Quantcast
Channel: Dejavuteam
Viewing all 216 articles
Browse latest View live

Emile Pingat, il genio dimenticato

$
0
0

Emile Pingat fu uno dei più grandi coutirier del XIX secolo, la cui reputazione rivaleggiava e a volte superava quella del suo contemporaneo e a noi ben più noto Charles Frederick Worth, ma non vi preoccupate se non lo avete mai sentito nominare, egli è uno dei tanti geni della moda dimenticati dal tempo al suo passaggio.

La sua vita è avvolta dal mistero, sappiamo che lavorò con grande successo vestendo la corte del Secondo Impero di Parigi dal 1860, fino al 1896. La sua clientela però non si limitò a quella Europea, egli fu molto apprezzato anche in America; infatti le ricche ereditiere che oggi conosciamo come le principesse del dollaro insieme alle loro madri, facevano dei viaggi in Europa  per avere un guardaroba parigino firmato Pingat.

 

Abito da ballo 1864, Pingat, Metropolitan Museum

Dettaglio

Abito da ballo, Pingat 1860 al Metropolitan Museum

Dettaglio

 

Quello che lo distingueva dai suoi concorrenti era il suo talento per integrare diverse elementi in modo armonioso in un unico capo, dalle perline alle frange, dai ricami al pizzo.

Mantella, Pingat al LACMA

Dettaglio

 

Mantello 1891, Pingat al Metropolitan Museum

Mantello Pingat, 1884-87 al Fidm Museum

 

Egli offriva alla sua clientela una vasta gamma di capi di abbigliamento, tra cui gli sfarzosi abiti da sera realizzati con strati di tulle e decorazioni applicate con estremo dettaglio in punti specifici dell’abito; Pingat però, fu famoso soprattutto per i suoi elaboratissimi cappotti, cappe e mantelli dove la stoffa era solo lo sfondo dove applicare il suo spiccato e complesso senso estetico.

 

Ana Muraca

 

Bibliografia:

http://fashionista.com/2013/11/edward-molyneux-norman-hartnell-gustave-beer#2

http://blog.fidmmuseum.org/museum/2009/09/emile-pingat.html

http://www.metmuseum.org/collection/the-collection-online/search/159021

http://collections.vam.ac.uk/item/O128007/jacket-emile-pingat/

 

 


Bizzarrie Vittoriane – La Pinza reggigonna

$
0
0

Per secoli, le donne indossarono ampie, lunghe e ingombranti gonne che troppo spesso si sporcavano, si rovinavano, e provocavano non pochi incidenti; ma durante il periodo Vittoriano, un piccolo oggetto era destinato non solo a risolvere tutti gli inconvenienti, ma anche a modificare il destino delle stesse donne.  Oggi parliamo della pinza reggigonna.

Nell’ottocento dopo il periodo Napoleonico che aveva privilegiato lo stile impero, la moda andò verso un ritorno delle voluminose gonne, e man mano avanzava il secolo, esse furono sempre più ampie. Nel frattempo, l’industrializzazione stava cambiando velocemente lo stile di vita e accrescendo la produttività, la gente iniziò ad avere più tempo libero da dedicare allo sport, alle gite al mare o in montagna e a ballare.

 

1865 fashion plate showing a croquet player with buttoned bands acting as skirt lifters, immagine di manchestergalleries.org

Le donne però si ritrovarono più che mai con un grattacapo da risolvere, come poter fare tutte queste cose senza rovinare o sporcare le preziose gonne e allo stesso tempo evitare di mostrare più del necessario.  La risposta fu un curioso oggetto chiamato “Skirt lifter” ovvero la pinza reggigonna: era una sorta di forbici senza lama che finiva in due dischi interni che servivano per afferrare un lembo della gonna, mentre all’altra estremità c’era un piccolo anello attaccato a un nastro, a una corda o a una catena per sospendere l’oggetto, giusto sotto la vita.  Si pensa siano comparsi già durante gli anni quaranta dell’ottocento per sollevare le gonne delle signore durante le lunghe passeggiate, arrivando a essere un accessorio molto popolare, a partire dagli anni sessanta, fino all’inizio del nuovo secolo.

Pinza reggigonna dell'era vittoriana, dal sito: Out of this century

Peterson’s Magazine, June 1879, dal sito: blog.fidmmuseum.org/museum

 

Ci sono stati diversi meccanismi che con risultati diversi, avevano lo stesso scopo, dalle spille che raccoglievano e fissavano la gonna, ma che rovinavano il tessuto, fino ad altri marchingegni che riprendevano la stoffa in pieghe nascosti sotto il vestito.  A differenza di questi oggetti, la pinza reggigonna era ben visibile, indossata da sola, pendente da una chatelaine sul lato destro del corpo o in coppia.

(skirts, corsets and skirt lifter from House of Plument) from Les Modes Parisiennes Illustrées, al Metropolitan Museum

 

Sono state fatte solitamente in ottone o placate in argento, possedevano un fermo per bloccare le impugnature in posizione, e generalmente era questa la parte decorata. La donna, tirava all’occorrenza la catena per sollevare la gonna evitando di sporcarla, per poi lasciarla andare una volta finito l’impasse. Le impugnature erano imbottite in modo da proteggere i tessuti delicati dal grasso della mano o dai guanti sporchi che erano spesso indossati all’aperto in questo periodo.

Come funzionava la pinza reggigonna dal sito: outofthiscentury.wordpress.com/category/dress-and-fashion/

Questo piccolo oggetto può vedersi come un primo passo verso l’emancipazione femminile, se pensiamo a tutte le attività che la donna iniziò a fare grazie ad esso, in particolare andare in bicicletta il che gli permetteva una certa indipendenza e autonomia che difficilmente poteva avere prima.

