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Acconciature Vittoriane

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Fin dai tempi antichi, i capelli femminili hanno sempre avuto una certa importanza, essi hanno incorniciano il volto delle donne donandogli grande femminilità e bellezza, ma mai come nel periodo Vittoriano i capelli, furono oggetto di una tale adorazione.

In una società molto puritana dove il corpo (soprattutto quello delle donne) doveva essere sempre coperto, il viso e i capelli divennero le uniche parti ben visibili e quindi trattate e ammirate con particolare attenzione, tanto è che si aveva una sorta di “linguaggio dei capelli” che indicava tratti della personalità della donna; capelli mossi indicavano una donna molto dolce, capelli folti, lunghi e forti erano segno di una donna molto passionale.

Le donne vittoriane non tagliavano mai i loro capelli, al massimo li spuntavano quando avevano le punte troppo rovinate, ma questo era tutto; all’epoca, i capelli lunghi erano una caratteristica di grande femminilità, ma anche di una certa condizione economica che gli consentiva alla donna di avere abbastanza tempo libero da prendersene cura.

Le bambine erano solite portare i capelli sciolti o al massimo parzialmente raccolti con un fiocco; ma arrivati a 15-16 anni, avveniva un’importante rito di passaggio, dove iniziavano a portare i capelli completamente raccolti perché ormai erano diventate giovani donne e per una donna non era affatto ben visto esibire i capelli sciolti in pubblico.

Le donne delle classi basse, date le condizioni di scarsa igiene e il bisogno di lavorare, trovavano poco pratico avere lunghi capelli, che comunque avrebbero dovuto coprire, quindi li mantenevano corti o a volte le lasciavano crescere per venderli nel momento del bisogno, data la grande richiesta di posticci.

Cura dei capelli:

Ogni donna aveva i propri metodi per prendersi cura dei propri capelli, spesso attingevano a ricette trovate nelle riviste, nei libri o tramandate da madre a figlia.
In linea di massima, le donne pulivano i lunghi capelli ogni giorno (mattina e sera) pettinandoli in modo di togliere lo sporco accumulato e in seguito spazzolandoli per renderli brillanti e morbidi. Quando i capelli erano molto sporchi, si facevano un lavaggio con acqua tiepida o acqua e sapone; alcune ricette come quella famosa della principessa Sissi, raccomandava di lavare i capelli con tuorlo d’uovo e cognac.

La frequenza di lavaggio dipendeva dal tipo di capelli, mentre i capelli secchi non venivano lavati quasi mai, quelli normali erano lavati ogni 8 giorni, e per quelli grassi, il consiglio era di spargere un po’ di polvere realizzata con iris di Firenze e radice di giaggiolo sul cuoio capelluto e le lunghezze che avrebbero assorbito il grasso in eccesso per essere il giorno dopo spazzolati via.

Ma se i nostri capelli oggi si danneggiano con piastre, phon e arricciacapelli; all’epoca si rovinavano con tutte le torsioni, messa in piega strettissima, arricciamenti, ecc che prevedevano i diversi stili; per correre ai ripari, esisteva tutta una serie di pomate; quelle realizzate con grasso di orso furono molto popolare, ma la difficoltà di reperire la materia prima fecce la fortuna delle lozioni vegetali a base di olio di cocco, di palme e di ulivo.

I riccioli e le onde furono molto usati; a partire dagli anni sessanta, furono realizzati con dei bigodini metallici messi la sera e tolti al mattino, oppure con dei ferri che venivano riscaldati direttamente sul fuoco e poi messi sui capelli provocando non pochi danni; questo finche nel 1872 l’acconciatore Marcel Grateau brevettò il suo ferro caldo arricciacapelli, fatto di pinze pesanti con superfici interne arrotondate, in cui uno dei bracci aveva una sezione convessa circolare e l’altra una concava, prendendo perfettamente la ciocca e riscaldandola per assumere la forma desiderata, un po’ come i nostri arricciacapelli, questa invenzione è stata un grande successo e permesse di sviluppare nuove acconciature.

I posticci, sono stati usati con grande fortuna soprattutto durante gli anni 70 e 80 dell’800; essi potevano provenire come abbiamo visto da ragazze che trovandosi in difficoltà economiche li tagliavano e li vendevano, o potevano essere raccolti dalla spazzola e messi in appositi contenitori chiamati “hair tidy” per poi essere sistemati; quest’ultimo metodo, oltre che molto economico, permetteva di avere dei posticci del colore esatto della capigliatura.

Acconciature:
La donna per le sue acconciature doveva avere una spazzola, diversi pettini, un ferro arricciacapelli, dei posticci, pomate e diverse decorazioni.

1830: i capelli di solito divisi centralmente erano raccolti nella parte superiore della testa, una parte era intrecciata mentre all’altra gli si applicava una curiosa torsione; oppure potevano essere raccolti in una crocchia.

Illustrazione di Alice Negri

1840: l’acconciatura era molto piatta e vicina alla testa, i capelli ora si raccolgono nella parte posteriore, mentre nella parte anteriore, i capelli erano tenuti spesso lisci, in trecce o in boccoli per coprire completamente le orecchie.

Illustrazione di Alice Negri

1850: le crinoline cominciano ad assumere grandi proporzioni, per compensarle, le donne imbottiscono l’acconciatura ai lati formando delle ali o dei rotoli.

Illustrazione di Alice Negri

1860: le gonne divennero più piatte nella parte anteriore e più gonfie dietro e le acconciature le imitarono appiattendosi ai lati, mettendo in mostra le orecchie, che da tempo erano nascoste, e diventavano sempre più piene nella parte posteriore. I capelli erano intrecciati in rotoli di grandi dimensioni, pettinati all’indietro in uno chignon o raccolti in una retina per capelli.

Illustrazione di Alice Negri

1870: con l’arrivo della tournure, che snelliva la figura, anche le acconciature vennero modificate, diventando sempre più alte e complesse; i capelli erano tirati all’indietro e poi lasciati cadere in una fontana di riccioli, rotoli o trecce, rendendo così necessario un maggiore uso di posticci che spesso erano pre-ormati e poi aggiunti a pettini decorativi che potevano essere facilmente applicati. Completavano queste acconciature piccoli cappelli calati sulla fronte.

Illustrazione di Alice Negri

1880: compare l’acconciatura alla “Pompadour”, che consisteva in un aumento di capelli verso l’alto nella parte centrale, lasciando cadere dei lunghi riccioli ai lati, mentre nella parte anteriore compariva la frangetta, che a volte, per evitare di dover tagliare i capelli, era solo un posticcio.

Illustrazione di Alice Negri

1890 – 1900: i capelli venivano volumizzati grazie ai posticci, raccolti sulla sommità della testa in uno chignon, ma più cotonati e lenti; questo sarà lo stile caratteristico delle Gibson girls.

Illustrazione di Alice Negri

Ogni acconciatura era accompagnata, a seconda dei gusti e dell’età, da tutta una serie di accessori come pettini decorativi, piume, gioielli, fiori freschi, nastri, perle, ecc.

Come abbiamo visto, per le donne vittoriane, i capelli erano una questione di massima serietà, in essi mettevano tutto il loro impegno e la loro creatività; erano come una tela bianca dove poter esprimersi, in una società dove la loro voce non era affatto ascoltata.

Ana Muraca

Sitografia:

  • http://www.whizzpast.com/victorian-hairstyles-a-short-history-in-photos/
  • http://thehistoryofthehairsworld.com/hair_19th_century.html
  • https://mimimatthews.com/2016/03/13/a-victorian-ladys-guide-to-hairdressing-2/
  • https://mimimatthews.com/2016/02/01/a-victorian-ladys-guide-to-hair-care-2/
  • http://mashable.com/2015/08/25/victorian-long-hair/
  • https://bellatory.com/fashion-industry/Beautiful-Victorian-Hairstyles

Guarda anche:


Copricapi Vittoriani

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Il periodo vittoriano può contare su alcune delle decorazioni per capelli più belle della storia del costume, esse incoronavano il bene più prezioso della donna del periodo: i suoi capelli, e controbilanciavano le abbondanti decorazioni del resto dell’abito, per offrire la visione di una donna fragile, quasi una bambina immersa in metri e metri di stoffa.

Dato che durante l’età vittoriana si vide lo sviluppo della rivoluzione industriale, inizialmente, intorno agli anni 30 e 40 dell’800, tutti gli accessori erano rigorosamente fatti a mano il che li rendeva sicuramente più preziosi e costosi e decisamente non alla portata di tutti, ma man mano avanza il regno della regina Vittoria, sempre più prodotti furono realizzati in serie.

Decorazioni:

Tra i materiali più utilizzati erano i fiori naturali o di cera, con i quali si realizzavano decorazioni come ghirlande a forma di corona, usate spesso insieme gli abiti da matrimonio; ne sono esempio l’abito da sposa della regina Vittoria decorato con fiori d’arancio fresche e quello della sua nuora, Alexandra di Danimarca che preferì i fiori fatti di cera.

Corona di fiori d’arancio appartenente ad un abito realizzato da Worth nel 1905 e oggi custodito al Metropolitan Museum

Molto di moda per le giovani donne, erano i cerchietti ricoperti di fiori, perle, piume o nastri, la costruzione di queste decorazioni era abbastanza semplice: due ghirlande collegate da un filo che modellato sulla testa, il quale potrebbe essere decorato per abbinarsi al resto della decorazione, oppure, lasciato nudo per tessere intorno il resto dell’acconciatura.

Mid-19th century The Museum of Fine Arts, Boston

Mid-19th century The Museum of Fine Arts, Boston

Mid-19th century The Museum of Fine Arts, Boston

Mid-19th century The Museum of Fine Arts, Boston

Altri tipi di decorazione erano i “tussie mussie”, piccoli bouquet di erbe e fiori che spuntavano da una crocchia o da una treccia e che tratteremo in un prossimo articolo.

1870, foto: https://thepragmaticcostumer

Ogni momento della vita di una donna vittoriana, era scandito da un abito che doveva seguire le rigide linee dell’etichetta e questo riguardava anche le decorazioni per i capelli; per esempio le giovani donne ai balli delle debuttanti, dove erano presentate alla regina, dovevano indossare tre grandi piume in testa.

 

Pettini e accessori:

L’800 fu un secolo permeato di nostalgia, il romanticismo portò un grande interesse per il passato e la moda ne fu pienamente influenzata; da qui il ritorno delle ferronière e dell’aigrette, mentre altri accessori come i pettini, i pin e le tiare, che erano già presenti vennero elaborati prendendo spunto dei diversi stili di epoche passate, in particolare dalle culture antiche come quell’egizia e quella greca; ma anche dal medioevo e dal rinascimento. Gli artigiani più che riprodurre gli oggetti del passato, ne prendevano spunto, per creare oggetti completamente nuovi.

1840 Regina Vittoria, artista John Partridge

Cappelli e cuffie:

Le donne non potevano uscire da casa senza un copricapo, poteva anche essere minuscolo, ma l’etichetta ne prevedeva l’uso; ma poiché spesso i copricapi completavano l’acconciatura ed erano pieni di decorazioni, toglierlo sarebbe stato un problema, per ciò, la donna non era tenuta, come lo era l’uomo, a togliersi il proprio copricapo quando incontrava qualcuno. In occasioni particolari come l’incontro con la regina, o quando si andava a teatro, le donne non usavano dei veri e propri copricapi, ma le loro acconciature comprendevano a seconda dell’evento, delle piume, dei fiori o dei nastri colorati.

MUSETTE, BY EUGENE DE BLAAS

Per restare a casa, le donne sposate usavano un copricapo simile a un centrino messo sulla parte posteriore della testa, intorno al 1840 era realizzato in pizzo e nastro di lino; quando la donna doveva uscire, lo copriva semplicemente con una cuffia.

Le cuffie potevano essere fatte con qualsiasi cosa, dalla seta, al lino, al cottone e al feltro; all’inizio erano abbastanza spoglie, ma con l’avanzare del secolo divennero sempre più ornate; durante gli anni 30 dell’800 raggiunsero proporzioni enormi con un ampio bordo che incorniciava il viso nascondendo completamente il profilo di chi lo indossava in modo da proteggere la donna dei raggi solari giacché all’epoca più candida e pallida era la pelle, più la donna era considerata bella.

