielle cominciò ad adottare lo stile maschile, alcune foto di quel periodo la ritraggono a cavallo vestita da uomo e in casa con gonna, camicia e cravatta.

Illustrazione di Alice Negri www.alicenegri.com

Chanel non sopportava l’immagine femminile che Poiret e Worth avevano imposto alle donne, ossia l’odalisca e la femme fatale bisognosa di cure e protezioni; decise così di iniziare a creare capelli più semplici, senza tanti fronzoli e che si potessero portare tutti i giorni e con le sue creazioni, riuscì a destare l’interesse di tutte le donne di Royallieu; tale successo la indusse a chiedere a Etienne di aprirle una modisteria a Parigi, la quale ebbe un immediato riscontro. La modisteria partì a pieno ritmo e con tutte le garanzie, dopo poco, aveva già assunto una professionista del settore come Lucien Rabaté e altre due lavoranti. Sostenitore di questa impresa anche in senso finanziario fu un nuovo amico di Etienne: Arthur Capel, detto Boy, ricco uomo d’affari inglese appassionato di purosangue e figura fondamentale nella vita di Coco.

Illustrazione di Alice Negri www.alicenegri.com

Dopo l’apertura della modisteria, le riviste specializzate pubblicarono i cappelli di Gabrielle, ma la pubblicità maggiore venne dalle attrici di teatro, come la famosa Gabrielle Doziart per la quale Coco creò due pagliette che vennero subito riprese dalle riviste di moda. Nell’estate del 1913 Boy Capel e Coco si recarono in vacanza a Deauville, nota cittadina balneare in Normandia, la minaccia di una guerra da parte della Germania era infatti sempre più vicina e la coppia si allontanò dai cattivi presagi di Parigi. Deauville era frequentata dai cittadini londinesi e parigini che vi si recavano per la villeggiatura; Boy e Coco capirono che era giunto il momento di aprire una vera attività di moda; il ricco inglese finanziò quindi la boutique che si trovava nella via più elegante della città.

Illustrazione di Alice Negri www.alicenegri.com

Lo stile vacanziero dell’epoca era all’opposto di quello che Gabrielle immaginava: abiti di pizzo ricamati, scarpe con cinturini abbottonati, enormi cappelli a punto Inghilterra decorati con piume e fiori. A questo punto era venuto il momento di modificare in maniera strutturale non solo le fogge dei copricapi, ma anche l’abbigliamento femminile. Coco osservò la gente di mare di Deauville e ne trasse ispirazione. Realizzò per sé stessa alcuni completi in maglia che indossò per le strade di Deauville facendosi fotografare. Poi iniziò a produrre i primi capi per la boutique: maglie marinare a righe, pullover sportivi e giacche simili a quelle di Boy. Fino ad allora aveva “frugato” negli armadi dei suoi amanti per vestire sé stessa, da quel momento in poi iniziò a vestire anche le altre donne.

Continua ….

Le 10 cose che non sapevi sulle paillettes

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Colorate, brillanti e allegri, le paillette sono sinonimo di festa e leggerezza, ma nella sua storia ci sono dei fatti che sicuramente vi sorprenderanno.

1.Già in uso nell’antico Egitto, erano realizzate con piccoli dischi metallici, spesso d’oro e di argento che venivano cuciti sugli abiti come segno di ricchezza e status symbol.

tomba di Tutankhamon

2.In inglese, le paillettes sono conosciute come “sequins”, che deriva dalla parola zecchino, ovvero le monete d’oro prodotte a Venezia nel XIII secolo.

Zecchino Veneziano (fonte: Wikipedia)

3.In Europa, intorno al 1500, s’iniziano a vedere accessori e abiti di entrambi i sessi decorati con le paillettes; soprattutto giacche, guanti, borsette e persino i berretti da notte; uno degli esempi più meravigliosi è la giacca femminile del XVII secolo conservata al V&A museum e che ha una grande quantità di dischi metallici applicati a mano.

Fonte: V&A museum

4. Intorno al 1480-82, Leonardo da Vinci, creò uno schizzo per la realizzazione di una macchina che produceva le paillettes in serie bucando una lastra di metallo; tale progetto però non fu mai realizzato.

Schizzo di Leonardo per una macchina che realizza paillettes, 1480-82, Biblioteca Ambrosiana, Milano

5. Molto di moda durante il XVII e il XVIII secolo in Europa erano le giacche maschili che divennero sempre più ornate insieme al panciotto, ricamate con fili di argento e d’oro, gioielli artificiali e paillettes; mentre le donne preferivano usarle nei panciotti e nei ventagli.

Giacca maschile 1780 ca. Fonte: http://www.romacapitalemoda.it/tradizione/il-museo-di-roma-in-palazzo-braschi-e-la-collezione-di-abiti-antichi

6.La moda delle paillettes continuò durante il XIX secolo, ma divennero d’uso quasi esclusivo delle donne, vista la semplificazione dell’abbigliamento maschile. Durante il periodo neoclassico e in seguito quello vittoriano, le paillettes furono molto usate insieme ai ricami e al pizzo negli abiti e negli accessori.

Ventaglio 1845. Fonte: http://beautifulambience.tumblr.com

7.All’inizio del 900, le paillettes divennero sempre più di moda, soprattutto per gli abiti da sera e per gli accessori; basta guardare le creazione dell’epoca della Maison Worth o delle Callot Soeurs, per constatare il loro sempre maggiore impiego; talvolta le paillettes ricoprivano interamente l’abito, rendendolo particolarmente raffinato ed elegante.

Abito da sera 1908-10, Maison Worth. Fonte: Met museum

8. Quando nel 1922, fu rinvenuta tomba di Tutankhamon, le paillettes divennero molto popolari; ricamate insieme a piccole perline, davano un tono scintillante agli abiti soprattutto da ballo.

Abito del 1926, Met museum

9. A lungo, le paillettes furono realizzate con piccoli dischi di metallo traforati, ma la crescente domanda richiedeva un’alternativa più economica; e fu cosi che durante gli anni 30, si crearono le paillette di gelatina, esse erano leggere, colorate, ma avevano il grave inconveniente di sciogliersi con l’acqua o con il caldo. Il suo inventore, Herbert Lieberman, decise di lavorare con la Kodak, che stava utilizzando l’acetato per le sue pellicole, per creare le paillettes di acetato; il risultato fu meraviglioso, ma c’era ancora un problema, erano troppo fragili.

Nel 1952, la DuPont inventò il Mylar, una pellicola di poliestere trasparente, e Lieberman, che nel frattempo aveva creato la compagnia Algy Trimmings Co, pensò di avvolgere la sua paillette di acetato con il Mylar, e questa fu finalmente l’idea vincente.

Paillettes in gelatina. Fonte: www.smithsonianmag.com

10.Durante gli anni sessanta, la musica disco e i nightclubs ressero molto popolari gli abiti “sperimentali” lanciati da Pacco Rabanne, realizzati con dischi, placche, paillettes e tutti i materiali brillanti; fu però durante gli anni settanta che le paillettes arrivarono alla loro epoca d’oro, grazie al glam-rock, iniziarono a essere usate da per tutto.

Photograph: Christopher Little Agnetha and Frida in sequinned catsuits, recording a TV special in Tokyo, 1978.

Oggi, le paillettes si fanno con il poliestere, il PVC, il vinilo e l’alluminio, si possono trovare non solo nella classica forma rotonda, ma anche in un’infinità di varianti e di colori e l’ultima moda: le paillettes reversibili che con il semplice tocco di una mano possono cambiare colore e perfino il messaggio raffigurato.

 

Ana Muraca

Bibliografia e Sitografia:

Fashion. A History from the 18th to the 20th Century. Ediz. illustrata (Inglese) 1 gen 2007
di Akiko Fukai (Autore), Tamami Suoh (Autore), Miki Iwagami (Autore), Reiko Koga (Autore), Rie Nii (Autore)

http://www.smithsonianmag.com/arts-culture/a-history-of-sequins-from-king-tut-to-the-king-of-pop-8035/?no-ist

http://blog.americanduchess.com/2012/04/v119-are-sequins-period-accurate.html

http://bobblum.wixsite.com/cquines/sequin-history

http://mentalfloss.com/article/84561/5-sparkling-facts-about-sequins

 

Icone di Moda : Natacha Rambova, la signora Valentino

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Per la nostra rubrica icone di moda, oggi vi presentiamo una donna il cui fascino ed esotismo ha conquistato non solo Hollywood, ma anche il cuore di un’altra icona, Rodolfo Valentino.

Stiamo parlando di Winifred Kimball Shaughnessy, meglio conosciuta come Natacha Rambova.

Nonostante il suo nome indichi una provenienza russa, Natacha è nata negli Stati Uniti a Salt Lake City, il 19 gennaio del 1897. In giovane età, sua madre e suo patrigno, il ricco industriale di cosmetici Richard Hudnut, la inviarono a studiare in Europa, dove sviluppo l’amore per la storia, il disegno, la cultura contemporanea e la danza, la sua grande passione. Durante il suo lungo soggiorno europeo, Winifred fu influenzata dall’ondata di orientalismo dei primi decenni del 900, con Serge Diaghileve e i balletti russi, Anna Pavlova e le collezioni di Poiret; ad aumentare il fascino che la Russia esercitava in lei fu la sua relazione amorosa con il ballerino Theodore Kosloff che la portò non solo a cambiare il suo nome in Natacha Rambova, ma anche ad intraprendere una breve carriera come ballerina, tornando in patria e diventando la costumista della sua troup di ballerini.

January 1924 issue of Photoplay magazine

 

Quando nel 1917 Kosloff fu chiamato a recitare a Hollywood, la portò con sé; lì conobbe Alla Nazimova, una delle attrici più famose dell’epoca chi la mise a lavorare come costumista e direttore creativo. Le sue opere più famose furono “La signora delle camelie” del 1921 e Salome, del 1923.