Ana Muraca

 

Bibliografia:

Kotzin Barbara,  “The Art of the Skirt Lifters: a practical and passionate guide”, Barbara kozin, 2015

Sitografia:

http://www.metmuseum.org/toah/hd/whis/hd_whis.htm.

https://outofthiscentury.wordpress.com/category/dress-and-fashion/

http://dandyhorsemagazine.com/blog/2012/01/03/from-the-days-of-the-dandyhorse-the-skirt-lifter/

http://collections.vam.ac.uk/item/O1245368/dress-holder-b-brothers/

http://collections.vam.ac.uk/item/O78890/skirt-grips-brendel-b-o/

http://englishhistoryauthors.blogspot.it/2014/06/skirt-lifters-victorian-war-on-filth.html

Lucile e la moda dei primi del 900

$
0
0

Oggi parliamo di un’altra star dimenticata, fu una delle più celebri e famose couturier inglesi d’inizio del novecento, creò abiti da sogno per la nobiltà, l’alta società americana, il cinema e il teatro; sopravvisse al naufragio del Titanic, fu anche giornalista, opinionista e prestò la sua immagine per promuovere articoli come scarpe e profumi; vi presento Lucy Christiana Duff Gordon(1863-1935), meglio conosciuta come Lady Duff Gordon, in arte Lucile.

Dopo un difficile divorzio che la lasciò senza un soldo, decise di darsi alla sartoria, ma la sua creatività e le sue doti intraprendenti la condussero ad aprire la sua maison a Londra nel 1894 con un discreto successo.  Sua sorella, la celebre scrittrice Elinor Glyn, la introdusse nel mondo dello spettacolo, infatti, sarà la couturier preferita di celebrità quali Irene Castle, Lilly Elsie e Gertie Millar; fu però, il suo secondo matrimonio a portarli i maggiori vantaggi; nel 1900,  Lucile sposò un facoltoso proprietario terriero, sir Cosmo Duff-Gordon che la fecce conoscere nell’alta società e l’aiutò ad aprire diverse filiali: a New York (1910), Parigi (1911) e a Chicago (1915).

 

1905 Lucile al V&A

Conosciuta per i suoi abiti da te, la sua biancheria intima, ma soprattutto per i suoi abiti romantici dai colori tenui, spesso accompagnati da decorazioni di fiori in seta realizzati a mano; il suo talento pero, andava ben al di là dalla semplice creazione di moda, egli fu una grande promotrice di se stessa, capace di provocare e innovare, basta pensare che è stata una delle prime, se non la prima a esibire le sue creazioni avvalendosi di una passerella; in realtà si trattava di un vero e proprio spettacolo con musica, luci soffuse, un palco dove sfilavano le “mannequins”, le tende, un programma e  regali per i presenti.  Le sue “Creazioni Emozionali”, ovvero abiti con nomi particolarmente suggestivi, inspirati alla letteratura, la storia, ma anche ai sentimenti e alla personalità dei suoi clienti come: “climax”, “il giardino dell’amore” e “felicità fecero furore all’epoca.

 

Lucile 1916 Metropolitan Museum

1916 Lucile, Metropolitan Museum

1915 Lucile design “Youth” designed for and worn by dancer Florence Walton.

Nel 1913 partecipò nel cortometraggio “The American Princess”, realizzato da Marshall Neilan; non è chiaro se realizzò tutti i costumi per il cast; certo è però che si fecce una bella pubblicità grazie all’apparizione di diversi suoi abiti della collezione autunno 1912 in una sorta di show room, che la protagonista del film Alice Joyce nei panni della principessa, visita per rifarsi il guardaroba. Questa fu una delle prime volte in cui un creatore di moda collaborò con il cinema ricevendo i rispettivi crediti. Da questo momento in poi, Lucile disegnerà i costumi per tante altre produzioni cinematografiche, ma anche teatrali incluse numerose edizioni delle Ziegfeld Follies a Broadway.

 

Lily Elsie in “The Merry Widow”, costume designed by Lucile, 1909

Lucile fu abile anche nella promozione delle sue creazioni tramite la stampa, scriveva mensilmente una rubrica per Harper Bazaar e Good Housekeeping (1912-1922), la sua pubblicità è apparsa su Vogue, Femina, Les Modes, L’art et la Mode e altre importanti riviste di moda.  Realizzò diversi contributi per riviste come Vanity Fair, Dress, the The Illustrated London News, The London Magazine, Pearson’s Magazine e Munsey’s.

 

Abito da ballo 1914 al Metropolitan Museum

Il suo successo iniziò a diminuire dopo che fu accusata di non essere più lei a disegnare tutti i suoi abiti, lo scandalo finì con il pubblico riconoscimento dei fatti nel 1921.  L’anno seguente smise di disegnare completamente per la dita che ormai senza di lei perse la sua reputazione e la sua fama.

Les Modes (Paris) 1914 Robe du soir par Lucile

Lucile continuò a scrivere di moda collaborando con il London’s Daily Sketch e il Daily Express fino al 1930, nel 1932 pubblicò la sua autobiografia che diventò subito un best-seller. Si spense tre anni più tardi all’età di 71 anni, dopo una vita piena.