Nel 1840, le cuffie iniziarono a essere sempre più piccole, lasciando piano piano vedere parte del viso e scoprendo i capelli; intorno al 1850 si cominciò a usare il “bavolette”, che era una frangia di nastro messa nella parte posteriore della cuffia a coprire il collo, considerato una zona erogena del corpo.

Euphemia White Van Rensselear by George Peter Alexander Healy, 1842 US, the Met Museum

Gli anni 60 dell’800 videro il ritorno della moda del parasole riducendo la funzionalità delle cuffie e convertendole in oggetti meramente decorativi, spesso assumendo una forma a cucchiaio con una falda stretta vicino alle orecchie per poi crescere in volume verso la fronte.

Nel 1865 venne introdotto il “fanchon” che era una specie di triangolo di paglia o di setta con due lunghi nastri da annodare sotto il mento.

Sempre durante questo decennio ricompaiono i cappelli: alla tirolese, a corona, quello ispirato al berretto scozzesse “glengarry” o il famoso capello bambola che comparve alla fine del decennio e che era decorato con coccarde e piume, indossato sulla parte anteriore della testa sopra le voluminose acconciature del periodo, che intorno agli anni 80 crebbero ancora di più, così le donne apparivano come se avessero una torre in testa.

I cappelli di questo periodo erano creazioni magnifiche decorate con nastri, fiori e fiocchi; tutte queste decorazioni potevano essere tolte e sostituite a seconda dell’abito e dell’occasione creando cosi tanti cappelli diversi quanta la fantasia delle donne.

A partire dagli anni 90, diversi capi del guardaroba maschile furono prontamente adottati dalle donne, grazie alle crescente pratica delle attività sportive, tra i cappelli, troviamo il “Boaters” e il Trilby” che ben si adattavano all’acconciatura del decennio.

Foto: https://www.flickr.com/photos/scoobymoo

Una delle maggiore tendenze dell’ultimo quarto dell’800, fu quella di usare uccelli interi, ali e piume per decorare i cappelli. L’uccello preferito era il merlo per le diverse sfumature che offrivano le sue piume; ma furono usati anche gli aironi, i piccioni, i fagiani e perfino le piume di struzzo e di pavone.

L’uccello veniva impagliato e montato su filli e molle che permettevano di accomodare il corpo a seconda della forma del cappello.

Il settore delle piume fu molto redditizio anche se tremendamente crudele.

1885, Victoria and Albert Museum

Per quanto riguarda i colori in generale, bisogna aver presente che dal 1856, vennero introdotte le tinture sintetiche che portarono un’ondata di colori più intensi e vibranti; e che dovuto alla morte del principe Alberto nel 1861, la regina assunse un rigoroso lutto che le consentiva di usare soltanto abiti e accessori di colore nero, dando il via a questa tendenza.

 

Ana Muraca

Sitografia:

http://www.katetattersall.com/early-victorian-womens-hats-part-1-concerning-bonnets/

https://thepragmaticcostumer.wordpress.com/2012/03/27/ribbons-and-curls-flowers-and-pearls-mid-19th-century-french-headdresses/

 

http://www.katetattersall.com/early-victorian-womens-hats-part-2-straw-felt-and-silk/

 

http://vintagefashionguild.org/fashion-history/the-history-of-womens-hats/

 

http://www.victoriana.com/victorian-feather-hats/

 

http://www.walternelson.com/dr/lady-hat

 

 

I curiosi gioielli Vittoriani

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I gioielli del periodo vittoriano sono da considerarsi tra i pezzi più interessanti nella storia della gioielleria. Gli eventi storici e culturali influenzarono notevolmente lo stile di quel periodo, nonché le innovazioni tecnologiche derivanti dalla Rivoluzione Industriale.

Fu un periodo di grande fasto e magnificenza nel campo delle arti e delle scoperte scientifiche; nella gioielleria, grazie agli scavi archeologici in Mesopotamia, che riportarono alla luce alcuni pannelli dei portali di Nimrude e Ninive, ci fu l’espansione di un gusto che aveva come oggetto d’interesse l’archeologia e di conseguenza la composizione di monili antichi d’ispirazione egizia e etrusca in filigrana.

Fortunato Pio Castellani, 1860-1862, Roma Italia

Le acconciature dell’epoca prevedevano capelli arricciati che scendevano a coprire le orecchie, cosicché gli orecchini erano poco usati, questo fino al 1855 circa; negli anni successivi infatti cambiarono le fogge degli abiti e le acconciature, i capelli venivano raccolti in crocchie con delle trecce, le scollature divennero ampie promuovendo la diffusione di collane parure e orecchini a pendente formati da minuscole rose in corallo e perle, o con fermaglio a fiocco e pendente in onice. Questi orecchini seguivano i movimenti di chi li indossava grazie a una particolare tecnica chiamata “En Tremblant” dove le pietre centrali erano montate con un meccanismo complesso, seppur invisibile su delle piccole molle a spirale che gli permettevano di oscillare catturando la luce del sole.

Parure scolpita in corallo, metà del 19esimo secolo. Composto da: una collana, un bracciale, una spilla, un paio di orecchini e un ornamento dei capelli. Foto: sothebys.com

Diadema con motivi floreali “en tremblant” con al centro uno smeraldo esagonale e circondato da diamanti di taglio rosa, montato in oro. Foto: sothebys.com

I diademi con ghirlande di foglie d’oro o a punto capanna venivano di solito indossati la sera, nelle occasioni mondane, per dare sfoggio della ricchezza del marito. La religione era una parte importante nella vita di ogni individuo tanto che i pendenti a forma di croce divennero di uso comune. Anche i motivi naturalistici come spighe, fiori e farfalle venivano montati sotto forma di spille da appuntare sui corsetti. Il metallo più usato era l’oro, che andava dai 18 ai 22k e poteva essere laminato o placcato; le gemme più popolari erano l’ametista, il crisopazio e gli zaffiri. Molto utilizzate erano anche le agate multicolori che venivano fissate con il Carirngorm, un quarzo fumé simile al citrino. I braccialetti più diffusi erano quelli con un grosso pannello ovale e una fascia a forma di polsiera, il pannello centrale poteva contenere una miniatura o un motivo decorativo sotto al cristallo.

Spilla a forma d’ape 1890 Foto: https://www.liveauctioneers.com

Bracialetto del tardo periodo vittoriano Foto: /www.langantiques.com

In epoca Vittoriana ai gioielli e alle gemme venivano associati simboli e proprietà magiche. Il Principe Albert donò alla Regina Vittoria un anello di fidanzamento raffigurante un serpente, a simboleggiare saggezza e eternità, mentre le perle denotavano le lacrime e il corallo fungeva da protettore contro le malattie.

Anello di fidanzamento della regina Vittoria

Molto popolari erano i cosiddetti medaglioni rotanti: il cardine che univa il ciondolo alla catena era separato dal medaglione, che quindi poteva ruotare liberamente. Erano considerati oggetti magici, quindi molto costosi. I medaglioni potevano contenere ciocche di capelli e avere un vetro nella parte frontale, cosicché si poteva ammirare la reliquia senza dover aprire il gioiello. Un altro medaglione “segreto” era quello che aveva il compito di nascondere l’odore di una persona cara, dentro all’oggetto era infatti inserito un piccolo cuscinetto intriso di profumo.

Foto: https://www.flickr.com/photos/annebee

Tra i pezzi più interessanti e forse quelli più diffusi erano i gioielli fatti con capelli umani, furono infatti creati dei veri e propri capolavori e divennero una sorta di mania.  Le donne impararono a lavorare i capelli per realizzare tutta una serie di gioielli che chiamarono “sentimentali”, per ricordare i propri cari estinti.

Gioielli realizzati con dei capelli umani. Foto: http://www.catlynch.com

Nel XIX secolo i ricchi amanti britannici ed europei si scambiavano in modo clandestino delle miniature a forma di occhio, molto curiose, chiamate Lover’s Eyes. Gli esperti ritengono che ci siano almeno 1000 occhi in circolazione. Essi raffiguravano solo l’occhio e il sopracciglio ed erano dipinti ad acquerello su avorio o a gouache su carta.

Lover’s eye, Foto: georgianjewelry.com

I Vittoriani erano affascinati dal macabro e dal memento mori, un richiamo costante che prima o poi la morte accoglierà tutti; molti furono infatti i gioielli creati per ricordare alle persone la loro fragilità e mortalità. Teschi, scheletri, bare e vermi erano lavorati con oro e smalto a formare ciondoli, anelli e bracciali. Una parte importante del gioiello memento mori era l’uso di testi per esprimere pensieri di morte, ricordi e motti commemorativi. Le parole in latino, francese o inglese erano incise sulla parte interna del gioiello, visualizzabile quindi solo dal destinatario. I pezzi più significativi erano i pendenti in oro smaltato a forma di bara con il coperchio in cristallo di rocca removibile grazie a una cerniera posta nella parte superiore. Il monile era quindi composto da due parti e si apriva lasciando intravedere uno scheletro in smalto bianco. Il retro era decorato con un teschio e un secchiello (forse per contenere acqua benedetta, simbolo di vita eterna). Nel 1860 erano molto diffuse le pietre cabochon con al centro una piccola perla intarsiata o un fiore applicato.

Gli artigiani mostravano la loro abilità con la tecnica del Piqué, una lavorazione che prevedeva l’intarsio a mano della tartaruga o della madreperla, creando spille, orecchini e ciondoli bellissimi; un motivo molto popolare erano anche le stelle, specie sui bracciali, montate su ametiste e turchesi.

Orecchini intarsiati, Foto: http://www.jewelsdujour.com

Nel 1861 l’Inghilterra cadde in un profondo lutto in quanto morirono nel giro di pochi mesi la madre della Regina e il suo Principe consorte Albert. Si diffuse così la moda della “Gioielleria Da Lutto” che prevedeva obbligatoriamente abiti e monili rigorosamente neri. Uno dei materiali più usati fu il Giaietto (o Jet Whitby), un minerale nero simile al carbone estratto a Withby, cittadina dello Yorkshire. Il giaietto diventò di gran moda quando la Regina Vittoria indossò una collana di questo materiale a un pranzo importante: era in lutto per la morte della cugina. Con il giaietto venivano realizzate collane con perle a sfera, cammei, anelli e medaglioni a forma di cuore che contenevano fotografie di persone care scomparse. All’epoca inoltre si pensava che il suo aspetto funesto causasse misantropia e pessimismo; è forse per questo che fu utilizzato come gioiello da lutto. Ben presto comunque smise di avere questa funzione, diventando di gran moda per tutti i momenti della giornata.

Foto: British Museum

Molto diffusi all’epoca erano anche i Chocker Necklace, ovvero un girocollo in velluto a cui venivano appesi cammei con volti di donna o perle a goccia. Questo tipo di gioiello esaltava la scollatura dell’abito e la sinuosità del collo.

Foto: https://www.bloglovin.com/blogs/vintage-blog

Nel 1870 fu la scoperta dell’opale nel territorio britannico in Australia; all’epoca si pensava portasse sfortuna, questo anche grazie a un romanzo di Sir Walter Scott, Anne Of Geierstein. Il libro descriveva un ornamento per capelli in opale che portò sfortuna alla sua proprietaria. Solo in seguito, grazie alla Regina Vittoria che lo rese popolare questo tipo di pietra si diffuse rapidamente.

Nel 1890 le teorie darwiniane furono ampliamente pubblicizzate e i monili riflettevano ancora di più il gusto naturalistico. Spille a forma di farfalle, scarabei e mosche d’oro furono tra gli oggetti più richiesti oltre alle perle e ai diamanti che venivano usati come ornamenti per le acconciature. Inoltre, per mantenere le mani libere orologi e occhialini erano appesi a lunghe catene, così come i braccialetti Whistle (fischietto) erano molto popolari tra le donne che passeggiavano da sole. L’argento e l’oro continuarono a essere i materiali più usati, così come l’oro laminato.

Foto: lambandserpent.tumblr.com

Alla fine del secolo ci furono progressi nella produzione di gioielli in platino, che divenne il materiale preferito per montare i diamanti. La Regina Vittoria morì il 22 gennaio 1901; la sua eredità continuò comunque a vivere attraverso i numerosi esempi di gioielleria creata nei suoi 64 anni di regno.