Alla Nazimova nel film ““La signora delle camelie” del 1921

Alla Nazimova in SALOME. Costume design by Natasha Rambova, 1923

Fu proprio sul set di “La signora delle camelie”, che la promettente Natacha conobbe il famoso Rodolfo Valentino iniziando una storia d’amore; i due si sposarono nel 1922 diventando i protagonisti di un grande scandalo che vedeva Valentino incriminato per bigamia grazie a una legge americana che vietava di risposarsi prima di un anno della separazione, il divorzio di Valentino dalla sua prima moglie Jean Acker non risultava ancora effettivo.

Ma da questo momento in poi, la Rambova e Valentino compariranno continuamente sui giornali e riviste, la loro vita privata divenne di grande interesse per il pubblico dando sempre più notorietà a Valentino e affermando la posizione della Rambova a Hollywood.

Natacha Rambova & Rudolph Valentino.

Sin da quando Natacha iniziò a lavorare a Hollywood, si fece notare per la sua forte e a volte prepotente personalità e ora che era diventata la moglie del attore più desiderato, pretendeva di avere il controllo assoluto sulla carriera del marito e all’inizio ci riuscì, ma quando la United Artists subentra alla Paramount nella produzione dei film di Valentino, Natacha viene completamente esclusa e nel 1926, i due divorziano.

TANGO Rudolph Valentino & Natasha Valentino 1923 Photo James Abbe

Dopo la storia con Valentino, la Rambova decide di lasciare Hollywood e intraprendere una nuova carriera come disegnatrice di moda, aprendo nel 1928 uno studio dove disegnava abbigliamento da sera e da giorno, copri abiti, accessori e gioielli che riflettevano le sue esperienze a hollywood, con quel tocco di esotismo che l’aveva sempre caratterizzata e che attraeva tra le sue clienti donne dello spettacolo, eccentriche per natura, come Mercedes de Acosta e Mae Murray e qualche aristocratica come la baronessa Williamina De Schauensee.

Natacha Rambova dresses in the collection of Phoenix Art Museum

Natacha Rambova dresses in the collection of Phoenix Art Museum

Natacha Rambova dresses in the collection of Phoenix Art Museum

I suoi abiti erano anche permeati dalla sua passione per la storia e per quello che avveniva intorno a lei come l’uso del colore che molto probabilmente presse da Poiret o l’interesse per le figure geometriche di sicura matrice cubista, in particolare i triangoli usati come inserti nelle gonne e nella parte del busto com’era la moda dell’epoca (Vionnet, Callot Soeurs, Sonia Dalaunay).

Abito di Natacha Rambova, 1929 Met museum

Contraria alla tendenza del momento, lei preferiva le gonne e gli abiti lunghi come lei stessa indossava. Si dice cha abbia lanciato anche una linea di cosmetici e un profumo, ma non ci sono molte prove al riguardo.  La grande depressione portò con sé non poche difficoltà al settore della moda e allo studio di Natacha che nonostante gli sforzi dovete chiudere le porte tra il 1931 e il 1932.

Natacha Rambova (American, 1897-1966) Dress and Belt, 1928-1931 Silk velvet

Ma la storia della nostra intrepida e poliedrica icona non finisce qui; con 35 anni alle spalle e sola, decide di andare a vivere in Europa, a Palma di Maiorca, dove sposò a Don Alvaro De Ursatz un nobile spagnolo con cui iniziò a collezionare oggetti di antiche culture e dando sfogo alla sua creatività, iniziò a scrivere libri di svariati temi come lo yoga, il misticismo, l’egittologia.

Più di trent’anni dopo, nel 1966, alla sua morte, era diventata una riconosciuta collezionista di arte egiziana e un’apprezzata archeologa.

Illustrazione: Alice Negri http://alicenegri.altervista.org/index.php/

Lo stile:

Per capire a pieno il suo ruolo come icona di moda degli anni 20, bisogna sapere il contesto storico del periodo; erano anni molto movimentati dove il ruolo della donna stava cambiando, dalle languide ragazze dai capelli lunghi, si profilavano le donne, sicure di se, autosufficienti, che non avevano paura di mostrare la loro forza e grandezza.

Winifred Kimball Shaughnessy, appartenne a questa seconda categoria, ma a differenza delle altre, non seguì la strada già battuta, non tagliò i suoi capelli alla garçonne e non seguì pienamente la moda del suo tempo, ma si creò una nuova identità, adotto un nome russo, intreccio e arrotolo i suoi lunghi capelli e assunse un atteggiamento da diva senza esserlo.

La sua maschera da donna esotica, boema e sofisticata, la ritroviamo in fotografie, cartoline, riviste e illustrazioni.

Espresse Il suo genio creativo in ogni campo, reinventò l’immagine di Valentino, rendendola ancora più desiderabile e ambigua, creò abiti che anche se non brillassero per la loro originalità, erano un riflesso della sua personalità e gusto personale e infine si dedicò all’antropologia e al collezionismo, che la portarono a viaggiare e a scrivere.

 

Ana Muraca

Illustrazioni di Alice Negri : http://alicenegri.altervista.org/index.php/

Bibliografia – Sitografia:

Violent & Definite: Natacha Rambova & her Fashion Designs, Text Heather A. Vaughan

https://it.wikipedia.org/wiki/Natacha_Rambova

Picturing Natacha Rambova: Design and Celebrity Performance in the 1920s

http://prettycleverfilms.com/costume-design-film-fashion/natacha-rambova-overshadowed-style/#.WBNSDHskKmQ

 


Coco forever 2° parte

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Dopo l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo lo scoppio del primo conflitto era imminente. Deauville divenne una città quasi deserta ma Coco decise di rimanere, su consiglio di Boy Capel. I tedeschi avevano, infatti, incominciato a invadere la Francia e furono fatti arretrare a poca distanza da Parigi, Deauville divenne la meta di quelle signore fuggite da Parigi con i mariti impegnati nel conflitto e che affrontarono la nuova situazione rifacendosi il guardaroba nella boutique Chanel. Comprarono giacche alla marinara, scarpe basse, camicette e cappelli in paglia.

I grandi alberghi furono trasformati in ospedali da campo per accogliere i feriti; occorrevano inoltre anche delle uniformi bianche da infermiera; furono utilizzate quelle delle cameriere degli alberghi che Chanel adattò alle nuove necessità. In un’intervista Coco disse:” Finiva un mondo, un altro stava per nascere, Io stavo là, s’offriva un’opportunità, la presi. Avevo l’età di quel nuovo secolo che si rivolse dunque a me per l’espressione del suo guardaroba. Occorreva semplicità, nitidezza: gli offrii tutto questo a sua insaputa. I veri successi sono fatali”.

Dopo la guerra Gabrielle fece ritorno a Parigi, purtroppo la situazione non era facile: mancava il combustibile, l’elettricità e la forza lavoro maschile, la vita si riorganizzò attorno alle donne che cominciarono a svolgere attività fino ad allora impensabili. Iniziarono a frequentare i bar degli alberghi, come il Ritz a due passi dalla boutique di Coco in Rue Cambon 21. Oltre a Deauville e Parigi c’era anche un altro luogo frequentato soprattutto dall’alta società spagnola e basca: Biarritz. Boy e Coco pensarono fosse giunto il momento di aprire una maison de couture in una villa di fronte al casino ‘di Biarritz, scelta azzeccatissima perché gli ordini fioccarono facendo espandere l’impresa Chanel che nel 1916 contava circa 300 lavoranti.

La mancanza di materie prime indusse Chanel a proporre modelli in maglia; acquistò infatti alcuni stock di jersey beige lavorato a macchina da Rodier, uno dei più grandi produttori tessili in Francia; questo nuovo materiale divenne modello di assoluta eleganza: la nuova donna Chanel camminava dritta in abiti che non stringevano il corpo, fermandosi alla caviglia, facendola salire in macchina autonomamente, senza l’aiuto di un uomo, questo era ciò che gli abiti Chanel erano capaci di “fare”. L’idea della donna odalisca di Poiret, abbigliata con piume era oramai superata; Coco era lanciata e anche le riviste di moda femminile gli dedicarono ampio spazio: Harper’s Bazaar nel 1916 pubblicò un suo modello composto da un camicione morbido lungo fino alla caviglia con maniche a guanto e una fusciacca annodata intorno alla vita. La sua specialità erano i blazer e le gonne morbide, i ricami sobri e i bordi in pelliccia e anche se la moda del periodo decretava ancora qualche eccentricità Gabrielle seguì la strada della semplicità, conquistò così il mercato statunitense. Vogue pubblicava regolarmente le sue creazione Harper’s Bazaar scriveva: “Il nome di Gabrielle Chanel è sulla bocca di tutti i buyer”. Dopo la fine della guerra le stoffe tornarono finalmente reperibili e Gabrielle poté’ così creare abiti da sera fantasiosi in velluto, chiffon e pizzo Chantilly.

Illustrazione di Alice Negri www.alicenegri.com

La fine della guerra coincise anche con la fine della sua storia d’amore con Boy Capel, il quale sposò la figlia di un Lord a Beaufort in Scozia, d’altronde Gabrielle non faceva parte della buona società fu così sacrificata alla “ragione dello stato sociale”. La storia con Boy si concluse però definitivamente nel dicembre del 1919 quando il ricco inglese morì in un incidente d’auto; di colpo la vita di Coco fu di nuovo scossa da un evento tragico. Devastata dal dolore fece rivestire le pareti e il soffitto della sua camera di nero; forse si trattava di un riflesso del suo temperamento eccessivo o forse il ricordo della sua infanzia contadina quando le vedove indossavano solo vesti nere, più tardi dirà :”Quella notte fu per me un colpo terribile. Perdendo Capel avevo perso tutto”.

Dopo molto tempo di lutto Coco iniziò una nuova vita circondata da amicizie influenti e importanti, soprattutto nel campo dell’arte, come i Sert, al centro delle avanguardie di Parigi; lui pittore spagnolo di grande fascino, mentre lei, Misia Godebska figlia di un artista polacco aveva sposato giovanissima il fondatore della Revue Blanche Thadée Natanson da cui divorzierà 28 anni. Misia era una sorta di simbolo tanto che Toulouse Lautrec decise di ritrarla in un manifesto pubblicitario. Coco si trovò quindi al centro della scena artistica internazionale. Durante un suo soggiorno a Venezia fece la conoscenza di Diaghilev fondatore dei Ballets Russes; da quel momento iniziò a collaborare alla realizzazione di alcuni costumi teatrali, come Antigone di Jean Cocteau.