 

Ana Muraca

Sitografia:

http://www.gogmsite.net/the-belle-epoque-1890-1914/subalbum-lucy-duff-gordon-l/albumette-designed-by-lucil/1916-lucile-happiness-dress.html

http://www.gogmsite.net/the-belle-epoque-1890-1914/subalbum-lucy-duff-gordon-l/albumette-celebrities-weari/1914-dress-worn-by-irene-ca.html

http://blog.fitnyc.edu/materialmode/2013/01/31/lady-duff-gordon-ready-to-wear-catalogs-1916-1917/

http://www.encyclopedia-titanica.org/titanic-survivor/lady-duff-gordon.html

Wikipedia

Robe à Transformation

$
0
0

Nella seconda metà del 19 ° secolo, la rigorosa etichetta imponeva continui cambiamenti di abbigliamento durante il giorno, ad ogni attività della donna corrispondeva una mise: per il mattino, fare una passeggiata,  pranzare, rimanere a casa, per il pomeriggio,  la cena,  il teatro,  il ballo.  La rapidità e la quantità di volte che la donna doveva cambiarsi nella stessa giornata, portò a separare l’abito in due parti: la gonna e il corpetto e quindi alla prattica idea della “Robe à Transformation”.

L’idea era quella di agevolare le donne nella loro vita quotidiana piena di impegni  creando un abito che consentisse di tenere tutto il giorno la crinolina e la gonna, mentre il corpetto veniva cambiato diverse volte; al mattino era indossato quello con il collo alto e le maniche lunghe, mentre la sera era il turno di quello senza maniche e più scollato, ci poteva anche essere un terzo corpetto con una scollatura più ridotta adatta pera la cena o il teatro. Altri elementi potevano completare il tutto come un collo da applicare sul corpetto o una ghirlanda di fiori da applicare sulla gonna.

1d3b3469bb6e24bb2dc209849b8490ed 1865 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1865 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1865 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1893 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1893 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1893-1895 Robe à Transformation  Charles Fredrick Worth, 1893-1895  The Metropolitan Museum of Art 1893-1895 Robe à Transformation  Charles Fredrick Worth, 1893-1895  The Metropolitan Museum of Art Robe à Transformation      Charles Fredrick Worth, 1885      Musée Galliera de la Mode de la Ville de Paris Robe à Transformation      Charles Fredrick Worth, 1885      Musée Galliera de la Mode de la Ville de Paris 1875 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1875 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1872 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1872 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1862-1865 Robe à Transformation  Charles Fredrick Worth,  The Metropolitan Museum of Art 1862-1865 Robe à Transformation  Charles Fredrick Worth,  The Metropolitan Museum of Art 1865 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1855 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1865 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1865 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1861 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1861 Robe à Transformation   The Metropolitan Museum of Art 1859-1860 Robe à Transformation  The Metropolitan Museum of Art 1859-1860 Robe à Transformation  The Metropolitan Museum of Art 1858 Robe à Transormation The Metropolitan Museum of Art 1858 Robe à Transormation The Metropolitan Museum of Art 1855 Robe à Transformation  The Metropolitan Museum of Art 1855 Robe à Transformation  The Metropolitan Museum of Art

 

Ana Muraca

Sitografia:

http://blog.fidmmuseum.org/museum/2015/06/fundraising-friday-a-royal-transformation.html

http://retro938.rssing.com/chan-8869929/all_p9.html

https://www.tumblr.com/tagged/robe-a-la-transformation

https://fr.wikipedia.org/wiki/Mode_sous_le_Second_Empire

Una piccola curiosità giapponese: L’Inro

$
0
0

L’inro è una piccola scatola giapponese per contenere piccoli oggetti. Poiché l’abito tradizionale giapponese, il kimono, era privo di tasche, gli oggetti venivano spesso trasportati appesi all’obi, o fascia.

Nato intorno alla fine del XVI secolo, fu usato dagli uomini per portarsi dietro i sigilli personali e le medicine giacche il suo sistema di piccole scatole una dentro l’altra lo rendeva il contenitore perfetto per mantenere al fresco le medicine e al sicuro i sigilli.

V&A

L’inro è realizzato in pelle, avorio, osso, legno o carta ricoperta di lacca decorata, sono costituiti da più scomparti impilati uno sopra l’altro e sormontati da un coperchio. Gli scomparti sono tenuti insieme da un cordoncino di seta chiuso ad anello che passa attraverso una scanalatura su ogni lato e sotto la parte inferiore. Il cordone viene fatto passare dietro la cintura (obi) in modo che il inro pende liberamente dalla vita. Per evitare che l’inro scivoli attraverso l’obi, c’era una specie di levetta fissata all’estremità del cavo chiamata netsuke, la quale era spesso decorata.

Foto: http://desiredcreations.com

 

La realizzazione di un inro era un processo complesso e altamente qualificato, non solo goni scomparto doveva adattarsi perfettamente a quello successivo, ma anche le superficie erano meticolosamente decorate.

 

V&A

V&A

Nel XVIII secolo però divennero degli status symbol grazie alle preziosissime decorazioni e agli elevati costi di realizzazione, perdendo quasi completamente la loro funzione.

 

Ana Muraca

Sitografia:

http://japan-antiques.jp/story-sagemono.php

http://collections.vam.ac.uk/item/O121277/inro-unknown/

https://en.wikipedia.org/wiki/Inr%C5%8D

http://www.netsuke.com/

Carte de Visite, il biglietto da visita dell’800

$
0
0

Nella seconda metà dell’800 comparve la moda delle “carte de visite”, erano delle cartoline-ritratto destinate allo scambio d’immagini tra persone, una sorta di biglietto da visita fotografico. Tale invenzione è stata brevettata nel 1954 dal fotografo francese André Adolphe Eugène Disdéri, il suo metodo gli consentiva di ottenere otto diversi negativi su una sola lastra e quindi anche dieci ritratti uguali, riducendo notevolmente i costi delle fotografie e rendendole adatte a tutte le tasche.

Queste fotografie stampate su carta all’albume molto sottile, erano poi montate su una scheda più spessa; la dimensione standard della foto era di 5,4 cm x 8,9 cm, mentre la scheda era di 6,4 cm x 10 cm.