 

Francesca Galassini

 

 

Sitografia:

 

http://www.magliagioielli.com/cenni-storici/storia-del-gioiello.html?id=52

 

http://darkgothiclolita.forumcommunity.net/?t=47741666

 

http://storiadellamodafemminile.wordpress.com/…/rose-bertin-e-la-moda-moderna/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bizzarrie Vittoriane: i gioielli di capelli

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Nella storia, i capelli sono stati a lungo utilizzati nella gioielleria, essi rappresentano un ricordo intimo di una persona cara, a volte l’unico se la persona è ormai deceduta; spesso una ciocca di capelli veniva gelosamente custodita dentro un medaglione tenuto sempre appeso al collo, ma la creatività delle donne vittoriane portò tale consuetudine a diventare un arte.

I primi esemplari furono delle semplici ciocche di capelli o dei disegni in miniatura bordati con i capelli che venivano sigillati, all’interno di un gioiello (spilla, anello, medaglione, ecc.), sotto un piccolo vetro protettivo, diventando un oggetto personale; i motivi preferiti erano i paesaggi, i salici piangenti, delle navi in partenza o le famose piume del principe di Galles. Un’evoluzione di questo lavoro, fu quella realizzata durante il periodo vittoriano, dove i capelli erano tessuti o lavorati come un merletto.

Foto: /www.rubylane.com

Ma perche creare gioielli con  i capelli?

Oltre all’importanza che i capelli avevano durante l’era vittoriana, essi furono scelti come materiale perché avendo certe caratteristiche chimiche, essi avrebbero resistito a lungo, ma forse, la cosa più importante, era la valenza sentimentale, i capelli erano un ricordo tangibile dei loro cari.

Inizialmente, furono le donne più abbienti a commissionare questi gioielli fatti di capelli con chiusure in oro e talvolta anche con pietre preziose; ma man mano che si diffuse la moda, molti ne approfittarono per far fortuna, sostituendo i capelli consegnati dai clienti, per capelli più grossolani e più facili da lavorare comprati ai contadini o importati dall’est, per questo e per la crescente popolarità di questi gioielli, c’era sempre più richiesta di imparare a farli a casa; e fu così che verso la metà del secolo, molti libri e riviste, iniziarono a pubblicare delle guide consentendo anche alle donne delle classe inferiori di imparare a realizzarli. La moda ebbe tale forza da oltrepassare l’oceano arrivando in America; lavorare i capelli divenne un passatempo femminile come cucire o ricamare, le donne lavoravano da sole o si ritrovavano in gruppi.

Set di orecchini e spilla fatti di capelli, 1855.
Foto: bricolage-julier.blogspot.com

La materia prima di questi gioielli non fu esclusivamente i capelli umani, talvolta si usavano peli di animali come crine di cavallo avviando anche la moda di indossare gioielli in ricordo degli animali domestici scomparsi e quindi realizzati con i loro peli.

Spilla Vittoriana 1870 ca
Foto:www.rubylane.com

Per lavorare i capelli, la prima cosa da fare era pulirli immergendoli in mezza tazza d’acqua calda dove prevalentemente era stato sciolto del borace o della soda; i capelli dovevano rimanere cosi per qualche minuto prima di essere trasferiti su una sorta di tavolozza dove erano raschiati con un coltello per togliere tutte le impurità residue.

Braccialetto vittoriano, Foto: sanjacinto-museum.org

Il tipo di lavorazione più popolare era quella chiamata “table worked hair” dove i capelli erano sistemati in una sorta di piccolo tavolo rotondo con un foro in mezzo, utilizzato per realizzare le trame più complesse; in precedenza i capelli dovevano essere preparati, contati, pesati e sistemati in delle bobine; la tecnica era molto simile a quella con cui si fa il merletto a tombolo. Usando questa tecnica, i capelli venivano trasformati in elastiche bobine tridimensionali usate per creare catene, bracciali, orecchini, croci, anelli, ecc. Successivamente un orafo avrebbe messo le chiusure per poter usare queste creazioni come gioielli.

Table worked hair, Foto: http://www.victoriana.com

E noto quanto piacessero alla regina Victoria questi tipi di gioielli e ne possedeva diversi, in particolare un medaglione contenente i capelli del marito Albert, che secondo il suo diario, indossava giorno e notte; e fu l’unico ornamento che decise di indossare per farsi ritrattare da Winterhalter nel 1843 commissionato per il compleanno di Albert.
Un altro gioiello molto caro alla regina fu un braccialetto realizzato con dei cuori smaltati ognuno contenente una ciocca di capelli di ogni suo figlio.

Ritratto della regina Vittoria realizzato da Winterhalter nel 1843

Braccialetto della Regina Vittoria
Foto:blog.londonconnection.com

Con la fine del secolo e la diffusione della fotografia, questa tipologia di gioielli iniziò a scomparire; ora era molto meglio poter ricordare il caro estinto attraverso una fotografia che ne preservava nella memoria la sua fisionomia,  piuttosto che con una ciocca di capelli.

 

Ana Muraca

 

Leggi anche: “I curiosi gioielli Vittoriani

 

Bibliografia:

Jewelry 1789-1910, The International Era, Shirley Bury, Antique Collector’s Club, England, 1991

Victoria & Albert Museum, “Love and art: Queen Victoria’s personal jewellery”, Charlotte Gere.

https://en.wikipedia.org/wiki/Hair_jewellery

http://www.victoriana.com/Jewelry/victorian-hair-jewelry.html

http://www.langantiques.com/university/Hair_Jewelry

http://www.leilashairmuseum.net/gallery.html

Icone di moda: La Regina Vittoria

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Il regno della Regina Vittoria durato 64 anni è stato uno più longevi della storia; questa piccola donna dal carattere indomito fu l’incarnazione di saldi valori morali e familiari.

Nata nel 1819, Vittoria era la figlia del principe Edoardo, quarto figlio del re Giorgio III e della principessa tedesca Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfed. Dovuto alla prematura morte del padre nel 1820, Vittoria dovette crescere sotto il severo controllo della madre, e a soli 18 anni, dopo la morte dei suoi tre zii paterni senza discendenza, ereditò il trono.

Nel 1840, sposò suo cugino Albert con uno splendido abito di produzione britannica, realizzato in pizzo di Honiton e raso bianco di Spitafields che suscitò un forte interesse per l’industria tessile inglese, in particolare per la lavorazione dei merletti. Sopra al velo, al posto del diadema indossava una corona di fiori d’arancio, simbolo di fertilità e come gioielli una collana e orecchini in diamanti, oltre a una spilla con zaffiro donata da Albert. Nel 1842 Vittoria commissionò a Franz Xaver Winther Halter un ritratto in cui indossa l’abito da sposa come regalo al principe Albert, il ritratto fu copiato anche sotto forma di miniature da John Haslem.

 

Franz Xaver Winther Halter

 

Il matrimonio di Vittoria e Albert, a differenza della maggior parte dei matrimoni reali dell’epoca, era basato sull’amore; ebbero nove figli e la loro famiglia sicuramente servi da modello per tutto il periodo vittoriano.

Illustrazione: Alice Negri

Vittoria non era una donna particolarmente bella, la mancanza di altezza, le guance paffute e le rotondità che arrivarono con l’età, non la aiutavano certamente, ma lei con il suo gusto riusciva ad apparire elegante con abiti dalle forme semplici e di buona fattura; ricordiamo che l’ideale dell’epoca era una donna candida dagli alti valori morali e dedita alla famiglia e la regina incarnava tutto questo a pieno.

Sia la Regina che il principe Albert erano talmente incantati dalla Scozia che fecero ampliare la loro tenuta di caccia trasformandola nel castello di Balmoral, completamente decorato con tessuti Tartan, alcuni dei quali disegnati dallo stesso Albert. Anche se molte donne già usavano questo tipo di tessuto fu la Regina Vittoria a sdoganarlo e renderlo di moda durante il suo regno, tanto da annullare le frontiere e farlo arrivare persino in America.

1835, abito appartenuto alla regina Vittoria. Foto: http://plaidpetticoats.blogspot.it

 

Vittoria possedeva un guardaroba adatto a ogni occasione e viaggio che lei stessa intraprendeva. Per una visita in Irlanda scelse un abito in popeline verde e uno rosa decorato da quadrifogli d’oro. Sua maestà aveva una propensione per gli scialli e l’abitudine di decorare gli abiti con pizzi, nastri, fiocchi e balze; Albert era un appassionato di guarnizioni floreali, spesso infatti Vittoria indossava abiti con fiori e erbe applicati. Durante una visita in Francia è apparsa con un abito bianco a balze, uno scialle verde e uno strascico di seta ricamato con stelle e piume di marabù.

1855 abito indossato dalla regina Vittoria in visita a Parigi per incontrare  Napoleon III e sua moglie l’imperatrice Eugenia. Foto: http://b-a-n-s-h-e-e.livejournal.com

Vittoria è ricordata per aver imposto uno stile a corte: per cavalcare indossava una giacca scarlatta e oro e per incontrare le truppe, un curioso cappello piumato.

Foto: http://dressedintime.blogspot.it/

 

Illustrazione: Alice Negri

La regina, adorava i gioielli, soprattutto spille, anelli e bracciali; non usciva mai senza la miniatura del suo amato Albert che ha abbellito il suo polso dal giorno del loro fidanzamento fino alla morte del principe.

Nel 1861 Albert muore, lasciando la Regina nel dolore e nel lutto per molto tempo. In quel periodo adottò una divisa da vedova che influenzò tutte le dame e le donne della sua corte: si trattava di un abito in crepe nero con un corpetto abbottonato davanti con bottoni in giaietto.

Abito appartenuto alla regina Vittoria 1894 ca.
Foto: http://www.jewelsdujour.com

Attualmente molti abiti di Vittoria si trovano al London Museum, tra cui l’abito da sposa e quello in argento e rosa che la Regina indossò all’inaugurazione del Cristal Palace nel 1851.

Per il matrimonio della figlia Vittoria, principessa reale, la regina indossò un abito mauve; presto questo colore fu di moda non solo in Inghilterra ma anche nel resto del mondo, lanciando una vera e propria “mauvemania”.

La Regina conservava gli abiti della sua famiglia, da quello della madre a quelli dei figli, più che come pezzi di moda erano soprattutto dei ricordi, fatto che evidenzia il ruolo che per lei aveva la sua famiglia.

 

La regina Vittoria mori il 22 gennaio del 1901; lei, fu il primo monarca britannico moderno, con un ruolo sempre più simbolico che effettivo e a differenza degli scandali sessuali e finanziari dei suoi antenati che avevano discreditato la monarchia, lei è riuscita a risanare quel distacco creando una sorta di “monarchia di famiglia”, dove gli alti valori morali e familiari erano alla base.

 

Francesca Galassini

 

Bibliografia:

http://www.vintageconnection.net/QueenVictoria.htm

http://plaidpetticoats.blogspot.it/2013/03/balmorality-queen-victorias-tartan-craze.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Vittoria_di_Sassonia-Coburgo-Gotha_%281840-1901%29

Icone di moda: Alessandra di Danimarca

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Una delle prime icone di moda con una vita piena di eleganza e dignità fu Alexandra Carolina Marie Charlotte Julia di Slevig- Holsfen conosciuta come Alexandra di Danimarca, Regina del Regno Unito e Imperatrice d’India.

Alexandra, chiamata Alix dai parenti più stretti nacque a Copenaghen il 1 Dicembre del 1844 nel Palazzo Giallo; trascorse un’infanzia pressoché normale, cosa che spiega la sua insofferenza verso le rigide regole di corte e la Regina Vittoria. Il principe Cristiano, padre di Alexandra non era molto ricco, usufruiva infatti di 800 sterline annue e tutta la famiglia viveva modestamente in un palazzo in usufrutto.

Royal Collection Trust/© Her Majesty Queen Elizabeth II 2017

Quando il re Cristiano VIII di Danimarca morì, gli succedette il suo unico figlio Federico VII che, nonostante due matrimoni alle spalle, non aveva figli; cosi, fu scelto come erede al trono il padre di Alessandra, che era un cugino del re, cambiando completamente le sorti della sua famiglia.