Illustrazione di Alice Negri www.alicenegri.com

Parigi era in pieno fermento, l’Ottocento era finito e il mondo contemporaneo stava prendendo forma. In questo contesto Gabrielle conobbe il Duca Dimitrij con il quale ebbe una breve storia d’amore. Dimitrij era il nipote dello zar ucciso durante la rivoluzione russa ed esiliato dopo l’accusa di aver partecipato all’omicidio Rasputin. La differenza tra i due era abissale: lei ricchissima donna di successo, lui un esule che viveva ancorato ai modi e gusti del passato. Nonostante ciò Coco conobbe un nuovo mondo da cui trasse ispirazione per il suo lavoro; fu Dimitrij infatti a fargli conoscere il mondo dei profumi, lei così schiva e allevata ad un rigore quasi monacale aveva sempre detestato i profumi considerandoli un modo per nascondere i cattivi odori, e comunque una cosa da “cocottes” e non da signora. Fu Dimitrij a presentargli Ernest Beaux, chimico di Grasse e figlio di un impiegato che aveva lavorato presso gli zar a Pietroburgo. Chanel decise di creare con Beaux il profumo che sarebbe diventato il più famoso del XX secolo, era un mix di fragranze naturali e sintetiche e nessun odore era riconducibile ad esso, né un fiore né un’essenza. Il nome che scelse fu il N°5 da lei considerato come un portafortuna. La confezione era formata da una bottiglia di farmacia squadrata a cui venne applicata un’etichetta bianca con scritta nera. Il tappo presentava due C intrecciate, un particolare che gli ricordava la sua infanzia a Aubazine dove i pavimenti con mosaici presentavano quel tipo di motivo. Gabrielle non espose subito il profumo nelle vetrine di Rue Cambon, molto furbescamente lo faceva scivolare nelle mani delle sue clienti più ricche dicendogli:” Non te lo sto vendendo ma regalando….” Molto presto grazie al passaparola si costituì un club segreto di affezionate del n°5….

Illustrazione di Alice Negri www.alicenegri.com

Continua …

Coco foreve 1° parte

10 cose da sapere sugli spilloni da cappelli

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Gli spilloni da cappelli sono dei lunghi spilli usati per mantenere a posto il proprio capello, in una delle due estremità hanno una testa spesso decorata, mentre l’altra è appuntita; essi diventarono uno status simbol e arrivarono al massimo della popolarità tra il 1880 e il 1920; ma ci sono ancora molti dati interessanti che probabilmente ancora non sai su questi bellissimi accessori e qui te ne raccontiamo 10.

1.Piccoli spilli erano già usati durante il medioevo per tenere al proprio posto i veli e i soggoli che le donne utilizzavano per coprire i capelli; in seguito pero, furono abbandonati per cappucci, cuffie e altri copricapi provvisti di stringhe, ma all’inizio dell’800 ricomparvero con la moda di usare piccoli copricapi di pizzo e veli, e venivano usati anche per decorare altri parti dell’abbigliamento femminile. Ma fu solo con l’introduzione dei cappelli senza stringhe che gli spilloni divennero popolari.

2.I materiali con cui sono stati realizzati sono veramente tanti, dai metalli preziosi come l’oro e l’argento, alla plastica, con decorazioni con pietre preziose, corallo, giaietto, ambra, guscio di tartaruga, madreperla, ecc. Si creavano anche dei piccoli bottoni con un perno da mettere sugli abiti in pendant con lo spillone che s’intendeva usare. All’inizio gli spilloni non erano molto lunghi, ma intorno al 1890, essi iniziarono a crescere seguendo la moda dei cappelli sempre più grandi fino al 1910, raggiungendo dimensioni anche di oltre i 30 centimetri.

Spillone che si converte in spilla

3.Durante il loro periodo di grande popolarità (1880 – 1910) gli spilloni divennero un accessorio indispensabile non solo per fissare il cappello alla testa delle signore, ma talvolta servivano anche per fermare piume, fiori o altre decorazione; spesso venivano accompagnati da spille per capelli destinate a sostenere i finti ricci delle complesse acconciature e anche da spille per i veli, quindi pensate alla quantità di spille e spilloni poteva avere una donna di quella epoca allo stesso tempo in testa.

Lalique. hatpin (photo Artcurial.)

4.In Inghilterra, dove spesso si ricorreva all’importazione di costosi spilloni dalla Francia, il Parlamento firmò un atto che ristringeva la loro vendita a solo due giorni l’anno, il 1° e il 2° di gennaio, le donne risparmiavano tutto l’ano per potersi permettere il proibitivo accessorio; tutto cambiò intorno al 1832, quando venne creata la macchina per realizzare le spille negli Stati Uniti e la produzione in serie piano piano surclassò quella degli spilloni fatti a mano; in seguito, la Francia e l’Inghilterra iniziarono anche loro a produrli in serie.

5.Una tipologia di plastica era già stata usata nell’industria degli spilloni durante gli anni sessanta dell’800, si trattava della celluloide che spesso aveva un colore ambra ma che poteva anche essere dipinta e che venne conosciuta come l’avorio francese, anche la bakelite fu una tipologia di plastica usata per realizzare gli spilloni, queste plastiche erano molto più facili da modellare rispetto al metallo e furono molto popolare durante l’art nouveau e l’art deco.

Spilloni in bakelite e cellulosa, Judith Walker’s Collection

6.Durante l’età d’oro degli spilloni, ci sono stati tre movimenti artistici (arts & crafts, art nouveau, art deco) insieme all’influenza vittoriana, quella orientale e ai revival tipici dell’800, come quello egizio, quello greco e quello etrusco. Gli spilloni dell’arts & crafts hanno linee più pulite, ma sono anche fatti tutti a mano con disegni semplici e un minor uso di metalli preziosi; l’art nouveau riecheggiava la natura, la femminilità e la fertilità, con linee più fluide, organiche, una predilezione per l’argento e per il movimento e la vitalità. Anche se l’art decò venne dopo che l’era d’oro degli spilloni era finita, se ne trovano tanti esemplari perché i gioiellieri che presentivano l’aria di cambiamento cominciarono a plasmarli già dopo il 1910, con forme geometriche e stilizzate e colori brillanti.

Jugendstil Hat Pins / LEVINGER & BISSINGER / Silver and Plique-à-jour enamel / German, c.1900
Dal sito: tademagallery.com

 

Spillone da cappello art deco 1915, dal sito: http://katalog.auktionshaus-walldorf.de

7.Alcuni spilloni avevano anche delle sorprese al loro interno, come quelli che contenevano degli aghi per cucire, pezze bagnate di profumo, uno specchio o addirittura della cipria; un’altra tipologia erano quelli per l’opera, dove per evitare le lamentele degli altre espettatoti, la signora doveva togliersi il cappello, mettere lo spillone nella sua custodia che teneva un gancio alla estremità per attaccare il cappello alla sedia.

Compact hatpin probably of J.T. Inman & Co. of Atteboro, Massachusetts
Foto: www.collectorsweekly.com

Spillone da teatro, Foto: www.collectorsweekly.com

 

8.Oltre a essere comprati nei negozi o dal gioielliere, gli spilloni potevano essere ordinati tramite catalogo; cataloghi come quello di Sears offrivano pagine e pagine dove poter scegliere lo spillone adatto ad ogni gusto e necessità, insieme al porta spillone, un oggetto che somiglia a una grande saliera con molti buchi sulla parte superiore e dove erano riposti gli spilloni quando non si usavano, essi erano per lo più realizzati in ceramica dipinta.

Foto dal sito: http://seveneyesantiques.com

9.Gli spilloni diventarono un oggetto indispensabile per ogni donna senza importare la sua condizione sociale ed economica; certo cambiava lo stile e il valore, ma la donna che usciva fuori da casa ne portava almeno uno con se; ma questo arrecò non pochi danni. Durante l’era edoardiana dove gli spilloni arrivarono alle più grandi dimensioni, essi divennero un’arma; sono stati riportati molti casi di gente che perse un occhio o rimase ferita grazie allo spillone di qualche signora, tanti che furono dichiarati armi letali e molte donne le usarono più consapevolmente quando si trovarono in situazioni di pericolo. Sono state proclamate diverse leggi per la riduzione della lunghezza degli spilloni o almeno perché l’altra punta fosse coperta in modo da evitare spiacevoli incidenti.

Dal sito: www.smithsonianmag.com

10.Durante la prima guerra mondiale nel 1914, molti dei materiali che servivano per realizzare sia gli spilloni che i cappelli vennero destinati all’industria bellica; così gli orli degli abiti salirono, i cappelli divennero sempre più piccoli insieme agli spilloni e i bottoni militari divennero molto popolari; la moda era quella trasformarli in spilloni da portare sempre con se in ricordo dell’amato andato in guerra. Durante gli anni 20 però con l’arrivo delle cloche, gli spilloni diventarono inutili sparendo entro i cinque anni successivi.

Ana Muraca

 

Sitografia:

http://www.antiqueshoppefl.com/archives/hatpins.html

http://www.quirkbooks.com/post/quirky-history-hatpin-ladys-weapon-choice

https://www.beloitauction.com/ten-things-didnt-know-about-hatpins/

http://www.americanhatpinsociety.com/tour/history.html

What All These Hatpins Were For, and Why We Stopped Using Them

“The sting of a hornet”; Edwardian hat-pin self defence

 

Coco forever 3°parte

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L’influenza russa esercitata dal Granduca Dimitrij si notava anche negli abiti che Chanel propose in quegli anni, infatti rimase folgorata da uno specifico indumento: la Roubachka, un camicione con cintura in vita che veniva indossato dai contadini russi. Nel 1922 presentò una collezione ispirata ai temi russi con ricami realizzati dalla Maison Kitimir; Coco aveva inventato la povertà di lusso, trasformando gli elementi dell’abbigliamento maschile in simboli di libertà.