 

A renderle una vera e propria moda fu l’imperatore Napoleone III quando nel 1859 chiese allo stesso Desidéri di realizzare una carte de visite sue e delle truppe in partenza per la campagna d’Italia; dopo di che, molte altre persone, incluse tante celebrità comissionarono le proprie carte de visite.

Regina Vittoria e il marito Albert

Cleo de Merode

 Le carte de visite furono anche uno strumento per affermare il proprio successo, la propria ricchezza, come promozione della propria attività, ma anche semplicemente per potersi scambiare il proprio ritratto con amici, familiari e conoscenti; questo diede il via alle raccolte che venivano messe in appositi album fotografici con carte de visite non solo di persone conosciute, ma anche di persone famose.

Foto dal sito: http://heritageetal.blogspot.it

Ana Muraca

 

Sitografia:

http://manchesterartgallery.org/collections/search/collection/?id=2008.40.5.10024

http://www.photo90.it/Cartes%20de%20Visite.htm

http://storiadellafotografia.blogspot.it/2013/01/carte-de-visite.html

https://en.wikipedia.org/wiki/Carte_de_visite

L’abito da sposa della principessa Charlotte -1816

$
0
0

Nel nostro percorso lungo la storia dell’abito da sposa, abbiamo visto come l’abito bianco della regina Vittoria aveva fatto cambiare direzione imponendo non solo il colore, ma anche le decorazioni con i fiori di arancio e una relativa semplicità; ora però sarebbe più che lecito chiedersi come erano gli abiti da sposa prima del suo? Come si sposavano le altre regine e principesse? Un ottimo esempio è quello dell’abito da sposa della principessa Charlotte.

La principessa Charlotte Augusta era l’unica figlia del futuro re d’Inghilterra Giorgio IV e la moglie Caroline Brunswick; nonostante suo padre aveva insistito per farla sposare il principe di Orange erede al trono della Norveggia, lei aveva scelto il principe Leopoldo che sarebbe diventato il re del Belgio. Le nozze si celebrarono il 2 maggio del 1816 alla cappella reale di St. James Palace.  La coppia visse un anno e mezzo di grande felicità, Charlotte presto rimasse in cinta, ma sfortunatamente mori dando alla luce il suo primo figlio nato morto.

Principessa Charlotte e il principe Leopold il giorno delle nozze

Raccontano le riviste e i giornali dell’epoca che il meraviglioso abito da lei indossato per il suo matrimonio era qualcosa di unico.  Realizzato dalla signora Triaud di Bolton Street, si caratterizzava dalla linea impero e dal colore argento; infatti la stoffa combinava l’effetto di un abito a rete con i ricami di fiori e conchiglie in argento sull’orlo, la scollatura e le maniche, il pizzo di Bruxelles e una sottoveste bianca e argento, in modo da riflettere la luce.  Immaginate lo spettacolo di Charlotte che cammina verso l’altare illuminato da tante candele accese la cui luce si riflette nel suo abito e nei diamanti dei gioielli che porta.

L’abito aveva richiesto più di 500 ore di lavoro manuale in ultrafini fili di seta mono filamento, quasi invisibile a occhio nudo con un costo di più di 10.000 sterline equivalenti a circa 800.000 sterline oggi.

Testimonianza dell’epoca:

La Belle Assemblee 1 Giugno 1816

silver lama on net, over a silver tissue slip, embroidered at the bottom with silver lama in shells and flowers. Body and sleeves to correspond, elegantly trimmed with point Brussels lace. The manteau was of silver tissue lined with white satin, with a border of embroidery to answer that on the dress, and fastened in front with a splendid ornament.

Memoirs of Her late Royal Highness Charlotte Augusta, Princess of Wales di Robert Hiush

The wedding dress was a slip of white and silver stlas, worn under a dress of transparent silk net, elegantly embroidered in silver lama, with a border to correspond, tastefully worked in bunches of flowers, to form festoons round the bottom; the sleeves and neck trimmed with a most rich suit of brussels point lace.  The mantua was two yards and a half long, made of rich silver and white atlas, trimmed the same as the dress to correspond.  After the ceremony, her Royal Highness was to put on a dress of very rich white silk, trimmed with broad satin trimming at the bottom, at the top of wich were two rows of broad Brussels point lace. The sleeves of this dress were short and full, intermixed with point lace, the neck trimmed with point to match…

The jewelry was of the most magnificent description, consisting of a beautiful wreath for the head, composed of rose-buds and leaves, of the most superb brilliants; a necklace of a single row of large brilliants of the finest lustre, with large drop ear-rings to correspond, a brilliant cestus of grat value.  Her Royal Highness’s had also a pearl necklace, and bracelets with diamond clasps, equally splendid. ..

Oggi, questo splendido abito, che tra l’altro è il più antico abito dei reali inglesi arrivato fino a noi, è conservato al Kensington Palace.

Ana Muraca

Sitografia:

https://janeaustensworld.wordpress.com/2011/04/25/in-honor-of-the-royal-wedding-princess-charlottes-wedding-dress-1816/

http://orderofsplendor.blogspot.it/2013/02/wedding-wednesday-princess-charlottes.html

http://vintage-frills.com/2013/01/10/princess-charlottes-wedding-dress/

http://www.queenvictoria.victoriana.com/RoyalWeddings/Royal_Wedding_Dress.html

https://en.wikipedia.org/wiki/Princess_Charlotte_of_Wales

 

 

 

La donna piu bella del mondo durante la Belle Epoque era italiana

$
0
0

Oggi vi presentiamo un’icona italiana della Belle Epoque, è stata definita la donna più bella del mondo, acclamata non solo per la sua bellezza ma anche per la sua voce, ecco a voi Lina Cavalieri.