Alexandra adottava uno stile di vita semplice, si cuciva i vestiti da sola e se li scambiava con le sorelle, oltre a servire a tavola. A 16 anni fu designata come l’unica moglie adatta all’erede al trono del Regno Unito, il figlio della Regina Vittoria Edoardo Alberto. Il matrimonio fu combinato dalla futura suocera e cognata e si svolse nella cappella di St George a Windsor nel 1863, quando Alessandra aveva appena 18 anni. La corte era ancora in lutto per la morte del Principe consorte Albert, gli unici colori concessi furono il lilla e il grigio. Il meraviglioso abito da sposa fu creato da Charles Frederick Worth e fu il più bell’abito che si possa immaginare.

Era confezionato in seta inglese avorio con una sovrapposizione di pizzo Honiton e con alcuni simboli ricamati: una rosa inglese, un trifoglio irlandese e un cardo scozzese, l’abito fu ulteriormente impreziosito da fiori d’arancio e ghirlande di mirto e indossava un velo, sempre di merletto di Honiton, con una corona di fiori d’arancio e mirti. Il suo bouquet da sposa era fatto di rose rosse bianche, gigli della valle, rare orchidee, fiori d’arancio e, naturalmente, i rametti di mirto tradizionali.

Alexandra era una bella donna, alta, dal fisico longilineo e ben proporzionato; e dopo il matrimonio, dovette assolvere i suoi doveri come principessa del Gales, vestendo in modo elegante e appropriato per tutti gli eventi pubblici a cui doveva assistere, iniziando ad imporsi lentamente come un’icona di stile.

Il Re Edoardo VII la adorava e spendeva per lei grosse cifre di denaro riempiendola di abiti e gioielli. La coppia ebbe sei figli, fra cui la famosa regina Maud di Norvegia, e fu molto amata dal popolo; Alexandra era molto abile nel evidenziare i suoi pregi e a nascondere i suoi difetti. E noto come occultassi una cicatrice che aveva sul collo, indossando di giorno alti collari e la sera strati di perle o collane di diamanti che coprivano il collo, queste ultime erano conosciute come “collier de chein”; questo stile di gioielli diventò molto popolare tra le signore della società.

Alessandra con sua figlia Maud, Foto: theroyalforums.com

 

Alessandra di Danimarca

Alessandra spesso si riforniva nelle case londinesi come Redfern’s, ma acquistò anche a Parigi da Worth e da Doucet. Dopo il matrimonio con Edoardo lancia la giacca “Alexandra”: si trattava di una giacca stretta in vita da una cintura con un alto colletto che veniva indossata come giacca da passeggio. Alexandra amava tutti gli sport, tra i quali il pattinaggio sul ghiaccio ed era anche un’esperta cavallerizza e cacciatrice con grande dispiacere della Regina Vittoria che cercò invano di farla smettere. Per i completi da equitazione Alexandra sceglieva il marchio Creed che confezionava gonne e giacche strutturate che assumevano le forme del corpo grazie a una struttura interna in osso.

Abito da sera realizzato dalla Maison Laferrière per la furtura regina Alessandra intorno al 1900. Foto: V&A museum

Abito da sera creato da Worth per Alessandra intorno al 1900.

Nel 1901 la regina Vittoria morì e da lì a poco suo figlio sarebbe stato incoronato come re e Alessandra come regina, dando origine all’età edoardiana (1901-1910). Per l’incoronazione, Alessandra voleva un abito speciale così chiamò la sua amica Lady Curzon ad aiutarla; l’ abito in tessuto d’oro (la stoffa proveniva dall’India) era rivestito da un merletto francese ricamato e punteggiato di lustrini e un mantello in velluto viola con emblemi reali. La corona era di stupefacente bellezza: era formata da quattro grandi croci; nella croce centrale era incastonato il diamante Kohinoor di 186 carati, proveniente dalla compagnia delle Indie Orientali il quale si disse fosse maledetto per qualunque uomo lo indossasse. Dopo la morte della Regina Vittoria fu infatti montato sulla corona di Alexandra piuttosto che su quella del re, per evitare qualsiasi maledizione. La corona inoltre aveva 3688 diamanti ed era foderata di velluto viola ed ermellino. Alexandra indossava inoltre un braccialetto e un paio di orecchini in diamanti appartenuti alla Regina Vittoria. Sul davanti del corpetto erano cuciti molti gioielli tra cui ciondoli, orecchini e spille e diverse collane di perle… La Regina scintillava!

Il nuovo re, che già da principe aveva evidenziato un’ossessione per l’etichetta cambiandosi fino a 12 volte durante il giorno, ora divenne ancora più rigido e seguiva molto da vicino sua moglie, comprandole innumerevoli abiti e gioielli e facendola cambiarsi di abito quando riteneva inopportuna una sua scelta. Verso la fine dell’800, Alessandra introdusse un’altra moda che ebbe molto successo: si trattava di una lunga pelliccia a doppio petto chiusa con alamari e maniche molto ampie. Dopo il terzo parto nel 1867 alcune complicazioni misero a rischio la sua vita, lasciandola per tutta l’esistenza con un’andatura zoppicante che fu stranamente emulata da molte donne.

Dopo la morte del re avvenuta nel 1910 il ruolo di Alexandra fu relegato a quello di Regina madre, per permettere al figlio George V di iniziare il suo regno. Purtroppo i problemi fisici iniziarono a incombere, l’udito e la vista diminuirono e la bellezza di un tempo svanì. Nel 1912 in occasione del 50° anniversario del suo arrivo in Inghilterra organizzò l’Alexandra Rose Day, giorno di festa dedicato alla vendita di rose artificiali fatte da disabili, il cui ricavato fu devoluto in opere di carità. Il 20 Novembre 1925 morì a causa di un attacco di cuore a Sandringham e fu sepolta accanto al marito a Windsor.

Come principessa del Galles e ancor di più come regina, Alexandra è diventata un’icona di moda che influenzò l’industria britannica di abbigliamento con il suo stile elegante e raffinato che è stato copiato dalle donne dell’alta società.

 

 

Francesca Galassini

Illustrazione in copertina: Alice Negri

 

 

Bibliografia:

Storia della Moda di Mila Contini

100 anni di Moda, Un secolo di eleganza femminile- Cally Blackman


Bizzarrie Vittoriane: I “Tear catcher”

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Anche conosciuti come Lachrymatory o bottiglie raccogli lacrime, sono dei piccoli contenitori di vetro, argento, alabastro o altri materiali preziosi che in origine, contenevano unguenti o profumi; i primi esemplari si trovano già a partire dal III secolo a.C., spesso nelle tombe romane ed ellenistiche e grazie a un versetto del libro dei Salmi, per secoli si è creduto che la loro funzione fosse quella di raccogliere le lacrime, da qui il nome; ma analisi accurati hanno rivelato l’equivoco.

Bottiglia raccogli lacrime dell’antica roma, Foto:ie-tiquities.com

Questi lacrimatoi furono riprese dalla società vittoriana dove l’archeologia mise nuova luce sulle culture antiche e dove c’era una particolare sensibilità a tutto ciò che riguardassi il lutto. Nell’800 però nonostante la poca informazione, sembra che questi contenitori fossero davvero usati per raccogliere le lacrime.

Tear catcher vittoriano, Foto: LiveAuctioneers

Lacrimatoio vittoriano in cobalto, Foto: www.rubylane.com

Foto da: www.etsy.com/listing/249158163

Durante i funerali, i familiari e gli amici piangevano il caro estinto e raccoglievano le proprie lacrime in questi lacrimatoi, che successivamente venivano chiusi con uno speciale tappo che lasciava evaporare le lacrime e quando il contenitore tornava a essere vuoto, anche il periodo di lutto era finito, indicando alla persona che era arrivato il tempo di andare avanti con la propria vita.

Foto da: www.rubylane.com

Questi lacrimatoi, realizzati spesso in vetro decorato con argento o peltro, divergevano rispetto a quelli ritrovati nelle tombe antiche dalla bocca che era a forma d’imbuto e dal bordo che era appiattito di lato per stare comodamente sotto l’occhio.

 

Ana Muraca

In copertina:

Foto di : robertfinan.co.uk

 

Sitografia:

https://victorianachronists.wordpress.com/2013/02/07/victorian-mourning-rituals-tear-catchers/

 

http://www.lachrymatory.com/victorian.htm

 

https://en.wikipedia.org/wiki/Tear_catcher

 

http://hautemacabre.com/2017/03/catching-feelings-the-myth-of-victorian-era-tear-catchers/

 

http://www.atlasobscura.com/articles/tearcatchers-victorian-myth-bottle

 

http://www.historyhappenshere.org/archives/hairjewelry

 

Il mistero dello specchio

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E curioso notare come molte delle fotografie di epoca vittoriana ritraggono delle donne affianco o riflettendosi in un grande specchio; scavando nella storia, abbiamo scoperto il mistero.

Questo particolare tipo di specchio si chiama “cheval” o “psyche”, si tratta di un grande specchio a terra retto da due barre laterali con le rispettive vite che li consentono di ruotare in modo da poter riflettere il corpo intero senza importare l’altezza di chi si specchia; il tutto viene supportato da quattro piedi (da questo deriva il nome “cheval” che in francese significa cavallo).

A photograph of a young woman, possibly Isabella Hawarden (b. 1846), taken by Clementina, Lady Hawarden, in about 1863.

La Psyché Pierre-Louis Pierson (French, 1822–1913) Date: 1860s The Met

Foto dal sito: magicmoonlightfreeimages.blogspot.com

19thC; Hawarden C, D 562, 5 Princes Gardens, Clementina, c. 1862-63. Museum Number 457:230-1968. V&A

Alfred Stevens, Belgian, 1823–1906: La Psyché (My Studio),

MORISOT, Berthe_El espejo psique 1876_686 (1977.87)

 

La sua origine è francese, creati verso la fine del XVIII secolo in Francia, essi originariamente avevano una decorazione molto ricca che col passare del tempo e il mutare dei gusti divenne sempre più semplice.

Accessorio indispensabile nei boudoir delle signore di alta classe, esso si popolarizzò all’inizio dell’800 in tutta Europa e grazie alla rivoluzione industriale che consenti una maggior velocità di produzione e un abbassamento dei costi, lo specchio entrò in gran parte delle case vittoriane; la moda fu tale che le signore, approfittando della nascente industria fotografica, si fecero ritrarre insieme ad esso, mostrando un frammento della loro intimità.

Con il tempo, questa tipologia di specchio fu sostituita da altri che occupavano meno spazio, come quello da parete.

 

Ana Muraca

 

In copertina:

19thC; Hawarden C, D 646, 5 Princes Gardens, Clementina and mirror, c. 1863-64. Museum Number 341-1947.V&A
Sitografia:
http://www.ehow.com/about_5079607_cheval-mirror.html
http://antiquesworld.co.uk/history-styles-caring-antique-mirrors/
https://www.britannica.com/technology/cheval-glass#ref895266

The Complete Cheval Mirror Guide


La moda delle righe Aristocratiche

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Le righe hanno caratterizzato a lungo i trasgressori, gli immorali, gli infedeli e sono state spesso utilizzate per evidenziare qualcosa contro natura, ma le cose erano destinate a cambiare, e le righe che durante il medioevo erano considerate persino diaboliche e in seguito segno dei servi, a partire dell’Ancien Régime diventano righe aristocratiche.

Questa nuova categoria è quella che usano le persone alla moda e di classe, non più orizzontale come in passato, ma verticali; questa nuova tipologia di righe, anche se ha radici nel rinascimento, appare con forza a partire dalla fine degli anni 70 del settecento, grazie alla rivoluzione americana e alla sua bandiera a stelle e righe che divenne il simbolo della rivoluzione, del cambiamento, della libertà e della anglofobia; così, abiti (da uomo e da donna, interni ed esterni), mobili, tappezzerie cominciano ad adornarsi di righe, spesso sottili e di colori vivi (bianco – rosso, bianco – blu, bianco – verde e verde – giallo) e anche se la moda ebbe inizio in Francia, si diffonde velocemente in tutta Europa, persino in Inghilterra.