Nel 1925 creò modelli “a Tubo” a vita bassa con cintura e orlo al ginocchio. Il senso di comfort oramai permeava ogni sua creazione anche quella più maschile; era il trionfo dello stile “ a la garçonne” rappresentato anche all’Exposition International Des Arts Decoratifs. Nel Palais d’Elegance erano esposte creazioni dei nomi più in voga dell’epoca: Chanel, Jean Patou e Madeleine Vionnet, il lavoro di Coco era finalizzato alla assoluta semplicità e alla funzionalità dell’abito moderno.

Nel 1926 presentò un abito nero adatto a tutte le occasioni, in controtendenza con il concetto di creare abiti diversi per ogni occasione; la destinazione cambiava in base agli accessori abbinati; Gabrielle si concentrò quindi sull’idea di semplificazione dell’abito intero del tailleur e dell’abbigliamento informale, l’idea gli venne osservando il guardaroba di un suo nuovo amante: il Duca di Westminster. Coco rimase affascinata dalle dimore inglesi, dalla bellezza dei giardini, alle uniformi dei camerieri di Eaton Hall fino alle giacche con bottoni dorati dei marinai del Cutty Sark. Questo era ciò che l’affascinava dell’Inghilterra. Dal 1927 al 1930 creò modelli con giacche dritte di taglio maschile, bluse e gonne coordinate e cappotti in tweed ripresi dalla sartoria inglese.

 

Dopo aver fatto sua questa idea di abito femminile e funzionale Coco si concesse qualche civetteria, come accompagnare le sue creazioni con gioielli vistosi. Per Gabrielle i gioielli avevano una funzione decorativa consentendo alla donna di dare spazio alla propria fantasia personalizzando i propri modelli. Amava soprattutto quelli falsi ” amo i gioielli falsi perché li trovo provocanti, e trovo vergognoso girare con milioni intorno al collo solo perché si è ricchi”. Coco aprì cosi un laboratorio di bijoux falsi, guidato dal conte Etienne De Beaumont. Erano gioielli dalle enormi dimensioni e Coco consigliò di indossarli “a cascate”, come lei era solita fare. In seguito fu Fulco di Santostefano della Cerda, Duca di Verdura a creare per lei bellissimi gioielli. Egli era un nobile siciliano emigrato a Parigi con la passione per la pittura, dopo aver lavorato nella Maison Chanel come disegnatore di tessuti gli fu affidato il laboratorio di gioielleria. S’ispirò all’arte barocca e bizantina e le dimensioni dei monili erano esagerate, ma ben si adattavano agli abiti semplici di Coco. Fu la maison Gripoix, una delle più quotate e raffinate di Parigi a produrre questi gioielli, con pietre di vetro colorato, perle e catene dorate. A questi bijoux fu dedicata un’intera vetrina in Rue Cambon , in modo che anche la clientela meno ricca potesse acquistare un bijoux o una cintura.

Illustrazione di Alice Negri: www.alicenegri.com

Negli anni ’30 le cose cambiarono notevolmente. Gabrielle si trovò a dover competere con lo spirito provocatorio di Elsa Schiaparelli e la sapienza sartoriale di Madeleine Vionnet. Il suo stile non era più all’avanguardia dovendosi piegare a un gusto hollywoodiano e glamour che richiedeva più fantasia. Usò quindi il tulle, i merletti e i ricami in paillettes e realizzò abiti romantici con maniche rigonfie, inserì colletti bianchi sui semplici abiti neri e fiori da posare in testa o da appuntare allo scollo.

Illustrazione di Alice Negri: www.alicenegri.com

Nel 1936 dopo la vittoria del Fronte Popolare molti lavoratori francesi entrarono in sciopero, tra questi anche le operaie della Maison Chanel. Coco la prese come una sfida personale licenziando in tronco 300 persone; le trattative furono lunghe e difficili. Le lavoratrici chiedevano un salario adeguato, la settimana lavorativa di 40 ore e le ferie pagate. Chanel fu costretta a cedere, anche perché le operaie avevano minacciato il blocco della produzione e di conseguenza la collezione autunnale sarebbe saltata. Le idee politiche di Coco si erano piano piano radicalizzate anche grazie all’influsso del nuovo compagno: Paul Iribe, grande illustratore e fondatore della rivista di satira politica “Le Témoin” oltre che nazionalista, xenofobo e antisemita. Quando Coco sentì che il suo lavoro era minacciato reagì con rabbia e disprezzo, ma soprattutto con paura.

In quegli anni di confronto con Schiaparelli creò capi colorati in taffettà e boleri ricamati, ma qualcosa era cambiato; era come se Chanel non capisse più le donne o forse era lei che non capiva più i motivi per cui aveva lottato tanto. Il 2 settembre 1939 Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. Dopo qualche settimana Chanel chiuse l’atelier lasciando in piedi solo la boutique dei profumi e licenziando tutte le operaie, “non è tempo da vestiti” disse. Con molta probabilità’ si era resa conto di essere fuori moda e di non avere più niente da dire. Negli anni delle guerra, dopo la morte improvvisa di Paul Iribe Gabrielle decise di vivere al Ritz, diventato punto di riferimento dei tedeschi. Qui visse la sua ultima storia d’amore con un ufficiale nazista molto più giovane di lei che la coinvolse in una storia di spionaggio internazionale.

Nel settembre del 1944 fu arrestata dal comitato d’epurazione e rilasciata dopo tre ore, Coco partì in esilio volontario in Svizzera dove vi rimase nove anni in profonda solitudine. Intanto un giovane Christian Dior stava facendo sognare nuovamente le donne con i suoi bustini steccati e le lunghe gonne. Chanel sembrava scomparsa definitivamente dal mondo della moda. Resistevano solo i tessuti commercializzati con il marchio Chanel e il profumo, considerato un mito; ed è a questo punto che decise di riaprire l’atelier, pronta a ripartire con uno stile tutto nuovo. La sfilata ebbe luogo il 5 febbraio 1954 alla presenza di compratori, giornalisti e celebrità, convinti di assistere al nuovo corso Chanel. Purtroppo rimasero delusi, la collezione rispecchiava perfettamente lo stile anni ’20 con una riedizione di modelli già visti. La stampa fu impietosa e reagì con articoli molto duri; Chanel decise comunque di continuare sotto l’ala protettrice dei Wertheimer, proprietari di Les Parfums Chanel che acquisirono la Chanel couture e gli immobili di Rue Cambon. Gabrielle deteneva il controllo delle collezioni, la scelta dei collaboratori e i guadagni dai profumi.

Illustrazione di Alice Negri: www.alicenegri.com

La prima collezione ebbe una reazione positiva soprattutto negli Stati Uniti; Life scrisse: ”A 71 anni Chanel più che una moda porta una rivoluzione”. Gabrielle si concentrò soprattutto sul tailleur i tweed a trama larga dall’effetto spugnoso, un capo intramontabile. Così Catherine Ormen ha spiegato dettagliatamente il tailleur Chanel :” il tailleur in tweed era foderato con una seta identica a quella della blusa, in modo da comporre un insieme. Per evitare che il tweed si deformasse fodera e tessuto facevano corpo unico: erano percorsi da un’impuntura caratteristica, spaziata di qualche cm che costituiva una sorta di imbottitura. Per conservare la caduta a piombo di questi materiali leggeri una catenella piazzata in fondo alla giacca, assicurava una verticalità irreprensibile all’insieme.

Illustrazione di Alice negri: www.alicenegri.com

La maggior parte delle bluse di Chanel era senza maniche e per compensare quest’assenza in fondo alle maniche della giacca erano piazzati dei polsini staccabili che davano un tocco impeccabile a tutto l’insieme”. Chanel riprese anche la produzione della bigiotteria: le catene e le perle, le cinture dorate, i bracciali e le spille con grandi pietre colorate. Recuperò inoltre i suoi cappelli, tra cui il tamburello e la cloche, ma soprattutto inventò alcuni oggetti del desiderio in auge ancora oggi: la borsa in pelle impunturata 2.55 con catena dorata, le camelie bianche da appuntare sui tailleur, i sandali con punta bicolore. Questi erano i codici Chanel. Dopo la riapertura della maison anche il profumo tornò in auge tanto che una sensuale Marilyn Monroe dichiarò di andare a dormire con solo 5 gocce di Chanel N°5, quelle parole ebbero un effetto pubblicitario enorme. Coco morì il 10 gennaio 1971 al Ritz, di domenica, a 88 anni, con “tutta la discrezione possibile”.

 

Coco forever 2°parte

Francesca Galassini

 

 

Bibliografia :

Henry Gidel: Coco Chanel la Biografia- Lindau

Storia della Moda XVIII-XXI secolo Enrica Morini

Chanel L’Enigme, Isabelle Fiemeyer- Flammarion

I fantasiosi gioielli di Fulco di Verdura

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Icona dal nome altisonante Fulco di Santo Stefano della Cerda Duca di Verdura è stato uno dei maestri dell’arte orafa del ‘900.

Nato a Palermo nel 1898 da Giulio Santo Stefano della Cerda e Carolina di Valguarnera Fulco rappresentò per il padre un nome cui tramandare il titolo nobiliare, oltretutto era cugino e coetaneo di Tomasi di Lampedusa; purtroppo il padre amava sperperare il denaro con il gioco dei cavalli e le donne e per questi motivi disertò i doveri coniugali. Alla sua morte Fulco, con il denaro lasciatogli dal padre organizzò un favoloso ballo a Palazzo Verdura a cui vi parteciparono molti aristocratici europei, rimasto senza un soldo si trasferì a Parigi, portando con sé solo una valigia di cartone.

 

Appassionato di pittura era intenzionato a sfondare nel mondo dell’arte, ma il caso volle che il suo amico musicista Cole Porter lo presentassi a Coco Chanel, donna dotata di grande fascino che lo assunse come disegnatore di stoffe. Chanel annoverava tra i suoi amanti anche il Duca di Westminster che le regalava gioielli a profusione, destinati a rimanere nelle casseforti della stilista. Ella era dotata di grande intuito tanto che nel 1926 decise di affidare a Fulco la creazione di una collezione di gioielli intercambiabili con la bigiotteria e il compito di modificare alcuni dei suoi gioielli ricevuti in dono dal Duca di Westminster. Nacquero così i famosi bracciali con la croce di Malta con pietre incastonate in diversi colori, e le spille in stile bizantino, progettate per la stessa Coco Chanel e ispirate ai mosaici della chiesa di S. Vitale a Ravenna.