Natalina Cavalieri, in arte Lina, nasce a Viterbo, il 25 dicembre del 1874, da qui il suo nome. Prima di quattro figli , lei e la sua famiglia per ragioni economiche furono costretti a lasciare Viterbo per Roma.  Lina fin da piccola mostrò un carattere coraggioso, indipendente e fiero, cercò di aiutare portando qualche soldo a casa lavorando come apprendista sarta, ma non era proprio portata, successivamente lavorò vendendo fiori per strada, ma per una ragazzina, era un impiego al quanto pericoloso; infine andò a lavorare piegando giornali; nel frattempo, Lina iniziò a cantare qua e là, e un suo vicino di casa che dava lezioni di canto, notò le sue doti e si offri di darle lezioni gratuitamente.

          suag15wjes

All’epoca, andavano di moda i Cafè chantant, e fu proprio lì dove Lina iniziò la sua carriera; il suo primo contratto l’ottenne in un teatro a piazza Navona, ma la sua ferrea volontà di uscire dalla povertà e il suo amore per il canto, la portarono velocemente ad essere una delle più richieste intrattenitrici della capitale, cantando in teatri come l’Orfeo e il Diocleziano.

 vintage_lina_cavalieri_003_by_mementomori_stock-d5q5x0y

La sua fama crescente era arrivata a Napoli, dove venne chiamata a cantare nel Salone Margherita e successivamente nei più importanti teatri della città.  Poco tempo dopo, fecce il salto definitivo quando firmò il contratto per cantare a Parigi, nel Folies Bérgères; il successo fu tale da farla diventare una star internazionale a soli ventun anni; da lì, la sua carriera andò sempre in ascesa cantando a Londra, Berlino e Russia. All’improvviso la povera ragazzina sbocciò come il più bel fiore, il suo nome divenne famoso come quello di Loie Fuller, Lyane de Pougy, Carolina Otero e Cléo de Mérode.

Schermata 2015-11-17 alle 10.54.53

Lina Cavalieri insieme a  Mérode, Otero e altre artiste del varietà, dal libro “Lina Cavalieri: The Life of Opera’s Greatest Beauty, 1874-1944″

Ciò che la rese famosa non fu soltanto la sua voce ma soprattutto la sua bellezza, carisma e portamento.  Lei incarnava l’ideale di bellezza dell’epoca ma con i tratti mediterranei, la sua figura elegante e il suo bel viso dagli occhi grandi e oscuri la rendevano speciale. E stata definita la donna più bella del mondo, la sua foto compariva in cartoline e riviste di tutto il mondo diventando un simbolo della Belle Epoque.

1

Una volta arrivata al culmine del successo e della popolarità, decise di dedicarsi alla lirica e anche se le sue doti come soprano non erano niente di sensazionale, girò il mondo cantando insieme a figure di grande rilievo come a Enrico Caruso e Francesco Tamagno.

Intorno al 1914 si diede alla carriera cinematografica dove interpretò sette film ma senza lo stesso successo, così nel 1920 diede l’addio definitivo alle scene.

tumblr_ntenhbeIfc1rlm2lro1_1280

 

La sua vita sentimentale fu molto movimentata, si dice che più di 840 uomini le proposero matrimonio, ma solo in cinque riuscirono a portarla all’altare, tra di loro, un granduca, un re, e un multi miliardario americano, ma ogni unione durava poco tempo per il suoi rifiuti di abbandonare il palcoscenico.

Portrait of Lina Cavalieri

Lina Cavalieri, ritratto di Giovanni Boldini

Il suo viso però ha continuato dopo la sua morte avvenuta a Firenze nel 1944, ad affascinare il grande pubblico, soprattutto dopo di che il designer Piero Fornasetti scoprii una sua vecchia foto in rivista e la prendesse come musa per le sue opere.

 c2d3866632f64e9efda2a6fbe64b3e3d

Ana Muraca

 

Bibliografia:

Paul Fryer,Olga Usova “Lina Cavalieri: The Life of Opera’s Greatest Beauty, 1874-1944″

Sitografia:

http://curiositadifirenze.blogspot.it/2013/04/lina-cavalieri-la-piu-bella-del-mondo-e.html

 

http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/lina-cavalieri/

 

http://www.sterlizie.com/art-design/chi-era-lina-cavalieri-la-musa-di-piero-fornasetti/

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Lina_Cavalieri

 

 


Matrimoni e fiori d’arancio

$
0
0

Nel linguaggio dei fiori, i fiori d’arancio hanno un posto speciale, è tradizione che la sposa, il giorno delle sue nozze porti con se un ramoscello di questo fiore come buon auspicio.

Sembra che questa tradizione risalga all’antica Cina dove tale fiore è simbolo di castità, purezza e innocenza; inoltre l’albero di arancia è molto prolifico ed è un sempre verde quindi è anche considerato simbolo di fertilità.  Durante le crociate, tale consuetudine approdo per prima in Spagna e si diffuse lentamente in Francia e finalmente in Inghilterra all’inizio dell’800.

Plumeria2-407x387

Fu pero un’altra volta la regina Vittoria a rendere popolare tale consuetudine, quando decise d’indossare il fiore non solo come coroncina sulla testa, ma anche applicato su tutto l’abito, avvolgendosi nel loro profumo; questa scelta però non fu fortuita; Albert, suo futuro marito, fin dal fidanzamento, era solito regalarle dei gioielli a forma di fiori d’arancio, infatti, anche dopo il matrimonio avvenuto nel 1840, continuò a farlo.  Il fiore d’arancio era il loro fiore, divenuto poi l’emblema della sposa vittoriana e successivamente simbolo del matrimonio stesso.