Abito degli anni 70 del settecento

Antoine Vestier, Portrait of a Lady with a Book, Next to a River Source, ca 1785

La rivoluzione Francese uso le righe come emblema, tutto doveva essere rigato, per dimostrare la sua contrapposizione agli antichi sistemi, anche se gli antichi sistemi, continuarono a usare le righe; così troviamo che sia lo stile Luigi XVI che lo stile direttorio ne fecero largo uso, con solo un paio di differenze, mentre l’ancien regime usava la bicromia e la sequenza ripetuta, la rivoluzione, ispirandosi alla coccarda e alla bandiera francese, scelse la tricromia e una sequenza unica di colori, portando persino all’abbigliamento ad avere un’alternanza di 3, 4 o più colori.

The Incroyable, from “Fancy Dresses Described” 1887

Abito del 1812, Foto: V&A

Con la Campagna d’Egitto che Napoleone fece tra il 1798 e il 1801, la moda delle righe divenne ancora più forte, ma si concentrò prevalentemente sull’arredamento piuttosto che sull’abbigliamento, che mise le righe un po’ da parte fino agli anni 60 – 70 dell’800 quando una lenta trasformazione portò a una nuova adozione delle righe nell’abbigliamento per il tempo libero, in particolare, per andare in spiaggia.

Costume da bagno del 1898, Foto: http://funnypicsonly.com

Questa volta però, la rigatura ha perso completamente la sua indole rivoluzionaria per adottare un’origine marinara; anche se non è chiaro quando i marinai iniziarono a utilizzare le righe nei loro abiti, non ci sono testimonianze anteriori al XVII secolo, ma si sa che le righe furono di uso comune fra i mariani semplici dal XVIII secolo e che tali righe, avevano una connotazione persino dispregiativa.

La società di fine 800 adotto queste righe, nonostante la sua umile origine perché andare in spiaggia a farsi il bagno era non solo un modo di divertirsi, di usare il proprio tempo libero, ma anche un’attività igienica e ciò che toccava il corpo, tradizionalmente doveva essere bianco, ma un costume da bagno di tale colore non era molto pratico una volta bagnato, quindi l’opzione era quella di adottare i colori pastello, che erano la cosa più vicina al bianco, ma altrettanto poco pratici, o le righe, che erano una sorta di bianco spezzato, e con la presenza delle righe marinare, la scelta fu ovvia; da qui, il passo fu breve all’utilizzo delle righe anche al di fuori della spiaggia, per abiti da passeggio, sportivi, e persino da gran soirée, preferendo sempre l’abbinamento tra il bianco e un altro colore.

Sea Side Dress 1885-1888 The Metropolitan Museum of Art

Evening Dress 1865 The Museum of Fine Arts, Boston

Con la rivoluzione industriale e in particolare con la produzione più meccanizzata dei tessuti intorno al 1770, le righe sono dappertutto e arrivano con ancora più forza nell’abbigliamento, nell’arredamento e nella decorazione; ormai la riga, non è più aristocratica, ma popolare.

Ana Muraca

 

Bibliografia: “La stoffa del diavolo” di Michel Pastoureau.

Icone di Moda: Sissi

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Donna di incredibile fascino ed eleganza, ineguagliabile bellezza e modi raffinati: Elisabetta, detta Sissi Imperatrice d’Austria e D’Ungheria è stata una delle icone di moda piu’ influenti del XIX secolo. Chi osservava i dipinti di Winterhalter che la ritraevano con abiti di Worth dichiaravano di rimanere magnetizzati dalla sua bellezza. Purtroppo la sua vita ha ben poco di fiabesco.

Ritratto di Sissi realizzato da Franz Xaver Winterhalter

Elisabetta Amalia Eugenia nacque il 24 dicembre 1837 a Monaco di Baviera da Massimiliano Giuseppe di Baviera e da Ludovica di Baviera, figlia di Massimiliano di Wittelsbach, divenuto poi Re come Massimiliano I Giuseppe di Baviera. Trascorse la maggior parte della sua infanzia nel palazzo di famiglia a Monaco, mentre durante i mesi estivi si spostava nel castello di Possenhofen, una residenza cui Sissi fu molto legata, per via del suo aspetto naturalistico con la presenza di un laghetto.

Di animo nobile e sensibile fu educata a non preoccuparsi dei formalismi, ma piuttosto delle persone bisognose. Le rigide regole di corte prevedevano all’epoca matrimoni combinati tra famiglie, e così fu anche per la sorella maggiore di Sissi, Elena designata come sposa al cugino Francesco Giuseppe. L’incontro fu combinato nella residenza estiva di Ischl. Ludovica vedendo Elisabetta malinconica decise di portarla con sé nella speranza di un possibile fidanzamento con Carlo Ludovico, fratello minore di Francesco Giuseppe. Elisabetta si presentò all’appuntamento insieme alla madre e alla sorella maggiore. Quando l’Imperatore la vide rimase folgorato, Sissi aveva fatto colpo su di lui.

 

Nel 1854 fu celebrato il loro matrimonio con grande sfarzo, Sissi appena sedicenne indossava un abito in moiré bianco ricamato con balze che fu immediatamente riprodotto sul periodico di moda francese l’Iris. La coppia ebbe tre figli ma Sissi non ebbe una vita facile. Dopo il matrimonio iniziano i problemi, soprattutto a causa di sua suocera, l’arciduchessa Sofia, che la accusava di non aver ricevuto un educazione adeguata. Sissi era impreparata ad affrontare l’alta società viennese, divenendo ben presto impopolare. Il suo rifiuto verso le rigide regole di corte la portano a scomparire spesso, in misteriosi viaggi senza il marito, con la scusa di doversi curare una strana malattia, reale o immaginaria.

Traino dell’abito da sposa di Sissi, unico pezzo rimasto, oggi conservato al Kaiserliche Wagenburg Wien (Imperial Carriage Museum, Vienna)

Sissi si rifugiò nella sua bellezza e magrezza, per lei diventate un’ossessione, rimanere in forma per lei era fondamentale e il pensiero di invecchiare era diventato insopportabile, un giorno esclamò:” Ah, l’orrore di invecchiare, le grinze sulla pelle, temere la luce del mattino e sapere di non essere più desiderabile, la vita senza bellezza sarebbe inutile per me”. Sissi aveva una figura snella, e il suo giro vita era arrivato addirittura a misurare 50 cm! Era molto fiera di questo e faceva di tutto per mantenersi in forma: mangiava pochissimo e faceva molto sport. Nella sua stanza da ginnastica appositamente allestita nel suo palazzo erano presenti sbarra e pesi; un giorno fu vista addirittura penzolare dagli anelli! Purtroppo lentamente il suo disagio viene fuori, manifestandosi con una grave anoressia nervosa. Suo cugino Luigi II di Baviera alimentò alcuni pettegolezzi riguardo una malattia mentale insinuando che la pazzia fosse una patologia familiare. Sissi dedicava circa tre ore di tempo al giorno per vestirsi, anche perché i suoi abiti le venivano spesso cuciti addosso, per allacciarsi i bustini e rendere così ancora più sottile la vita impiegava più di un ora di tempo.

Foto dal sito http://www.giornalettismo.com

Nonostante rifiutasse la vita di corte, Elisabetta era famosa per la sua eleganza che quasi superava quella della sua rivale : l’imperatrice Eugenia, Sissi era cliente di Worth che le confezionò molti abiti, tra cui uno in tulle bianco con stelline lucenti e quello indossato per l’incoronazione a Regina d’Ungheria nel 1867; si trattava di uno straordinario abito in tessuto broccato oro e argento, con grappoli di lillà e pietre e un corpetto in velluto nero. Era anche un’ottima ambasciatrice dello stile nazionale promuovendo i tessuti e gli abiti asburgici regionali. Durante una visita in Tirolo indossò i costumi del luogo e fu molto apprezzata. A un ricevimento di corte il giorno prima delle nozze indossò un abito in organza bianco ricamato con fili metallici che riproducevano un testo del Corano, ma il suo abito preferito, sempre di Worth era un modello primaverile in chiffon di seta e pizzo di Bruxelles con ricamati un delfino, simbolo dell’amore di Sissi per il mare e una corona imperiale.

Ritratto di Franz Xaver Winterhalter

Riproduzione dell’abito dell’incoronazione come regina d’Ungheria nel 1867. Sisi Museum. Hofburg palace in Vienna.

Sissi aveva dei capelli stupendi, lunghi quasi fino a terra che curava quotidianamente; il lavaggio prevedeva una miscela di cognac e trenta uova. Il procedimento richiedeva un’intera giornata durante la quale non voleva assolutamente essere disturbata. Per mantenere i propri capelli lunghi e splendenti l’Imperatrice si affidò Fanny Angerer, ex parrucchiera del Burgtheather di Vienna. Fanny creò per Sissi l’acconciatura a “corona” con grandi trecce raccolte sopra la nuca divenuta come un segno di riconoscimento tanto che fu imitata da molte aristocratiche dell’epoca.

Illustrazione Alice Negri

Illustrazione Alice Negri

L’Imperatrice era nota anche per le sue interminabili passeggiate insieme alla sua dama di compagnia, e per le sue cavalcate divenute quasi un ossessione. Curava moltissimo la sua pelle idratandola con maschere per il viso alla fragola e creme a base di lumache di terra. Una delle sue lozioni “miracolose” era la Crema Celeste, fatta di cera, olio di mandorle dolci e glicerina. Un’altra crema da lei molto usata fu la “Cold Cream” con cera d’api, acqua di rose e burro di cacao; essa fu molto apprezzata dalle dame della sua corte. Tutte queste creme e lozioni venivano preparate in farmacia o dalla dama di compagnia.

Scultura in cera di Sissi, Madame Tussauds Museum, Vienna, Austria

Dopo il suicidio del figlio Rodolfo nel 1898 l’imperatrice si recò in incognito a Ginevra, facendo lunghe passeggiate per la città vestita di nero e con il viso celato da una veletta e un ombrellino. Il 10 settembre 1898 un anarchico italiano, Luigi Lucheni si apposta dietro un ippocastano armato di una lima, al passaggio dell’imperatrice la pugnala al petto con un colpo preciso, morirà per un’emorragia interna un’ora dopo nella sua stanza d’albergo. La sua tomba si trova nella cripta imperiale a Vienna, accanto a quella del marito e del figlio Rodolfo e rimarrà per sempre una delle donne più affascinanti e belle del suo tempo.

 

 

Francesca Galassini

 

 

Bibliografia:

Storia della Moda dal 1850 a oggi- Daniel James Cole e Nancy Deihl

Storia della Moda J. Anderson Black e Madge Garland

http://www.design-training.com/fashion-design/steampunk-fashion-guide.html

http://www.huffingtonpost.co.uk/william-higham/steampunk-what-thehell-is-it_b_1015192.htlm

à la disposition

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Con il progredire della rivoluzione industriale, l’industria tessile fu in grado dagli anni quaranta dell’ ottocento, di realizzare delle pezze operate o stampate, pensate fin dall’inizio in funzione del modello dell’abito che avrebbero creato. Durante gli anni 50, la moda delle gonne a balze, né usufruì enormemente; per tali modelli di abiti, furono create delle pezze con grandi motivi floreali o ampie righe per le balze della gonna, mentre un motivo en pendant in scala fu creato per il corpetto; così, i risultati raggiunti, erano di grande bellezza e complessità.

Abito da giorno 1854-55 From the McCord Museum

Abito da sera 1855, Foto: defunctfashion.tumblr.com

Abito da giorno, ca. 1855 Museo de la Moda

 

Questa tecnica fu chiamata “à la disposition”, pressa da un’altra pratica che avveniva quasi un secolo prima con cui si realizzavano abiti femminili, ma soprattutto le giacche e i gilet maschili, dove il ricamo era direttamente lavorato sul tessuto a forma di fronte destro, e sinistro, tasca sinistra e bottoni, prima che il tessuto fosse tagliato e trasformato in un indumento.

Pezza di stoffa ricamata per realizzare una giacca maschile, 1780, The Met

Tale tecnica continuò a essere usata in diversi tipi di abiti con grande successo ( sia con la stampa che con il ricamo) perché permetteva di creare degli effetti e dei contrasti molto interessanti, come in questo abito di Worth del 1905.

Abito da sera, realizzato dalla maison Worth del 1905, the Met

 

Abìna Muraca

Bibliografia:

  • The met.com

I Tussie Mussie

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Il termine Tussie proviene da una parola medievale che vuol dire nodo di fiori e mussie deriva dal muschio fresco usato per tenere i fiori in vita.