Coco Chanel & Fulco di Verdura (1937, by Boris Lipnitzki)

Egli traeva spunto dalla sua infanzia, dalla Villa di Niscemi con gli animali in pietra, oggetti bizzarri e mitologici che sapeva trasformare con ironia in splendidi gioielli come la tiara simile a un copricapo indiano con lunghe penne colorate che Fulco disegnò per una principessa. Nel 1934 decise di trasferirsi negli Stati Uniti insieme all’amico Nicolas Gunzburg, un barone russo divenuto successivamente direttore di Town and Country. Arrivato in California Fulco ottenne da Paul Flato, famoso gioielliere dei miliardari e delle star di Hollywood l’incarico di occuparsi del negozio in Sunset Boulevard e in quello stesso anno realizzerà alcuni monili per Audrey Hepburn. Divenuto oramai famoso nell’ambiente riuscì a uscire completamente indenne dallo scandalo che travolse Flato, accusato di sostituire pietre preziose affidategli dalle clienti con pietre di minor prezzo.

Trasferitosi a New York Fulco aprì una propria attività sulla Quinta Strada in una suite appartenuta a Cartier, dove poté così realizzare il suo sogno. Per i suoi capolavori orafi adoperava sassi semipreziosi, perle e conchiglie comprate nei musei di storia naturale che trasformava in spille e orecchini; utilizzò inoltre con maestria il legno e lo smalto per creare capolavori intrisi di quell’opulenza siciliana e mediterranea a cui era estremamente legato. Fulco era diventato il gioielliere delle celebrità: Greta Garbo ordinò un famoso orologio divenuto nel tempo, un’icona, mentre la Duchessa di Windsor animali con ametiste incastonate. Tra le sue geniali creazioni ricordiamo il Turbante Verdura composto da una conchiglia sormontata da turchesi. La direttrice di Vogue America gli dedicò innumerevoli servizi sulle pagine della rivista innescando così un passaparola tra i ricchi signori che cominciarono a frequentare il suo laboratorio artigianale come i Vanderbilt, Claire Booth Luce, Rita Hayworth e tutta l’alta società americana che ordinava pezzi unici e inimitabili come i portasigarette d’oro che Linda Porter regalava al marito il giorno prima di ogni show.

Dragon brooch by Verdura. via Christie’s

Fulco di Verdura non si sposò mai e non ebbe figli, la casata dei Santo Stefano della Cerda si estinse con lui, non prima però di aver collaborato attivamente con Luchino Visconti nelle sceneggiature de “Il Gattopardo” facendo rivivere così l’aristocrazia siciliana di cui lui faceva parte. Nel 1970 nonostante il successo ottenuto, decise di lasciare l’attività, rilevata nel 1984 da Ward Landrigan che acquisì più di 10.000 schizzi di Verdura. Trasferitosi a Londra decise di tornare al suo vecchio hobby: quello di dipingere minuscoli paesaggi su pietre calcaree divenute nel tempo piccole rarità per collezionisti. Nel 1976 pubblicò un libro di ricordi infantili “The Happy Summer Days” ultima pietra miliare di una vita instancabile e laboriosa.

 

Francesca Galassini

Bibliografia:

http://www.65perricominciare.it/le-storie-di-ascania-p/47-la-stravagante-vita-del-duca-fulco-di-verdura.

https://www.il-mondo-delle-gemme.juwelo.it/meravigliosa-esposizione-dei-gioielli-di-fulco-di-verdura/

 

 

 

Il genio creativo che stregò Hollywood

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Jean Louis è stato uno dei costumisti piu’ famosi della Golden Age Hollywoodiana, egli ha creato alcuni tra i più memorabili costumi indossati dalle star negli anni ’40 e ’50.

Jean Louis Berthault è nato a Parigi nel 1907, dopo aver frequentato la scuola di Arti Decorative inizia la sua carriera nei primi anni 30 come disegnatore presso il couturier Agnes-Drecoll, nel 1935 dopo aver ricevuto un risarcimento in denaro dopo un incidente automobilistico si trasferisce a New York dove viene incoraggiato da alcuni suoi amici a inviare i suoi disegni ai migliori stilisti della città, tra questi c’è Hattie Carnegie, che nota subito il suo talento assumendolo immediatamente. All’epoca ogni donna alla moda indossava abiti e accessori Hattie Carnegie, non importava quale fosse il prezzo, lei era la regina della moda americana, era in grado di vestire le donne “dal cappello all’orlo”.

Durante il tempo trascorso nell’atelier Carnegie, Jean Louis aveva la sua clientela fedele, come la duchessa di Windsor, Joan Crawford e Irene Dunne che acquistò un abito da sera in satin blu. Tra le clienti figurava anche Joan Cohn, moglie del presidente della Columbia Pictures Harry Cohn. Nel 1944 la moglie suggerì al marito di mettere sotto contratto alla Columbia Jean Louis come assistente costumista, egli accettò prontamente l’incarico in quanto gli permetteva di lavorare con il suo mentore Travis Banton, che gli insegnò le differenze e i piccoli trucchi tra i costumi cinematografici e gli abiti per tutti i giorni. Il primo lavoro di Jean Louis per la Columbia fu per la pellicola Together Again del 1944, nel 1945 dopo la partenza di Travis Banton per la Universal, Jean Louis divenne capo costumista alla Columbia, tra i tanti successi ebbe il raro onore di apparire a schermo intero in ogni film con la dicitura “Gowns By Jean Louis”; il suo stile semplice e elegante è considerato ancora oggi senza tempo.

Jean louis

Egli ha creato svariati look per le attrici tra questi, quello di Rita Hayworth nell’oramai iconico film Gilda (1946) che l’ha trasformata in una superstar internazionale, il suo vestito aderente senza spalline in satin nero è considerato uno dei dieci migliori costumi di tutti i tempi; più tardi Jean disse:” Tutti si meravigliavano di come quel vestito potesse stare su quando Rita cantava e ballava, semplicemente perché all’interno del busto avevamo inserito un’imbracatura di gros grain e plastica”. Nel 1947 è stata la volta di The Lady From Shangai: film noir dove Louis ha creato l’intero guardaroba della Hayworth. Dopo che Rita decise di lasciare la Columbia furono Kim Novak e Judy Holliday le nuove star dello studio. Nel 1956 Jean Louis dopo varie nomination riuscì a vincere l’Oscar con “Una Cadillac Tutta d’Oro” con protagonista Judy Holliday.

Rita Hayworth in ‘Gilda’ (1946)

Judy Holliday in “The Solid Gold Cadillac”

Dopo anni di esperienza alla Columbia divenne capo costumista alla Universal, qui fece il suo primo incontro con un’altra stella: Doris Day per la quale creerà i costumi per il film “Pillow Talk “(1959) mettendo in risalto il fisico dell’attrice con abiti dai colori vivaci. Un’altra attrice che amava vestire era Lana Turner per la quale realizzò il guardaroba per “Imitation Of Life” (1959). Jean Louis non era conosciuto solo per i suoi costumi per il cinema ma anche per quelli fuori dallo schermo. Nel 1950 disegnò i costumi di scena di Dorothy Lamour tra cui il suo famoso sarong, ma il suo momento favorevole è arrivato nel 1962 quando ha letteralmente cucito addosso a Marylin Monroe un abito color carne ricoperto da 2500 strass con gradazioni di colore diverse, con questo abito l’attrice si è presentata al Madison Square Garden cantando Happy Birthday Mr President a John F. Kennedy di fronte a 15.000 persone. L’abito è considerato tra i più iconici e conosciuti oggi, il vestito di Marylin era ispirato ai costumi di scena che Jean aveva creato per Marlene Dietrich in Las Vegas Cabaret, l’abito della Dietrich era una specie di calza per il corpo che perfezionava la figura ed era decorata da paillettes strategicamente posizionate sopra l’indumento, dando l’illusione che non indossasse nulla. Alla fine Jean ha disegnato un’intera collezione di questi “abiti illusione” in vari colori, in paillettes o perline, riscuotendo un enorme successo.

Lana Turner in “Imitation of life”

Marilyn Monroe in her Jean Louis dress after singing ‘Happy Birthday’ to JFK.

Marlene Dietrich in un abito Jean Louis

Con Marylin aveva un rapporto speciale, così ha raccontato:” un giorno Marilyn scese le scale in vestaglia e si fermò davanti a me dicendomi:” Jean se vuoi fare vestiti per me devi vedere come sono”. Ha aperto la sua vestaglia e lei era lì, senza assolutamente niente sotto”. Questo episodio l’ispirò nella creazione di un minuto bikini a pois per l’attrice. Alla fine degli anni ’60 Jean progetta la sua favolosa linea di moda chiamata Jean Louis Inc. che veniva venduta nella sua boutique di Beverly Hills continuando comunque a disegnare costumi come freelance. L’ultimo suo lavoro come costumista risale al 1973.

ulie Andrews in Thoroughly Modern Millie (1967) Costume design by Jean Louis

Woman’s Evening Dress and Shawl | Jean Louis (Berthault), 1975, LACMA Collections

Dopo la morte di sua moglie Maggie si risposa con l’amica di una vita, Loretta Young per la quale aveva creato in passato svariati costumi. Jean Louis è scomparso nel 1997 a Palm Springs ma la sua eredità stilistica continua a vivere, molti designer infatti si sono ispirati al suo lavoro tra cui Michael Kors, Zac Posen, Sarah Burton per Alexander MCQueen, Zuhair Murad e molti altri.