 Queen-Victoria

255517-1330621164

Parure di fiori d’arancio realizzati in oro e porcellana che il principe Albert regalò alla regina Vittoria il giorno del loro anniversario nel 1846, la regina la indossò ad ogni anniversario fino alla morte del principe nel 1861.

Quando i fiori d’arancio non erano disponibili, per esempio nei climi più rigidi o quando non era il periodo, le spose non rinunciavano alla tradizione, indossavano lo stesso i fiori d’arancio ma realizzati in cera, queste imitazioni divennero una vera e propria moda che arrivò fino agli anni cinquanta del novecento.

1976.391.2d_Tp

Corona di fiori d’arancio appartenente ad un abito realizzato da Worth nel 1905 e oggi custodito al Metropolitan Museum

Ana Muraca

 

https://www.royalcollection.org.uk/collection/65305/headdress-from-the-orange-blossom-parure

 

http://www.victoriana.com/bridal/powell/blossoms.htm

 

http://www.aweddingtradition.com/orange_blossom_info.htm

 

http://www.avictorian.com/wedding_lore.html

La moda della Belle Epoque attraverso la pittura di Vittorio Matteo Corcos

$
0
0

 

Vittorio Maria Corcos, pittore livornese (1859 – 1933) famoso per i suoi ritratti femminili e scene di vita quotidiana molto realistici, dai colori brillanti e allegri; la sua pittura raffinata e meticolosa, lo portò a essere uno dei pittori italiani più famosi della Belle Epoque.

Contessa Carolina Sommaruga Matteini 1901

Contessa Carolina Sommaruga Matteini 1901

Yole Biaggini Moschini, 1901

Yole Biaggini Moschini, 1901

Lina Cavalieri 1903

Lina Cavalieri 1903

Yole Biaggini Moschini, 1904

Yole Biaggini Moschini, 1904

Contessa Nerina Pisani Volpi di Misurata, 1906

Contessa Nerina Pisani Volpi di Misurata, 1906.

Ritratto di Anita Vollert de’ Ghislanzoni e Maddalena Parodi Vollert

Ritratto di Anita Vollert de’ Ghislanzoni e Maddalena Parodi Vollert

Marie José, Principessa di Piemonte, 1931

Marie José, Principessa di Piemonte, 1931

 

Ana Muraca

 

 

 

Raimundo de Madrazo y Garreta

$
0
0

Oggi ci occupiamo di un altro artista della Belle Epoque, Raimundo de Madrazo y Garreta (1841-1929), pittore spagnolo, appartenente alla terza generazione di una famiglia di pittori, era anche lo zio di Mariano Fortuny y Madrazo.

Famoso soprattutto a Parigi e negli Stati Uniti; le sue opere, per lo più ritratti,  erano caratterizzate dall’attenzione per i particolari, l’eleganza dell’esecuzione e la tavolozza delicata. Il suo talento, lo portò a essere uno dei pittori più richiesti durante la Belle Epoque nella società borghese.

aline-mason-raimundo-de-madrazo-coleccic3b3n-privada

Ritratto di Aline Masson

Madrazo_y_Garreta_Raimundo_de_LADY_WITH_A_MASK

Model making mischief, federico de madrazo

Travesuras de la modelo

preparing for the costume ball Garreta_Raimundo_De_Madrazo_Y_Preparing_For_The_Costume_Ball

 

Raimundo-de-Madrazo-y-Garreta-xx-An-Evening-Out-xx-Private-collection

Raimundo-de-Madrazo-y-Garreta-xx-La-Toilette-xx-Private-collection

La toilette

Raimundo de Madrazo y Garreta (1841 -1920) by Catherine La Rose

 

Il Toile de Jouy

$
0
0

In un altro articolo abbiamo parlato del Chintz e della sua storia, oggi vi propongo un breve articolo su una tipologia di chintz creato in Europa con un motivo caratteristico: il Toile de Jouy.

All’inizio del settecento, le stoffe favorite erano quelle importate dall’india e le loro imitazioni, anche se con i divieti imposti, il loro utilizzo era diminuito, ma fu a metà del secolo che arrivò un nuovo motivo decorativo, si trattava di stampe realizzate in un solo colore su uno sfondo chiaro utilizzando delle lastre di rame.  I motivi ornamentali erano paesaggi, pastorali, classici, cineserie, figure in gruppo o singolarmente.  La freschezza e il prezzo relativamente basso la ressero ideale per decorare le camere da letto e i salotti dove perfino la carta da parati era stampata con lo stesso motivo.

Ideato dal tedesco Christophe-Philippe Oberkampf, fondatore della manifattura di cotone stampato a Jouy-en-Josas.  Proveniente da una famiglia di tintori, già nel 1758 Oberkampf trasferisce a Parigi all’età di venti anni e dopo un solo anno di lavoro, si mette in società con il suo datore di lavoro, insieme aprono nel 1760 una fabbrica per produrre cottone stampato.

La fabbrica a Jouy nel 1807, di J.-B. Huet, Fonte: Le musée de la Toile de Jouy

Nei primi dieci anni di attività, la dita continuò a stampare il cottone tramite i blocchi di legno intagliati, ma a partire dal 1770, Oberkampf introdusse la tecnica delle calcografia che è un sistema di stampa a incisione su delle lastre di rame, che migliorava la qualità delle linee, permettendo tratti molto più sottili rispetto a quelle sui blocchi di legno e consentiva anche l’introduzione degli effetti di luce e ombra e la realizzazione di disegni molto più grandi aprendo la strada a una varietà ancora più grande di motivi decorativi tratti da romanzi, opere, leggende,  o storie attuali dell’epoca come la presa della Bastiglia o il primo viaggio in mongolfiera.  Questi disegni monocromi divennero il punto di riferimento del ‘Toile de Jouy’ fino ai nostri giorni.