Un Tussie mussie è un piccolo bouquet di fragranti erbe e fiori che le donne portavano con sé per proteggersi dai cattivi odori causati dalle scarse condizioni igieniche nei periodi in cui il bagno era ritenuto persino pericoloso; molto usati durante il medioevo, poi ripresi dalla Francia pre – rivoluzionaria arricchendoli di tutta una serie di simbologie e infine molto popolari durante il periodo Vittoriano sia in Europa che in America; essi erano portati vicino al naso come una spilla, un ornamento per i capelli, un anello o messi intorno alla vita.

A Lady with a Nosegay ~ ca.1525 ~ by Francesco Ubertini, called Bachiacca (Florence, 1494-1557)

Durante il settecento, i tussie mussie furono caricati di una profonda simbologia dove ad ogni fiore o erba corrispondeva un significato diverso, così le donne potevano comunicare attraverso il piccolo bouquet che portavano. Tale simbologia fu ricavata da molte fonti (mitologia greca e romana, l’eredità giudeo – cristiana, la medicina, la letteratura, l’oriente, tradizioni popolari, ecc) e a seconda del luogo, poteva assumere significati molto diversi; per esempio diversi fiori potevano avere lo stesso significato e perfino uno stesso fiore poteva avere significati opposti a seconda degli altri fiori con cui era stato messo.

Durante il periodo Vittoriano, i tussie mussie divennero più un accessorio alla moda che un oggetto usato per ragioni di salute; essi erano portati in piccoli vasi d’argento che potevano essere attaccati al corpetto; furono pubblicati un gran numero di dizionari dove era possibile capire il significato simbolico di ogni pianta, perché per una giovane donna era di grande importanza non solo conoscere tali simbologie, ma anche doveva essere brava a comporre i bouquet e a sapere quale era il più adeguato a seconda dell’occasione. La regina Vittoria era famosa perché si portava sempre dietro un tussie mussie.

Franz Hohenberger | Portrait of a Lady in a Blue Dress with Violets, 1888

Durante l’epoca vittoriana, la fluorografia fu comunemente usata per esprimere messaggi secreti che l’etichetta vittoriana vietava di esprimere apertamente. I vittoriani riuscirono a farne un’arte, dove non si trattava solo di dare una simbologia a un fiore, ma importava anche la loro combinazione, come venivano presentati e perfino a come venivano ricevuti.

Portrait of Comtesse de Beaussier (detail), Edouard Louis Dubufe, 1850

Spesso i tussie mussie erano un regalo che si facevano tra uomini e donne; nella pudica era vittoriana, c’erano delle regole sociali molto ferree soprattutto nella classe alta, dove alle donne non sposate non veniva consentito di restare da sole nella stessa stanza con un uomo senza la presenza di uno chaperon che poteva e doveva ascoltare le conversazioni e evitare ogni comportamento che potesse mettere in dubbio la riputazione della ragazza, così attraverso i tussie mussie venivano inviati i messaggi che altrimenti non potevano essere detti.

“De quoi écrire (What to Write)” by Hermann Fenner- Behmer, c1890, private collection

Se il tuo amato ti regalava un tussie mussie con una rosa rosa, ti stava dicendo che ti amava, ma se tu le rispondevi regalandole uno con una rosa gialla, le offrivi solo la tua amicizia, mentre se la rosa era corallo, dicevi di desiderarlo.

Foto da: http://www.lovemydress.net/blog

Oggi dei tussie mussie ci rimangono solo i bouquet delle spose, accessorio indispensabile, segnato dalla tradizione per la buona sorte del matrimonio.

 

Ana Muraca

Sitografia:

http://www.motherearthliving.com/garden-projects/tussie-mussie?pageid=3#PageContent3

https://therosemaryhouse.blogspot.it/2011/07/history-of-tussie-mussie.html

http://allthedirtongardening.blogspot.it/2009/11/tussie-mussie-history-and-how-to.html

http://peopleof.oureverydaylife.com/tussy-mussy-history-9128.html

Victorian Tussie Mussie, Bouquet With Meaning

La moda del lutto

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Può sembrare assurdo, di cattivo gusto, ma tutti siamo affascinati dagli abiti da lutto in maniera quasi morbosa. E’ anche vero che oggi è praticamente impossibile riconoscere una persona quando è in lutto perché il nero non è più considerato il colore esclusivo dei defunti.

In passato il lutto di una famiglia prevedeva riti pubblici ben precisi, durante il medioevo nelle corti europee, veniva regolato da leggi suntuarie e le donne di alto rango indossavano lunghe cappe, le vedove veli che arrivavano a sfiorare terra. Tra le regine europee era consuetudine indossare solo il bianco durante i periodi di lutto, come simbolo di purezza. Il nero era una prerogativa delle classi sociali più elevate, in quanto il colorante era molto costoso.

Maria regina degli scozzesi in lutto bianco, c1560, artista sconosciuto

Nel XVIII secolo la ricca classe mercantile cercava di imitare l’aristocrazia in fatto di moda, sfidando le leggi suntuarie e vestendo con abiti da lutto, anche a costo di pagare multe salatissime, ma è nell’era vittoriana intorno alla metà del XIX secolo che gli abiti da lutto si diffondono anche tra le classi medie. La Regina Vittoria, vedova all’età di 45 anni indosserà il lutto fino alla sua morte, avvenuta nel 1901. Spesso indossava un abito in taffettà nero con rifiniture in pizzo, molte donne seguirono il suo esempio indossando per molti anni abiti da lutto, limitando le uscite in società e facendo costruire monumenti intorno alla tomba del proprio caro.

Regina vittoria in lutto, foto dal sito: londonconnection.com

A Londra la Jay Mourning’s Warehouse era il più famoso fornitore di abiti neri da lutto in crepe, oramai era divenuto un affare su cui lucrare; Il grande magazzino Jay obbligava i suoi clienti a ritornare ogni volta che moriva un proprio caro, alimentando la voce che conservare abiti da lutto poteva portare sfortuna, ciò significava ricomprare un nuovo abito alla Jay’s ogni volta che un proprio caro moriva.

Jay’s Mourning Warehouse, interior, 1847, foto: londonstreetviews.wordpress.com

Nell’epoca vittoriana le regole su cosa indossare e il galateo erano dettate da manuali familiari o riviste come The Queen e Cassel: i requisiti erano rigorosi. Una vedova doveva indossare un abito da lutto per 2 anni e mezzo. Il primo anno indossava un abito in crepe nero opaco senza ricami ne’ fronzoli, e senza gioielli, solo un velo nero per uscire di casa; durante il secondo anno, chiamato mezzo lutto poteva optare per alcuni dettagli come frange e perline e colori come il lavanda, il “pansy” (viola scuro) o violetta di Parma. Come gioielli erano permessi quelli in giaietto, lockets “in memoram” o gioielli che contenevano immagini o ciocche di capelli del defunto. Oggi questi gioielli possono apparire morbosi, ma nell’era vittoriana, romantica e sentimentale erano un modo per mantenere il contatto con la persona cara, attualmente questi gioielli sono ricercatissimi tra i collezionisti.

Foto dal sito: thepenningtonedition.wordpress.com

Mourning evening dress, 1861 From the Metropolitan Museum

Mourning dress, 1880-85 From Kerry Taylor Auctions

jewellery set made from Whitby jet – courtesy of the British Museum

Un accessorio molto particolare era anche il nastro d’amore in garza bianca o nera indossato durante il mezzo lutto. Gli abiti neri in crepe pesante che indossavano le vedove venivano chiamati in modo colloquiale “le erbacce della vedova”(dal vecchio inglese Waed). Durante il lutto le donne indossavano anche una cuffia particolare legata con due lembi che creava una specie di alone attorno al capo. La moda degli abiti da lutto diminuì drasticamente durante il periodo edoardiano e dopo la Grande Guerra a causa della grande crisi economica.

Foto dal sito: http://crimsonpeakmovie.tumblr.com

Nel 1910 muore Edoardo VII lasciando i reali in un profondo sconforto. In suo onore fu creato un evento ad Ascot dove si svolsero alcune corse ippiche. Normalmente la sua morte avrebbe provocato la cancellazione dell’evento, ma Edoardo VII da bon vivant avrebbe voluto il contrario. Così tutti si presentarono ad Ascot vestiti da lutto in nero e l’evento fu chiamato Black Ascot. Nel 20° secolo il funerale è chic, e Jackie Kennedy rappresenterà la quintessenza della vedova elegante, ai funerali del marito(1963) indosserà un abito nero Givenchy con velo corto.

 

Francesca Galassini

 

Bibliografia:

 

fashion-history.lovetoknow.com/…/history-mourning-dress

 

thefuneralsource.org/trad04.html

 

Icona di Moda – Eugenia de Montijo, l’ultima imperatrice dei francesi

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Intelligente, colta, bella, ossessionata da Maria Antonietta, fu una donna molto influente grazie a uno spiccato buon gusto ed eleganza e a uno stretto rapporto con il couturier più importante dell’epoca, la nostra icona di oggi è l’Imperatrice Eugenia.

Eugenia de Montijo, contessa spagnola nata a Granada nel 1826, dopo la morte del padre, si trasferisce a Parigi nel 1839 insieme alla madre e alla sorella.; educata all’interno dell’aristocrazia cattolica, ebbe come precettore Stendhal, da cui imparò la storia e una certa ammirazione per Napoleone e il suo regno, già avviata da suo padre che era filofrancese.

Ritratto dell’imperatrice, realizzato da Winterhalter

La contessa era destinata a far parte da quel regno che tanto ammirava, nel 1849, conobbe Luigi Napoleone Bonaparte, presidente della Repubblica Francese che ne rimasse folgorato e che le farà la corte per più di due anni finché contro il parere dei suoi consiglieri, decise di proporle matrimonio.

La cerimonia ebbe luogo il 29 gennaio del 1853 e da quel momento, Eugenia diventò il centro della mondanità e dell’interesse dei francesi, contribuendo con la propria immagine al regime imperiale. Lei, donna affascinante dagli occhi blu e dai capelli rossi (suo nonno materno era scozzese), aveva una pelle di porcellana e dei piccoli piedi, diventò subito un modello a seguire per tutte le donne dell’alta società parigina e non solo. La sua fotografia compariva spesso su giornali e riviste, e persino sui negozi d’abbigliamento in tutta Europa e in America.

 

L’imperatrice Eugenia in abito da sposa, 1953. Foto: entertainment.webshots.com

Nel 1859 avvenne un incontro molto importante tra la nuova imperatrice dei francesi e il couturier Charles Frederick Worth, che aveva recentemente aperto la sua attività e che cercava di farsi conoscere. Il tutto era stato progettato dallo stesso Worth, che inviò sua moglie principessa Pauline de Metternich, moglie del nuovo ambasciatore austriaco a Parigi, per sottoporli dei figurini di alcuni suoi modelli; Pauline li trovò semplici ma eleganti e belli e ne ordinò due: uno dei quali era destinato ad un ballo alle Tuileries. Worth aveva fatto centro, una sua creazione sarebbe stata vista dall’imperatrice; infatti, Eugenia notò il bellissimo abito della principessa e questo gli procurò un invito per andare a trovarla. L’imperatrice gli commissionò un primo abito, è rimasse talmente sodisfatta che da li a poco Worth si ritrovò a creare non solo il suo guardaroba, ma anche quello dell’alta società Parigina, diventando il più ambito couturier dell’epoca.

Questo significava un giro d’affari veramente grande se consideriamo che all’epoca una donna di quella cerchia poteva cambiare abito fino a 8 volte al giorno e che era vietato comparire a corte due volte con lo stesso abito.

 

L’imperatrice Eugenia e le sue dame di compagnia, Winterhalter

Worth però rimasse sorpreso dall’apertura che la sua più importante cliente, entrambi erano soliti riunirsi per discutere i disegni proposti da Worth; erano consapevoli che ogni mossa dell’imperatrice sarebbe stata notata e divenuta una nuova moda. A Eugenia era tutto concesso, come quando un giorno andò alle corse, uno degli eventi più importanti della stagione, senza uno scialle, cosa impensabile per una donna dell’alta società, perché non voleva coprire il bellissimo vestito che indossava; la cosa fecce scalpore, ma il giorno dopo molte signore cominciarono a uscire senza il loro scialle. Le riviste come the Godey’s Lady’s Book, riportavano ogni sua mossa, i colori che usava, le nuove forme, i nuovi stili, come il “blu imperatrice” o l’acconciatura “à l’imperatrice”.