 

Francesca Galassini

 

Biografia: Creating The Illusion- A Fashionable History of Hollywood Costume Designer, Jay Jorgensen & Donald L. Scoggins

http://www.glamamor.com/2014/10/JeanLouis-Biography.html

http://www.nytimes.com/1997/04/24/us/jean-louis-89-dressed-stars-and-socialites.html

 

 

Icone di moda: Irene Castle, la prima flapper della storia

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Una delle più famose performer del suo tempo, Irene Castle fu una grande ballerina e trend setter che influenzò la moda Americana ed Europea durante gli anni dieci del novecento. Irene era ammirata per la sua figura atletica e il suo moderno senso dello stile , le donne imitavano i suoi capelli corti e il suo abbigliamento sciolto, molti storici la considerano la prima flapper.

Nata a New Rochelle New York nel 1893 con il nome di Irene Foote, già da bambina possedeva una grande attitudine per la danza, che la aveva portato a esibirsi in diversi teatri; a solo 17 anni, conobbe colui che era destinato a essere il suo partner nel lavoro e nella vita: Vernon Castle. Ballerino professionista inglese già conosciuto per i suoi ruoli comici e che gli procurò il suo primo lavoro professionale, una piccola parte in “The summer Widowers”. Nel 1911, i due convolarono a nozze e tre anni dopo, la coppia raggiungeva la popolarità comparendo nello show di Irving Berlin “Watch your step” dove resero popolare il foxtrot.

Intorno al 1915, la loro popolarità era tale da rendere Irene un’icona di moda, si dice che sia stata lei a introdurre le donne americane alla moda di tagliarsi i loro lunghi capelli con il “bob”, stile che anni dopo sarebbe stato adottato dalle flapper. Irene fecce diverse innovazioni nel guardaroba femminile che aiutarono a confermare l’abolizione del corsetto e che promuovevano un abbigliamento più comodo per la donna, con gonne più corte dai tessuti fluttuanti; infatti in suo segno distintivo erano le gonne di chiffon di seta che accentuavano i movimenti della sua danza. Le sue eleganti ma semplici mise la facevano comparire spesso nelle riviste di moda. Irene era solita comprare i suoi abiti da Lucile o da Vionnet, ma anche lei disegnava molti degli abiti da lei indossati; tanto che approfittando della sua condizione di star, iniziò uno dei primi “veri” marchi di moda delle celebrità, che significava una linea di abbigliamento venduta sotto il suo nome e a lei accreditata. Soprannominata la “donna meglio vestita d’America” ​​al tempo, Castle era un nome familiare e aveva già dimostrato di avere un’enorme influenza nella moda occidentale prima di iniziare la sua carriera.

1914 Dress by Lucile (Lady Duff Gordon). Gifted to the Met by the famous dancer of the era, Irene (Mrs. Vernon) Castle

THEATRE: The Theatre Magazine New York digital library. Irene Castle 1915

Intorno al 1917, Irene lavorò con un produttore tessile chiamato Corticelli Silks per produrre una linea di moda di alta gamma, prêt-à-porter sotto l’etichetta “Irene Castle Corticelli Fashions”. A differenza delle precedenti forme di branding delle celebrità, il ruolo di Irene non si limitava alla semplice approvazione, lei era la vera creatrice dei suoi modelli.

Irene Castle Dress Black silk crepe, ecru lace, embroidery Circa 1923

Pamphlet advertising Irene Castle Corticelli Fashions, 1925. Images:Hagley Museum and Library

I Castle crearono tendenza e furono pionieri anche in altri ambiti, realizzarono coreografie più leggere e fruibili per alcuni dei nuovi ritmi che arrivarono tra il 1912 e il 1914, molti dei quali erano considerati selvaggi e troppo sensuali come il ragtime jazz, il Turkey trot o il Grizzly bear; insieme crearono dei nuovi balli come il “Castle Walk” o il “The Castle Lame Duck Waltz”, contribuendo e promuovendo l’ascesa dei balli di sala sia in America che in Europa.

Nel 1918, dopo essere tornato in Inghilterra e aver servito con onore nel Royal Flying Corp, durante la I Guerra Mondiale, Vernon morì in un incidente aereo. Irene continuò a ballare ma senza lo stesso successo di prima; così decise di percorrere la strada del cinema, recitando nel cinema muto con gran favore del pubblico.

Irene Castle, Foto: amousfix.com

Irene si sposo altre tre volte ed ebbe anche dei figli, una volta abbandonata la carriera artistica, divenne una attivista per i diritti degli animali, mori nel 1969.

 

Ana Muraca

Bibliografia – Sitografia:

Irene Castle – Ballroom Dancer & Fashion Icon

http://www.fashionencyclopedia.com/fashion_costume_culture/Modern-World-1900-1918/Castle-Irene.html

http://news.cornell.edu/stories/2016/06/americas-first-best-dressed-woman-set-style-ithaca

https://fashionista.com/2017/08/celebrity-clothing-lines-history

 

 

La Cloche

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Caratteristica distintiva della modisteria femminile nell’età del Jazz è stata quella di creare cappelli che incorniciavano il viso, mettendo in evidenza lo sguardo.

Negli anni ’20 il più iconico dei cappelli era quello a cloche, il nome cloche significa “campana”, proprio come la sua forma; contrariamente a quanto si pensa questo copricapo era già in voga dal 1908 e fu inventato dalla modista francese Caroline Reboux.

Cloche di Caroline Reboux degli anni 20

Cloche 1925-1930 di Caroline Reboux, Met museum

Per indossarlo alla perfezione occorreva tirarlo giù sugli occhi costringendo chi lo indossava a sollevare la testa e a sbirciare con lo sguardo, questi cappelli a forma di campana erano fatti di feltro o di paglia. La stessa Reboux avrebbe personalizzato una cloche appositamente per una cliente prendendo una pezza di feltro plasmandola direttamente sulla testa della signora.

Cloche 1922, Gage Brothers & Company
Met museum

Cloche 1928-29 Miss Fox V&A museum

Negli anni ’20 il taglio di capelli detto Bob si adattava perfettamente a questo tipo di cappello, difatti la cloche era divenuta uno dei segni distintivi delle flapper. L’Art Deco influenzò notevolmente le decorazioni di questi cappelli: spille, piume e perline decoravano la cloche da indossare la sera, mentre alcune donne avevano la loro cloche come parte del loro guardaroba da sposa. Con il tempo le decorazioni assunsero dei significati simbolici: un nastro a forma di treccia applicato sulla cloche significava che chi lo indossava era single ma aveva già dato il suo cuore a qualcuno…mentre un nastro a forma di arco simboleggiava che la donna era single e si guardava intorno.

Cloche 1928, Met museum

Cloche anni 20 Met museum

Cloche 1928, Liberty & Co. Ltd. V&A museum

Cloche da matrimonio 1932, Met museum

Clara Bow, anni 20 Foto: Indulgy.com

La mania della cloche continuò anche negli anni ’30 con le dive del grande schermo che lo sfoggiavano nei film, come Greta Garbo che lo indosserà in Anne Christie, dopo un breve declino negli anni ’40 e ’50 a causa del ritorno dei capelli lunghi ondulati, la cloche torna popolare negli anni ’60, ma con una vestibilità più ampia. Molte icone di stile all’epoca hanno indossato la cloche, come Twiggy in The Boyfriend.

Cloche da cocktail 1965, Bergdorf Goodman, Met museum

Anni 60, Twiggy che indossa una cloche

Oggi, pur non godendo della popolarità di una volta il cappello a cloche è ancora di moda.

 

Francesca Galassini

 

Sitografia:


10 cose che non sapevi sulle Flapper

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Tra la fine dell’800 e l’inizio del novecento, le donne indossavano lunghi abiti sopra stretti corsetti che costringevano il loro corpo ad assumere una innaturale forma a “S”, avevano lunghi capelli che raccoglievano sulla sommità della testa, ed erano gli angeli del focolaio domestico, incarnando l’ideale di donna dell’epoca: la Gibson Girl.

I tempi però stavano cambiando e ad accelerare il processo fu la prima guerra mondiale che vide tantissime donne giovani lasciare la loro condizione marginale per andare a lavorare nelle fabbriche al posto dei loro uomini, padri e fratelli. Una volta finita la guerra, gli uomini che riuscirono a tornare a casa, pretendevano che tutto tornasse come prima; ma le donne, che erano riuscite ad assaggiare il gusto dell’indipendenza, dell’autonomia e di un po’di libertà, non erano d’accordo, loro avevano dimostrato al mondo e a se stesse che erano in grado di badare a se e alla famiglia, e in un momento storico di grandi cambiamenti e instabilità, la regola divenne vivi intensamente l’oggi perché non sai cosa porterà il domani.

Gibson girl, Foto: akmaya.ru

1.La personificazione dello spirito di libertà e sregolatezza che caratterizzò gli anni 20 fu la flapper; si tratta di una donna indipendente alla ricerca di reinventare se stessa in netto contrasto con la generazione precedente. La flapper non segue le intricate convenzioni sociali, dice quello che pensa senza peli sulla lingua, si trucca e anche pesantemente, sembrando più un cadavere che una donna in salute; ha tagliato i suoi lunghissimi e preziosi capelli, fuma, beve, si veste e si muove come una poco di buono e pensa più che altro a divertirsi.

Foto dal sito: brightyoungtwins.com

2.Non si sa esattamente da dove proviene il termine flapper, alcuni, lo associano a un giovane uccello o anatra selvaggia che sbatte (flapp) le ali mentre impara a volare. Un’altra teoria invece lo attribuisce a una donna che si rifiuta di allacciare le sue galoche e le fibbie slacciate fanno il suono di flap! mentre cammina; oppure a una ragazzina diventata da poco donna la cui treccia sbatte sulla schiena. Andando ancora più indietro, il termine indicava una donna diventata da poco prostituta.

Sia quel che sia, ogni termine ci fa pensare alla donna indipendente, giovane e sbarazzina degli anni 20.

 

3.Prima di questo decennio, il trucco era usato solo dalle donne di dubbia morale, ma grazie alle innovazioni di quegli anni, le flapper riuscirono a crearsi un look adatto a loro, che seguisse la moda lanciata dalle stelle del cinema come Joan Crawford, Mae Murray e Clara Bow.

Il colore per le guance era quello più associato alla prostituzione ma grazie all’invenzione del fard compatto, esso, divenne socialmente accettato e facile da applicare; all’epoca, si trattava di spalmarlo sulle guance a forma di cerchio.