“Le ballon de gonesse”, 1784

La fabbrica di Oberkampf ebbe una gran fortuna e il favore di personaggi come la stessa Maria Antonietta che presse in simpatia Oberkampf forse per il fatto di essere come lui, una straniera; lei, regina di stile, le commissionò la decorazione del Trianon e ispeziono personalmente il suo lavoro rimanendo talmente soddisfatta e affascinata dal toyle de jouy da farsi fare un abito con questo tessuto.

Abito in Toile de jouy, 1785-95-national-trust-collections

Nel 1783, la fabbrica ha ottenuto il titolo di manifattura reale, e nello stesso anno, Oberkampf impiega un pittore parigino, Jean-Baptiste Huet, uomo di grande talento che disegnò diversi motivi decorativi legati agli eventi più importanti dell’epoca come questo sui monumenti dell’Egitto suscitato dall’interesse verso le recenti esplorazioni di Napoleone.  Alternando scene del porto di Alessandria con la Maison Consulaire de France, l’obelisco di Cleopatra con le rovine della biblioteca, l’obelisco de la Matharée con le acque del Nilo, e le interpretazioni di altri templi e sculture sono intervallati da figure e cammelli, tutto disperso contro un terreno punteggiato da fiori di loto stilizzati.

“Les monuments d’Égypte”, 1808, Jean-Baptiste Huet, al Metropolitan Museum

Un altro noto motivo decorativo realizzato da Huet è “Les travaux de la manufacture”, commissionato da Oberkampf per celebrare il titolo di Manifattura Reale. Ci sono un totale di quattordici diverse scene di attività coinvolte nel processo di stampa del cottone come quella che raffigura lo stesso Huet insieme a una sua collega, che realizzano degli schizzi all’aperto, tintori che mescolano i colori, altre persone che lavorano con i blocchi di stampa o quella che completa il disegno con la stoffa messa ad asciugarsi.

“Les travaux de la manufacture”, 1783, Jean-Baptiste Huet, fonte: http://thedesigntabloid.com

Nel 1797 il cilindro di rame rimpiazzo la lastra aumentando notabilmente la produttività e il successo della dita e di Oberkampf che nel 1806 ricevette da Napoleone Bonaparte la Legione d’Onore. È interessante notare che in questo periodo, Jouy spediva i suoi prodotti a Londra, Amsterdam, Anversa, Bale, Berlino, Bruxelles, Costantinopoli, Copenhagen, Francoforte, Amburgo, Lisbona, Lussemburgo, Madrid, Salonicco, Trieste e Ile-de-France.

“Leda e il cigno” 1798 Jean-Baptiste Huet, al Metropolitan Museum

Nel 1815 Emile Oberkampf ereditò la fabbrica alla morte del padre, per poi venderla nel 1822 a Juste Barbet  che cambio il nome in ‘Barbet Jouy’, ma non ricupero mai il successo di prima,  e dovete chiudere definitivamente i battenti nel 1843 non potendo compettere con la concorrenza commerciale.

Oggi il termine “Toille de jouy” non rimanda esclusivamente alle stoffe di cottone prodotte nella fabbrica di Jouy ma anche alle stoffe con disegni monocromatici simili realizzati da altre fabbriche come quelle a Nantes, Orange, Bordeaux, Bourges, Rouen e Alsazia.

Ana Muraca

 

Bibliografia:

“The Chintz book” Mac Iver Percival, Frederick A. Stokes Company Publishers, NY.

http://www.designsponge.com/2010/03/past-present-toile-de-jouy-modern-toile.html

http://www.toilesdejouydecoration.fr/uk/historique.htm

http://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/X.404

http://collections.vam.ac.uk/item/O259307/the-activities-of-the-farm-furnishing-fabric-huet-jean-baptiste/

 

Buon Natale!!!!

$
0
0
Tanti auguri di buon natale a tutti i nostri carissimi lettori, grazie per il vostro sostegno, vi aspettiamo per un...
Read More »

Lucile e la moda dei primi del 900

$
0
0

Oggi parliamo di un’altra star dimenticata, fu una delle più celebri e famose couturier inglesi d’inizio del novecento, creò abiti da sogno per la nobiltà, l’alta società americana, il cinema e il teatro; sopravvisse al naufragio del Titanic, fu anche giornalista, opinionista e prestò la sua immagine per promuovere articoli come scarpe e profumi; vi presento Lucy Christiana Duff Gordon(1863-1935), meglio conosciuta come Lady Duff Gordon, in arte Lucile.

Dopo un difficile divorzio che la lasciò senza un soldo, decise di darsi alla sartoria, ma la sua creatività e le sue doti intraprendenti la condussero ad aprire la sua maison a Londra nel 1894 con un discreto successo.  Sua sorella, la celebre scrittrice Elinor Glyn, la introdusse nel mondo dello spettacolo, infatti, sarà la couturier preferita di celebrità quali Irene Castle, Lilly Elsie e Gertie Millar; fu però, il suo secondo matrimonio a portarli i maggiori vantaggi; nel 1900,  Lucile sposò un facoltoso proprietario terriero, sir Cosmo Duff-Gordon che la fecce conoscere nell’alta società e l’aiutò ad aprire diverse filiali: a New York (1910), Parigi (1911) e a Chicago (1915).