Abito da ballo appartenuto all’imperatrice, Worth, 1866-67

Eugenia, che trovando molto scomodi i modelli degli abiti da passeggio che arrivavano fino a terra, chiede Worth di creare abiti con l’orlo più corto, fino alla caviglia che le consentissero di camminare senza nessun ingombro, tali modelli erano costituiti da una sottoveste corta e da una sopravveste drappeggiata che diventò subito una nuova moda.

Abito da passeggio 1867 dalla mostra “Impressionism and Fashion” at the Musee d’Orsay via nuescha

Né Worth né Eugenia amavano la crinolina, ma non potendo sfarsene da un momento all’altro, hanno iniziato a modificarla, fin quando nel 1868, decisero che ormai era arrivato il momento di farla tramontare imponendo una nuova silhouette che sarebbe durata per ben un decennio, dove l’abito doveva essere dritto e stretto nella parte anteriore, abbracciando la figura, e spostando tutto il volume verso la parte posteriore.

Forse è stata la stessa condizione di essere una straniera in terra dei francesi a provocare in Eugenia una tale ammirazione per Maria Antonietta, o forse è stata una curiosità morbosa per un personaggio che aveva ricoperto una carica molto simile alla sua e che era finita sotto la ghigliottina; fatto sta che Eugenia non solo indossava spesso abiti ispirati al XVIII secolo, ma anche arredava i suoi ambienti domestici e non con uno stile neoclassico e si fecce fare persino un ritratto dal noto pittore Winterhalter nelle vesti di Maria Antonietta.

Empress Eugenie of France by Franz Xaver Winterhalter 1854

A differenza di Maria Antonietta, Eugenia non era ossessionata dalla moda, mentre in pubblica rispettava l’etichetta e cercava di promuovere l’industria francese con abiti sicuramente molto lussuosi ed eleganti, ma in privato preferiva un abbigliamento più pratico e comodo.

1862, Franz Xaver Winterhalter

Sembra che l’imperatrice avesse una particolare predilezione per il colore verde, lo indossava a teatro, ai balli, all’opera, anche se all’epoca, per via di una tintura tossica verde che aveva prodotto non poche vittime, il verde fosse visto come un colore che portava sfortuna, l’influenza di Eugenia riuscì a riscattarlo, almeno parzialmente. Fu lei a indossare per prima abiti con una nuova tintura, non più tossica, che produceva dei verdi molto intensi e luminosi, chiamata verde all’aldeide. Un trucco che spesso utilizzava Eugenia, era quello di spruzzare della polvere d’oro su i suoi capelli durante gli eventi serali in modo da conferire un aspetto più luminoso e regale.

Eugenia pero, non fu solo una bella donna, ma era anche molto intelligente e con saldi principi cristiani e interferiva spesso negli affari d’estato dando consigli e suggerimenti a suo marito che la ascoltava volentieri; cosa che le recò la nemicizia e gli attacchi di molti.

Il regno di Eugenia finì intorno al 1870, quando il secondo impero francese crollò a causa della sconfitta subita dalla Francia nella guerra Franco Prussiana, la coppia insieme al loro unico figlio, furono esiliati in Inghilterra dove furono molto ben accolti dalla regina Vittoria e dalla sua famiglia. Gli anni d’oro erano finiti e loro continuarono a vivere la loro vita come ricchi borghesi.

Eugenia si dimostrò una grande amministratrice e nonostante la morte prima di suo marito nel 1873 e quella di suo figlio nel 1879, lei continuò a essere una donna molto amata tra i reali Europei instaurando grandi amicizie con la regina Vittoria, la regina Alexandra e la stessa Sissi con cui condivideva il dolore per un figlio scomparso.

La sua lunga e intensa vita si spense nel 1920, a 94 anni di età.

 

Ana Muraca

In copertina, illustrazione di Alice Negri

 

Bibliografia e sitografia:

Pastoureau Michel, “Verde, storia di un colore”, edizioni Ponte alle Grazie, 2013.

Morini Enrica, “Storia della Moda dal XVIII al XXI secolo, Editore Skira, 2017.

http://www.independent.co.uk/life-style/fashion/features/impress-of-an-empress-the-influence-of-eug-nie-on-luxury-style-is-still-felt-today-8824515.html

https://www.napoleon.org/en/history-of-the-two-empires/articles/charles-frederick-worth-the-empress-eugenie-and-the-invention-of-haute-couture/

https://hampshireculturaltrust.org.uk/content/empress-eugenie-and-fashion

https://www.cairn.info/revue-napoleonica-la-revue-2011-2-page-183.htm

The Fashion Empire of Charles Worth


Verde, Storia di un colore

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Oggi vi proponiamo il terzo volume di una serie che vuole raccontarci la storia dei colori: con un primo volume sul blu (2000), seguito da uno sul Nero (2008), poi di uno sul Rosso (2016) ed è previsto anche un quinto sulla storia del Giallo. Scritti da Michel Pastoureau, storico, specialista di storia dei colori, degli emblemi e dei simboli.

 

Verde storia di un colore ci parla di come la storia del verde sia da sempre stata legata alla difficoltà, soprattutto dei paesi mediterranei, di creare delle tinture che fossero stabili e lucenti, come avveniva nei paesi del Nord; per ciò il verde era stato originariamente messo da parte dai greci e dai romani. Durante il medioevo acquisisce una connotazione positiva come simbolo della natura, della primavera e della gioventù; ma anche grazie alla sua natura cangevole, assume connotazione poco lusinghiere come il colore del diavolo e delle streghe, diventando cupo, sporco.

Neanche della riforma protestante, che mescolò un po’ le carte nella storia dei colori, ne usci ben librato; il verde fu accantonato anche durante l’illuminismo dove le signore aristocratiche ritenevano che gli abiti verdi alla luce delle candele (che era il tipo di illuminazione più usato all’epoca) diventassero dei brutti abiti marroni che decisamente non le donavano.

Fu solo tra la fine del settecento e l’inizio dell’800 quando il verde finalmente riuscì ad avere un po’ di fortuna, imponendosi come colore della borghesia, del tempo libero, dell’igiene per poi inciampare di nuovo, fino ai nostri giorni dove è diventato simbolo della protezione dell’ambiente.

Si tratta di un opera molto ben documentata, scorrevole, piena di informazione senza risultare noiosa o pesante; il libro è diviso in capitoli che ripercorrono le tappe più importanti della storia del colore, il tutto illustrato con bellissime immagini a colore.

Il libro è stato pubblicato nel 2013 e le seguirà l’ultimo della serie: Giallo, storia di un colore, il suo prezzo è di 29,80 euro.

Ana Muraca

 


Rosso, storia di un colore

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Oggi vi proponiamo il quarto volume di una serie che vuole raccontarci la storia dei colori: con un primo volume sul blu (2000), seguito da uno sul Nero (2008) e poi da uno sul colore Verde (2013) e dove ancora deve arrivare il volume sul giallo. Scritti da Michel Pastoureau, storico, specialista di storia dei colori, degli emblemi e dei simboli.

 

Rosso storia di un colore ci racconta la storia del colore rosso, usato nelle prime raffigurazioni fatte dall’uomo, è stato anche il primo colore a essere usato per tingere le stoffe; simbolo di nobiltà, di potere, di guerra e di forza nell’antichità, assume caratteri ambigui durante il medioevo come colore del sangue di Cristo e dell’amore, ma è anche come il colore delle fiamme dell’inferno e di tutti i suoi demoni; messo da parte dalla riforma protestante perché troppo vivace ed eccentrico per essere ripreso poi durante la rivoluzione francese diventando non solo simbolo della libertà, ma anche un colore politico, fino ai nostri giorni dove lo ritroviamo come un colore allegro, che colpisce l’occhio e quindi usato come segnale di avvertimento, di divieto, di pericolo o semplicemente per richiamare l’attenzione.

Questo libro ci riserva non poche sorprese, esso comprende la storia del rosso, (anche se a grande linee), nell’abbigliamento, nell’arredamento, nelle arti, come simbolo; ci parla dei suoi significati in ogni epoca, di come la sua storia è mutata grazie ai gusti, ai fatti storici, alle concezioni teoriche all’avanzare della scienza; ma anche ci parla della storia del rosa, di come in passato era considerato parte della gamma del giallo, della difficoltà per nominarlo e finalmente di come è arrivato a essere uno dei colori prediletti del genere maschile durante il settecento.

Si tratta di un opera molto ben documentata, scorrevole, piena di informazione senza risultare noiosa o pesante; il libro è diviso in capitoli che ripercorrono le tappe più importanti della storia del colore, il tutto illustrato con bellissime immagini a colore.

Il libro è stato pubblicato nel 2016 e le seguirà l’ultimo della serie: Giallo, storia di un colore, il suo prezzo è di 32 euro.

Ana Muraca

Perché il rosa per le femmine e il blu per i maschi?

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Oggi scegliamo il rosa per gli abiti delle bambine e il celeste per quelli dei maschi, ma non sempre fu così, anzi, questa tendenza è più recente da quanto si può pensare.

In passato, neonati e bambini erano vestiti per lo più di bianco; sappiamo bene quanto un bambino piccolo possa sporcarsi nel giro di poco, e il bianco è l’unico colore che può essere lavato innumerevoli volte senza aver paura di sbiadire.

Abito da bambino del 1850. Foto: http://yeoldefashion.tumblr.com

Questo fino a quando a metà dell’ottocento, le classi più alte cominciarono a vestire i bambini con colori pastello, ma senza differenziarli in base al sesso, bambini e bambine potevano vestirsi sia di rosa sia di azzurro e a vedere le fonti dell’epoca, si direbbe che erano i maschi a essere vestiti più spesso di rosa e le femmine di blu; questo forse perché il rosa, considerato variante del rosso, ne aveva presso i significati di forza, energia e coraggio e quindi più adatto ai maschi, mentre il blu, faceva riferimento al velo della vergine e quindi più delicato e femminile, perfetto per le bambine.

Abito da bambino 1910 – 1915 Foto: omgthatdress.tumblr.com

Abito da bambina 1905 – 1915 Foto: wisconsinhistory.org

Fu solo durante gli anni trenta del novecento, quando compaiono le prime tinture chimiche resistenti ai continui lavaggi, che tale usanza si generalizzo; e da lì a poco, per motivi sconosciuti, i produttori di abbigliamento hanno deciso di usare il rosa per le femmine e il blu per i maschi. Durante gli anni sessanta, quando arrivo la bambola Barbie, riconfermò a pieno tale scelta rendendo il mondo delle bambine completamente rosa e di conseguenza, blu quello maschile.

 

Ana Muraca

 

Bibliografia:

– Rosso, storia di un colore

– Rivista Focus Storia No. 124, febbraio 2017.

http://www.smithsonianmag.com/arts-culture/when-did-girls-start-wearing-pink-1370097/
http://www.todayifoundout.com/index.php/2014/10/pink-used-common-color-boys-blue-girls/

 

In copertina:

  • Pinkie by Sir Thomas Lawrence
  • Blue Boy by Gainsborough

Il mantello russo della contessa Greffulhe

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Per chi non ne ha mai sentito parlare, la contessa era una delle donne più in vista della Parigi della Belle Époque; ricca, bella, affascinante, era una di quelle donne che dettava legge in fatto di  moda.

Di lei, ce n’eravamo già occupati in un altro articolo su un suo meraviglioso abito; questa volta, torniamo a parlarne per un suo mantello.

Durante la sua visita in Francia nel 1896, lo zar Nicola II aveva offerto alla contessa Greffulhe un bellissimo mantello cerimoniale di lavorazione russa in velluto di seta di Borgogna ricamato con motivi di rosette, pizzo meccanico, filati metallici, treccia di fili di seta multicolore, lamé dorato con taffetà e tulle di cotone; la contessa, lo accettò volentieri, ma non potendo indossarlo nella sua forma originale, diede il compito al suo couturier di fiducia, niente di meno che Jean-Philippe Worth, di trasformarlo in un mantello da sera; lui con il suo genio creativo realizzò questo meraviglioso mantello dove a spiccare era il bel viso della contessa, unica parte visibile del suo corpo.