Per quanto riguarda il rossetto, l’invenzione del tubetto metallico estraibile del 1915, rivoluzionò il suo utilizzo, esso poteva essere portato da per tutto e messo in qualsiasi momento e grazie alla sua forma, si poteva delineare perfettamente le labbra o creare forme nuove come quella a cuore, chiamata “cupid bow”, molto di moda all’epoca.

Gli occhi erano delineati con kohl molto nero dall’effetto sbavato; le sopracciglia venivano strappate fino a creare una linea sottile; il mascara si poteva trovare in polvere compatta, in cera o liquido.

Mascara del 1917 ca. Foto: BuzzFeed Partner

Per le unghie, la manicure di moda era quella chiamata a forma di luna, dove su lunghe unghie si pitturava solo la metà, appunto a forma di luna, lasciando il resto al naturale.

4.La silhouette della flapper era quella di una ragazzina appena divenuta donna, un po’ maschiaccio, con poco seno e poche curve, molto magra e ossuta; ma se la natura aveva dotato la ragazza di certe rotondità, la cosa migliore era attingere a un determinato tipo di biancheria intima che appiattiva il seno, i fianchi e il di dietro.

Anche le calze subirono un cambiamento, ora che si inizia a esibire le gambe, le flapper si dimenticarono delle giarrettiere, la moda era quella di arrotolarsi le calze che arrivavano fino a sotto il ginocchio e che spesso in mancanza di un sostegno scendevano giù creando non poco scompiglio.

Foto: heartheboatsing.com

5.Come abbiamo già detto, le flapper avevano tagliato i loro lunghi capelli a forma di Bob, seguendo l’esempio di Irene Castle, una di quelle che possiamo considerare le primissime flapper. Il problema era trovare chi poteva accorciare i loro capelli vista la loro inesperienza; i parrucchieri e acconciatori si rifiutarono per evitare di perdere così la loro clientela abituale; a quel punto, le intrepide donne optarono per andare a tagliarsi i capelli dal barbiere che non ebbe problemi a farlo.

Louise Brooks, 1927
Foto: vintagephotoalbum.blogspot.it

6.Gli accessori usati durante questo periodo seguivano la rigidità e la geometria dell’art decò; certo il nuovo taglio dei capelli, modificò largamente gli accessori che erano stati usati in passato come i pettini decorativi, i posticci e le aigrette; mentre vidi il proporsi dei pin fatti apposta per il bob; la fascia per capelli e la cloche. Gli orecchini divennero lunghi e spesso finivano a forma di goccia rimarcando la geometria e sposandosi perfettamente con i capelli corti. Altri accessorio erano le lunghe collane usate a uno o più giri intorno al collo, in particolare le collane di perle molto lunghe e anche i sautoir che avevano una nappa o una pietra appesa in basso.

Fania Marinoff (circa 1923) Foto: giftvintage.tumblr.com

I bracciali furono un “must have “del decennio, in legno, osso, conchiglia, e persino in plastica, dai colori vivaci e con motivi che ricordavano l’Africa; una grande promotrice di questa moda fu la scrittrice Nancy Cunard.

Nancy Cunard, Vogue 1927, foto di Man Ray

7.Alcuni dei creatori di moda che contribuirono alla creazione del Flapper look furono Jean Patou con i costumi da bagno a maglia, Coco Chanel con la maglia di jersey, il “little black dress”, il profumo Chanel No. 5, le sue linee pulite e lanciando la moda dell’abbronzatura; Elsa Schiaparelli con gli abiti surrealisti e Madeleine Vionnet con il taglio a sbieco apri le porte a una nuova moda durante gli anni 30.

8.La figura della flapper fu talmente sopra le righe da dare alito a tutta una serie di vignette satiriche, illustrazioni di cartoni animati di grande successo come le copertine di Life e del New Yorker realizzate da John Held Jr. ; i personaggi di Fanny nella serie comica “Flapper Fanny Says” o il cartone animato di “Ethel Hays” .

Cover, Life Magazine, 1926. John Held, Jr.

9.Le flapper volevano vivere ogni momento come se fosse l’ultimo e non privarsi di niente, così iniziarono a fumare, e peggio ancora a bere alcol, tanto che andavano in giro con una fiaschetta, passavano le loro serate alla ricerca di qualche festa per andare a ballare il Charleston, il Black Bottom e il Shimmy, considerati balli selvaggi dalle generazioni precedenti.

Foto dal sito: http://circusofsplendor.tumblr.com

10.Mentre molti erano scandalizzati per il look e l’atteggiamento delle flapper, con il passare del tempo, una versione più “soft” iniziò a essere accettata, molte donne tagliarono i loro capelli, si vestivano con un abbigliamento più pratico senza i corsetti ma per il resto, facevano una vita normale, senza estremi, erano i tempi che cambiavano e che avevano altre esigenze.

La fine degli anni 20 portò con sé la grande depressione che riportò tutti per terra e che resse ancora più vana la frivolezza e gli eccessi del decennio; si preannunciavano tempi duri e anche se molti dei cambiamenti avviati dalle flapper rimassero, il loro atteggiamento di sfida e di scandalo dovete mutare definitivamente.

 

Ana Muraca

Bibliografia e sitografia:

“Moda, Il secolo degli stilisti, 1900-1999”, Charlotte Seeling, Editore Konemann, 2000.

“Kyoto Costume Institute La moda : storia della moda dal 18. al 20. secolo / dalla collezione del Kyoto Costume Institute, Editore Taschen, 2012.

https://www.smithsonianmag.com/arts-culture/the-history-of-the-flapper-part-1-a-call-for-freedom-11957978/

https://www.smithsonianmag.com/arts-culture/the-history-of-the-flapper-part-3-the-rectangular-silhouette-20328818/

https://www.thoughtco.com/flappers-in-the-roaring-twenties-1779240

http://ultimatehistoryproject.com/flapper.html

 

1920s Jewelry Styles History

 

Icone di Moda: Louise Brooks

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Icona anni 20, ammirata per la sua bellezza e il suo talento, ebbe la sua epoca d’oro durante gli anni venti quando divenne simbolo delle donne indipendenti, libere e disinibite capaci di conquistare il mondo.

Louise Brooks nacque il 14 novembre del 1906 a Kansas, negli Stati Uniti, studiò con i pionieri della danza moderna Martha Graham e Ted Shawn che l’assumero per la loro compagnia, ma il suo carattere indipendente e anticonformista causò dei contrasti che portarono al suo licenziamento nel 1924.
Poco tempo dopo, una sua amica, le trovò un nuovo lavoro nel coro del musical “Scandals”, e in seguito lavorò a Broadway, al Ziegfeld Follies.

Il suo talento la fece notare dal produttore della Paramount Pictures Walter Wanger che la mise sotto contratto per ben cinque anni con lo studio. Durante questo periodo partecipa a diverse commedie leggere con ruoli minori e pian piano iniziò ad avere ruoli sempre più importanti in film di rilievo come: “Capitan Barbablù”, “Beggars of life” e “La canarina assassinata”. Il suo caratteristico caschetto alla maschiaccio, la sua bellezza algida e il suo modo di recitare più espressivo, presto la convertirono in una donna ricca e famosa, ammirata e seguita da tutti; ma Louise, disillusa di Hollywood, cerca altri orizzonti e se ne va in Germania a recitare nel film “Il vaso di Pandora” dove interpreterà il ruolo di Lulu, una giovane donna molto attraente, disinibita e calcolatrice che intrappolava e rovinava gli uomini che di lei si innamoravano; questo ruolo la consacrò definitivamente come una star internazionale e le diede l’immagine della vamp. In seguito Louise recitò nel film “Diario di una donna perduta“, sempre su tematiche sessuali, che per l’epoca furono uno shock e vennero successivamente censurati.

Louise Brooks ” La scatola di Pandora”

Al suo ritorno in patria, Louise recitò in alcuni film ma senza alcun successo; tale fallimento la condusse a dichiarare la bancarotta nel 1932 e a fare diverse occupazioni come ballerina nei night club, l’attrice radiofonica e la commessa per guadagnarsi da vivere.

Durante gli anni cinquanta la sua carriera fu riabilitata grazie alla critica francese che la riconobbe come una delle più celebri attrici del muto. Sempre durante questo periodo, la Brooks inizia una carriera come critica cinematografica e scrive sulle sue esperienze passate che poi verranno raccolte e pubblicate insieme nel 1982 nel libro “Lulu in Hollywood”.

Louise amava vestirsi in modo audace e glamour, il suo guardaroba era composto di pesanti cappotti di pelliccia, abiti brillanti, giacche di velluto, gonne plissettate, pantaloni larghi, abiti aderenti dalle scollature profonde i quali indossava senza reggiseno, camicette in seta dalle stampe geometriche e il tutto accompagnato da file e file di perle; spesso usava il cloche tirata un po’ verso il basso in modo da rendere ancora più enigmatico il suo sguardo.

Era perfetta per incarnare lo stereotipo degli anni 20, una donna libera, indipendente, sessualmente aperta, magra, alta, bella e allo stesso tempo irraggiungibile; il suo caschetto alla maschiaccio l’accompagnò durante tutta la sua carriera cinematografica rendendola molto riconoscibile al pubblico, fu amata, ammirata e imitata, sia allora, sia ancora oggi; lo possiamo vedere in Anna Karina nel film di Jean Luc Godard “Vivre Sa Vie” del 1962, ma anche con Melanie Griffith nel ruolo di Lulu nel film “Something Wild” del 1988 e ancora con Uma Thurman in “Pulp fiction”.

 

Sitografia:

 

https://www.collegefashion.net/inspiration/a-history-of-style-fashion-inspired-by-louise-brooks/

 

http://www.heraldscotland.com/news/13108047.Style_Icons__Louise_Brooks/

 

http://www.worcesternews.co.uk/news/8852030.Fashion_Icon_of_the_1920s___Louise_Brooks__Silent_but_Sexy/

 

Caroline Reboux e la magia dei cappelli

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Figura dominante della moda parigina Caroline Reboux, giovane e talentuosa modista ha influenzato enormemente lo stile dal 1870 fino alla fine degli anni ’20.

Caroline Reboux nasce a Parigi nel 1837, come molti personaggi di fama si era auto inventata un’infanzia; all’epoca disse, infatti, di essere la quarta figlia di una nobildonna e di un letterato rimasto orfano e fuggito a Parigi. Nonostante le sue origini siano incerte, sappiamo per certo che il suo lavoro fu molto apprezzato dalla Principessa Von Metternich e dall’Imperatrice Eugenia.

1888, Caroline Reboux, Met Museum

1909 – 1911, Caroline Reboux, Met Museum

1913 – 1915 Caroline Reboux, Met Museum

Nel 1865 la “Regina delle Modiste” apre il suo primo negozio di cappelli in Avenue Matignon a Parigi, le sue creazioni erano famose quanto quelle di Charles Frederick Worth e molti dei principali produttori di cappelli del XX secolo si sono formati nei suoi laboratori.

Caroline Reboux, viene ricordata principalmente per aver introdotto il velo nei cappelli, per aver creato i primi copricapi per il teatro e per aver inventato la Cloche, sebbene gli storici della modisteria sono d’accordo sul fatto che anche la modista Lucy Hamar abbia avuto questo merito.

Cloche, anni 20, Caroline Reboux, Foto: https://theredlist.com

Cloche, anni 20, Caroline Reboux, Foto: https://theredlist.com

Il suo metodo di lavoro era unico: modellava e piegava il feltro direttamente sulla testa della cliente creando modelli esclusivi come i cappelli in paglia a tesa larga, conosciuti come i cappelli di Gainsborough e i Toque –Turban , spesso apparsi nei dipinti di Mme Vigée Lebrun . Ha lavorato con molti stilisti di moda, realizzando cappelli per le loro collezioni, come Madeleine Vionnet con cui sviluppò un forte legame di amicizia.

Tra le sue clienti famose ricordiamo Marlene Dietrich, che acquistava i suoi berretti e Elsa Triolet.

Anni 30, Caroline Reboux, Met Museum

Ornamento da testa, anni 30, Caroline Reboux, Met Museum

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1927 i suoi laboratori di modisteria continuarono a svolgere l’attività molte donne poterono così indossare cappelli firmati Caroline Reboux: come Wallis Simpson che quando sposò il Duca di Windsor nel 1937, indossava un abito blu chiaro realizzato da Mainbocher e un cappello azzurro con cerchietto di fiori coperto da pizzo removibile creato dalla maison Caroline Reboux.

Copricapo di Wallis Simpson indossato il giorno del suo matrimonio nel 1937. Caroline Reboux,, Met Museum

Agnés Turban, 194o – 42, Caroline Reboux, Fidm Museum

Francesca Galassini

 

Bibliografia

www.fashionmodeldirectory.com/designers/caroline-reboux/

www.edwardianpromenade.com/…/the-millinery-of-caroline-re…

The Little Black Dress

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Il little black dress (LBD) è un classico insormontabile di raffinatezza, praticità e versatilità, creato da Coco Chanel come abito per democratizzare l’eleganza, esso apparve per la prima volta nella rivista Vogue America nel 1926; una piccola foto di un modello austero, semplice, ma terribilmente sofisticato in mezzo agli abiti pomposi proposti dalle altre case di alta moda.

All’epoca, fu denominato dalla stessa rivista, la “Ford di Chanel”, perché paragonato al modello T della Ford, entrambe accessibili a tutte le classi sociali; fu anche detto che sarebbe diventato una sorta di divisa per le donne di classe. Lo sappiamo, Chanel fu un vero e proprio genio della moda, non conforme con aver rivoluzionato il guardaroba femminile, aver messo di moda l’abbronzatura e creato il suo meraviglioso profumo Chanel numero 5, realizò anche con questo abito iconico che era destinato a rimanere come una costante nella moda fino ad oggi.

Certamente le donne avevano indossato abiti neri prima dell’arrivo di Chanel, ma essi erano legati a un’idea di sobrietà, di contegno morale e in seguito di luto; ma fu solo con Chanel, che gli abiti neri acquisirono la modernità, la semplicità e la raffinatezza necessarie per diventare un must di qualsiasi stagione, moda o addirittura epoca.

Pochi anni dopo la sua prima apparizione, il (LBD), si rivelò l’abito perfetto per affrontare la grande depressione del 1929, grazie ad esso, le donne potevano continuare a vestirsi bene e ad apparire eleganti ma con mezzi molto più esigui; in seguito, la fiorente industria del cinema lo adotto per gran parte delle attrici perché a differenza degli altri colori, il nero non distorceva le figure sullo schermo. La buona sorte del LBD continuò anche durante la II Guerra Mondiale, grazie ai razionamenti di tessuti e alla sua adozione, per motivi di praticità, come divise per le lavoratrici.

Elsa Schiaparelli 1933

Abito di Christian Dior 1948

1950 – HarpersBAZAAR.com

Una volta finita la guerra, arrivò Christian Dior con il suo New Look, e fecce tornare subito il LBD alle sue radici di abito elegante e raffinato; mentre Hollywood lo scelse per le sue femme fatale; ma a popolarizzare veramente il LBD fu l’apparizione a grande scala sul mercato, delle fibre sintetiche, rendendolo adatto a tutte le tasche, tanto che venne presso durante gli anni sessanta sia per le ragazzine con modelli a minigonna, pensiamo per esempio a Twiggy, sia dalle loro madri, come l’iconico abito indossato da Audrey Hepburn in “Collazione da Tiffany”.

Twiggy, foto dal sito http://fuckyeah60sfashion.tumblr.com

Audrey Hepburn

Da allora, sono moltissime le donne di spettacolo, le mogli famose e le donne in carriera, che si sono fatte fotografare indossando un LBD, ogni epoca l’ha modificato, l’ha fatto suo, tanto da renderlo un caposaldo nel firmamento della moda.

 

Ana Muraca

 

Bibliografia e Sitografia:

“Fashion the whole history”

https://en.wikipedia.org/wiki/Little_black_dress

https://www.smithsonianmag.com/smart-news/why-coco-chanel-created-lbd-180965024/

http://www.vogue.it/news/encyclo/moda/b/il-little-black-dress

Il Tailleur Rosa di Jacqueline Kennedy

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“Lasciate che tutti vedano cosa hanno fatto”. Con questa frase secca Jacqueline Kennedy rispose a coloro che a bordo dell’Air Force One le dissero di cambiarsi d’abito.

Era il 22 novembre 1963. Quell’abito, intriso di lacrime e sangue è divenuto nel tempo icona di eleganza e raffinatezza; un abito consacrato alla storia, il segno di riconoscimento di Jacqueline Kennedy. Quel giorno a Dallas lei sedeva accanto al marito su una decappottabile senza protezione, come voleva lo stesso Presidente JFK.

Passarono davanti al corteo festoso, Jacqueline indossava un tailleur in lana bouclé rosa con cappellino a tamburello coordinato, quando lui fu raggiunto da una serie di colpi di fucile che si rivelarono mortali. Le pallottole raggiunsero il cervello che si frantumò in pezzi sotto gli occhi atterriti del mondo intero. Jackie, come se volesse proteggere il corpo del marito salì disperatamente sul bagagliaio dell’auto, consegnando alla storia dell’umanità una delle immagini più tragiche. Il suo tailleur era sporco, macchie di sangue dappertutto, ma nonostante ciò la First Lady non si cambiò d’abito e rimase con quel tailleur durante il volo per Washington, con a bordo la salma del Presidente.

C’era qualcosa di inevitabilmente macabro e morboso in quel gesto; lei pochi secondi prima di spirare le aveva sussurrato:” Ti amo tanto John”. Quel tailleur era come se avesse suggellato un amore infinito, eterno, carnale. In quell’epoca i tailleur in lana, soprattutto quelli di Chanel rappresentavano il simbolo della donna di classe, chic e indipendente, una sorta di passe-partout per ogni momento della giornata, perfetto per una come Jackie. Il rosa confetto poi era una novità per l’epoca. Si dice che quella tonalità fu resa popolare in America da Mamie Eisenowher che aveva lanciato il “Rosa Mamie”. Quel tailleur divenne così il capo preferito del Presidente tanto che le aveva detto :” ci saranno tutte le donne Repubblicane più ricche a quel pranzo, sii semplice, e mostra alle texane cosa è il buon gusto”.

Dal film Jackie del 2016

Nell’autunno inverno 1961 Coco Chanel presentò una collezione con alcuni tailleur simili a quello indossato da Jackie; la First Lady fu infatti, fotografata in occasione di molti eventi con indosso quella mise, completata da un elegante borsa blu marino che riprendeva i toni del colletto e il bordo delle maniche. Attualmente il dibattito è ancora aperto tra gli storici della moda sul fatto che il tailleur sia un originale Chanel. Alcuni sostengono sia stato realizzato dalla storica sartoria americana Chez Ninon, copiando un abito Chanel rosa, tuttavia nella biografia autorizzata del 2010 di Coco Chanel Justine Picardie ha affermato che la stoffa e i bottoni dorati provenivano dall’atelier parigino Chanel e che l’abito era stato adattato alle forme di Jackie secondo il metodo “Linea Per Linea” da Chez Ninon. Secondo la Picardie non si trattava di contraffazione, in quanto Chanel forniva le stoffe e gli accessori a Chez Ninon, ma si trattava semplicemente di un atto patriottico nei confronti dell’elettorato americano.

Dopo che Jacqueline si tolse quell’abito macchiato di sangue lo diede alla cameriera che lo ripose in una scatola; successivamente fu spedito alla madre di Jacqueline la quale fece scrivere nella parte superiore della scatola “22 novembre 1963”. L’abito non è mai stato lavato ed è tuttora conservato negli Archivi Nazionali Americani, fuori dall’occhio indiscreto del pubblico.

 

Francesca Galassini

 

Bibliografia :

https://www.huffingtonpost.it/2017/02/…/jackie-kennedy-abito-rosa_n_15038460.ht

www.dagospia.com/…/mistero-vestito-rosa-jackie-50-anni-prossimi-100-66888.htm

 

 

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