© Patrick Pierrain/Galliera/Roger-Viollet

La contessa è stata immortalata con il suo mantello da Otto Wegener in una posa solenne che la fa sembrare quasi una scultura.

 

Foto di Otto Wegener
Photo Alain R. Truong

Nel 1904, in occasione di una serata a teatro a beneficio dei feriti russi, la contessa farà parlare di sé indossando il suo splendido mantello.

© Patrick Pierrain/Galliera/Roger-Viollet

Il mantello è stato esposto insieme ad altri capi della contessa al Palais Galliera nella mostra: “Les robes trésors de la comtesse Greffulhe” tra il 2015 e il 2016.

Ana Muraca

Sitografia:

http://www.alaintruong.com/archives/2015/11/05/32884275.html

http://www.palaisgalliera.paris.fr/fr/expositions/la-mode-retrouvee

 

Lo scialle e la sua esotica origine

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Eleganti, colorati, caldi e leggeri, gli scialli di cashmere furono l’accessorio indispensabile delle donne per quasi un secolo, realizzati a mano nel Kashmir in India fin dall’XI secolo, con una pregiatissima qualità di lana, la lana di cashmere, arrivarono in Europa già nella seconda metà del XVI secolo, ma dovuto al suo elevatissimo prezzo, non ebbe una grande diffusione; furono solo le classi più elevate a potersi permettere un accessorio di questo genere; si dice che la stessa Maria Antonietta era una loro fervente ammiratrice e che ne possedeva parecchi, ma gli scialli di cashmere dovettero aspettare ancora un po’ per la loro epoca d’oro che durò quasi un secolo.

Lo scialle fu un complemento insostituibile nel guardaroba femminile per quasi un secolo, dal 1780 al 1870, essi erano prodotti a forma quadrata e rettangolare e i bordi erano lasciati sfilacciati, gli scialli più grandi si piagavano a metà e venivano indossati drappeggiati intorno al collo, lasciati cadere liberamente sulle spalle e fermati con una spilla sul corpetto.

Madame Récamier (Jeanne-Françoise Julie Adélaïde Récamier ) by Francois Gérard (1802)

Gli scialli di cashmere furono importati in Inghilterra dalla compagnia britannica dell’India occidentale alla fine del XVII secolo e divennero di moda in occidente dopo che Napoleone gli regalò uno a Giuseppina che ne divenne una collezionista (ne possedeva più di sessanta) in seguito alla campagna d’Egitto del 1799.

Charles Sprague Pearce (1851 – 1914) – The shawl, 1900

La moda si sparse rapidamente, e nonostante l’elevatissimo prezzo, la richiesta iniziò a essere molto superiore alla offerta, furono fatti molti tentativi di copiarli; nacquero così diversi centri in Europa della produzioni di questi scialli come quello in Edimburgo, Glasgow, Norwich e in particolare in Paisley, in Scozia, che grazie all’eccellente produzione non ebbe rivali; all’inizio si producevano in telai jacquard meccanici che potevano realizzarli con diversi motivi decorativi in una frazione del tempo che ci voleva per tesserli a mano ed erano relativamente a buon mercato, in seguito, riuscirono a renderli abbordabili anche alle persone meno abbienti grazie alla semplice stampa con blocchi di legno sul tessuto.

“Isabelle”, from the exhibition “Napoleon and the Empire of Fashion”. Lancaster-Barreto collection.

Durante gli anni ottanta del settecento, gli scialli di cashmere grazie alla loro leggerezza, ai suoi motivi esotici e ai loro colori accessi, erano il complemento ideale per l’habit-chemise e in seguito per gli abiti in stile impero; quando arrivò la crinolina, gli scialli continuarono a essere il soprabito adatto dato che nessun capoto o capa poteva essere usato con una gonna cosi ampia e sempre in crescita. Un’altra amante di questi scialli, fu la regina Vittoria che li ressi ancora più popolari durante gli anni 40 dell’800; questo fu il periodo di più alta richiesta e l’industria dello scialle raggiunse in Inghilterra e in Francia proporzioni gigantesche; infatti erano famosi gli scialli di lusso di Lione in materiali pregiati.

Day dress and shawl ca. 1865 From the Kent State… – Fripperies and Fobs

 

Intorno al 1860, gli scialli più economici di Paisley presero il sopravvento, essi furono così popolari che il loro tipico motivo a pigna, nota come “boteh” o pigna di Paisley, che era simbolo della vita e della fertilità, divenne da qui in poi un motivo decorativo ricorrente nell’abbigliamento femminile.

Paisley shawl 1855 V&A

Questa grande popolarità e diffusione insieme al cambiamento della moda, segnò la fine della stessa intorno al 1870. Una volta che le donne delle classi più alte videro le proprie cameriere indossando questi scialli, anche se in versione economica, decisero di non comprarli più; nel frattempo anche la crinolina stava tramontando e presto arrivò in sostituzione la tornure, che con dimensioni più modeste, consentiva l’utilizzo di giacche e piccole cappe. Gli scialli continuarono a essere utilizzati come “visite”, o capo di vestiario per restare a casa, per poi scomparire definitivamente.

Visite del 1870 al Tokyo Costume Institute

 

Ana Muraca

  • Kyoto Costume Institute a cura di. “La Moda dal XVIII al XX secolo”, Taschen, 2005.
  • Fog Marnie, “Fashion the whole story”, Thames and Hudson, 2013.


Una giornata con una donna vittoriana

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Le donne dell’800 non erano le semplici casalinghe che noi oggi possiamo pensare, quelle di una condizione mezza – bassa, lavoravano tutto il giorno, mentre quelle della classe aristocratica dovevano non solo imparare una complessa e difficile etichetta, ma anche stare attente a ogni singolo particolare perché anche il minimo dettaglio poteva far sfigurare lei e tutta la sua famiglia.

Erano molteplici gli incontri sociali durante tutta la giornata, ed era importante azzeccare l’abbigliamento adatto non solo alla propria fisionomia, età, rango, caratteristiche fisiche, epoche dell’anno, ma anche a ogni attività che si doveva svolgere, così la giornata di una donna dell’alta società era scandita dal vestirsi e svestirsi fino a sette – otto volte.

La loro giornata iniziava presto, loro si svegliavano molto prima dei loro mariti in modo da non farsi vedere in disordine e il loro primo abito era la veste da camera o la vestaglia sotto la quale era presente un mezzo busto, perché era impensabile andare in giro senza e una camicia da giorno, il tutto accompagnato da un paio di scarpe comode e una piccola cuffia di batista in testa.

Abito del mattino 1895, Augusta auctions

Vestaglie prodotte in Giappone per l’occidente, 1880, the Metropolitan Museum

Le donne i cui capelli non erano naturalmente ricci, erano costrette a mettere i bigodini per diverse ore, finché i loro capelli non avessero presso la forma tanto desiderata.

Con questa tenuta, una donna poteva svolgere i propri compiti nell’intimità di casa, facendosi vedere esclusivamente dai familiari. A mezzo giorno o massimo le due del pomeriggio, la donna doveva cambiarsi una seconda volta, certo se non era uscita o aveva ricevuto visite; in questo ultimo caso avrebbe indossato un tea gown.

Tea gown, 1875, Brooklyn Museum Costume Collection at The Metropolitan Museum of Art

L’etichetta prevedeva una sorta di semplicità e castità che andrà riducendosi col passare delle ore, per ciò non sonno ammesse scollature, gioielli troppo vistosi, abiti corti o troppo ampi, piume o pizzi prima del pomeriggio. Quando le signore uscivano di giorno a piedi, a fare una passeggiata o una visita, dovevano stare molto attente a non macchiare o strappare i propri abiti, perché uno di questi danni sicuramente non passava inosservato ed era motivo di vergogna; l’alternativa era andare in carrozza dove era concesso un abbigliamento più lussuoso e impegnativo.

Abito da giorno 1865-70 From the National Gallery of Victoria

Nel pomeriggio normalmente una donna esce da casa a fare visita ai fornitori, a sbrigare delle commissioni, oppure può partecipare a una mostra o a una vendita di beneficenza; mentre la sera, se si resta a casa, bisogna cambiarsi ancora per la cena, anche se non ci sono ospiti, la toilette sarà seria, con mezza scollatura e mezze tinte. Se invece, si tratta di una serata importante, come l’invito a una grande cena seguita da un ricevimento, la modestia delle prime ore del mattino viene completamente dimenticata ed escono fuori piume, gioielli e pizzi con delle profonde scollature che lasciano vedere le braccia, le spalle e parte del seno. Questo tipo di abbigliamento sarà concesso anche a teatro e all’Opera, ma lo sfarzo più imponente sarà sicuramente nei balli, occasione per le ragazze di conquistarsi un bel partito e di far vedere tramite il loro abbigliamento la fortuna della propria famiglia e il sapersi destreggiare nell’alta società.

Abito da cena, 1870, Metropolitan Museum

Abito da ballo, 1895, House of Paquin, Brooklyn Museum Costume Collection at The Metropolitan Museum of Art

Un chiaro esempio sono i gioielli, non solo per il proprio valore ma perché non possono essere indossati a qualsiasi ora del giorno o in qualsiasi periodo dell’anno; ogni stagione ha le sue pietre, se la ragazza ancora non è sposata, non gli è concesso indossare i diamanti, ma al massimo le perle o i turchesi.

Compagni fedeli delle giovani al ballo sono i ventagli, i carnet da ballo un piccolo bouquet avvolto in un fazzoletto di pizzo; del carnet e del bouquet ne abbiamo già parlato; mentre del ventaglio, bisogna dire che dietro si nasconde tutto un linguaggio per comunicare con gli uomini senza avvicinarsi troppo.

The Soirée by Jean Béraud

 

Ventaglio appoggiato sul cuore: voglio parlarti.

Ventaglio chiuso appoggiato all’occhio destro: quando potrò rivederti?

Ventaglio chiuso agitato minacciosamente: non essere impudente!

Ventaglio mezzo aperto appoggiato alle labbra: hai il permesso di baciarmi.

Coprire l’orecchio destro col ventaglio aperto: non tradire la mia fiducia.

Nascondere gli occhi dietro il ventaglio aperto: ti amo.

Chiudere lentamente un ventaglio aperto: prometto di sposarti.

Sventolarsi lentamente: sono sposata.

Aprire e chiudere il ventaglio più volte: sei crudele.

Tenere il ventaglio davanti al viso: seguimi.

Rigirarsi il ventaglio nella mano sinistra: siamo osservati.

Ventaglio appoggiato all’orecchio sinistro: gradirei che ti togliessi di torno.

Tenere un ventaglio aperto nella mano sinistra: vieni a parlarmi.

Aprire del tutto un ventaglio: aspettami.

Appoggiare il ventaglio dietro la testa: addio.

 

Alle ragazze ancora non sposate non era permesso indossare abiti di raso, alcune decorazioni realizzate in pelliccia o pizzo, alcuni gioielli come abbiamo visto e gli scialli di cashmere; questo perché dovevano mostrare ai futuri mariti di essere modeste, caste e dai gusti semplici e che sposandole non avrebbero intaccato il loro patrimonio pretendendo abiti o accessori troppo costosi.

L’ultima toilette indossata da una donna è la camicia da notte, con la quale dormirà e sostituirà solo al mattino con quella di giorno.

Camicia da notte, 1890, Metropolitan Museum

Balzac diceva “il gran pregio dato dai più all’istruzione, alla purità del linguaggio, alla grazia dei modi, alla maniera più o meno elegante di portare un’acconciatura, alle ricercatezze della casa, insomma alla perfezione di quel che deriva dalla persona. Non foggiamo noi i nostri costumi, il nostro pensiero su tutto quel che ci circonda e ci appartiene? Parla, cammina, mangia e vesti, e ti dirò chi sei”.

 

Ana Muraca

 

* François Boucher, ”A History of Costume in the West”, Thames & Hudson, 2004

*Enrica Morini “Storia della Moda XVIII- XXI secolo”, Skira, 2010, Milano

* Philippe Perrot, “Il sopra e il sotto della borghesia” Longanesi & C, 1981, Milano

* http://www.pratosfera.com/2013/12/07/il-linguaggio-del-ventaglio-dellepoca-vittoriana/



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