 

1905 Lucile al V&A

Conosciuta per i suoi abiti da te, la sua biancheria intima, ma soprattutto per i suoi abiti romantici dai colori tenui, spesso accompagnati da decorazioni di fiori in seta realizzati a mano; il suo talento pero, andava ben al di là dalla semplice creazione di moda, egli fu una grande promotrice di se stessa, capace di provocare e innovare, basta pensare che è stata una delle prime, se non la prima a esibire le sue creazioni avvalendosi di una passerella; in realtà si trattava di un vero e proprio spettacolo con musica, luci soffuse, un palco dove sfilavano le “mannequins”, le tende, un programma e  regali per i presenti.  Le sue “Creazioni Emozionali”, ovvero abiti con nomi particolarmente suggestivi, inspirati alla letteratura, la storia, ma anche ai sentimenti e alla personalità dei suoi clienti come: “climax”, “il giardino dell’amore” e “felicità fecero furore all’epoca.

 

Lucile 1916 Metropolitan Museum

1916 Lucile, Metropolitan Museum

1915 Lucile design “Youth” designed for and worn by dancer Florence Walton.

Nel 1913 partecipò nel cortometraggio “The American Princess”, realizzato da Marshall Neilan; non è chiaro se realizzò tutti i costumi per il cast; certo è però che si fecce una bella pubblicità grazie all’apparizione di diversi suoi abiti della collezione autunno 1912 in una sorta di show room, che la protagonista del film Alice Joyce nei panni della principessa, visita per rifarsi il guardaroba. Questa fu una delle prime volte in cui un creatore di moda collaborò con il cinema ricevendo i rispettivi crediti. Da questo momento in poi, Lucile disegnerà i costumi per tante altre produzioni cinematografiche, ma anche teatrali incluse numerose edizioni delle Ziegfeld Follies a Broadway.

 

Lily Elsie in “The Merry Widow”, costume designed by Lucile, 1909

Lucile fu abile anche nella promozione delle sue creazioni tramite la stampa, scriveva mensilmente una rubrica per Harper Bazaar e Good Housekeeping (1912-1922), la sua pubblicità è apparsa su Vogue, Femina, Les Modes, L’art et la Mode e altre importanti riviste di moda.  Realizzò diversi contributi per riviste come Vanity Fair, Dress, the The Illustrated London News, The London Magazine, Pearson’s Magazine e Munsey’s.

 

Abito da ballo 1914 al Metropolitan Museum

Il suo successo iniziò a diminuire dopo che fu accusata di non essere più lei a disegnare tutti i suoi abiti, lo scandalo finì con il pubblico riconoscimento dei fatti nel 1921.  L’anno seguente smise di disegnare completamente per la dita che ormai senza di lei perse la sua reputazione e la sua fama.

Les Modes (Paris) 1914 Robe du soir par Lucile

Lucile continuò a scrivere di moda collaborando con il London’s Daily Sketch e il Daily Express fino al 1930, nel 1932 pubblicò la sua autobiografia che diventò subito un best-seller. Si spense tre anni più tardi all’età di 71 anni, dopo una vita piena.

 

Ana Muraca

Sitografia:

http://www.gogmsite.net/the-belle-epoque-1890-1914/subalbum-lucy-duff-gordon-l/albumette-designed-by-lucil/1916-lucile-happiness-dress.html

http://www.gogmsite.net/the-belle-epoque-1890-1914/subalbum-lucy-duff-gordon-l/albumette-celebrities-weari/1914-dress-worn-by-irene-ca.html

http://blog.fitnyc.edu/materialmode/2013/01/31/lady-duff-gordon-ready-to-wear-catalogs-1916-1917/

http://www.encyclopedia-titanica.org/titanic-survivor/lady-duff-gordon.html

Wikipedia

Fancy dress e i balli in costume

$
0
0

I balli in costume nacquero nel XVIII secolo a Londra e a Parigi; inizialmente, la gente si riuniva in spazi pubblici a festeggiare e a ballare indossando un costume, pian piano, tali eventi divennero sempre più strutturati, si tenevano in spazi chiusi e ci voleva un invito per entrare; nel frattempo, anche la concezione del costume cambiò, divenendo un elemento non solo per esibire la creatività, ma anche i propri gusti e ambizioni e soprattutto il potere economico.

 1865 (5 Febbraio) ballo in costume al palazzo della principessa Helena Kochubey in onore dell'imperatore Alexander II di Mihaly Zichy (State Hermitage Museum - St. Petersburg Russia)


1865 (5 Febbraio) ballo in costume al palazzo della principessa Helena Kochubey in onore dell’imperatore Alexander II di Mihaly Zichy (State Hermitage Museum – St. Petersburg Russia)

In America, dove non esisteva la nobiltà, dove le famiglie non potevano contare con illustri lignaggi e dove i nuovi ricchi cercavano di affermare il loro ruolo nella società, questi balli in costume divennero indispensabili.  Uno dei balli più chiacchierati fu quello dei Vanderbilt del 1883, realizzato nella loro nuova residenza a New York; con più di 1200 invitati e con una spesa complessiva di 250.000 dollari, che all’epoca era una vera e propria fortuna.

 

Questa è la famosa duchessa di Marlborough Consuelo Vanderbilt, nei panni della moglie dell'ambasciatore francese alla corte di Caterina la Grande di Russia.

Questa è la famosa duchessa di Marlborough Consuelo Vanderbilt, nei panni della moglie dell’ambasciatore francese alla corte di Caterina la Grande di Russia. (immagine via Pinterest)

Molti dei costumi utilizzati emulavano la nobiltà Francese e Inglese fin nei minimi dettagli, spesso si cercavano accessori come gioielli e armi; per completare il costume che doveva fare spiccare chi lo indossava.  Assistere a uno di questi balli dove era riunita la “creme de creme” della società, significava instaurare nuovi rapporti sociali e commerciali, poter essere conosciuto, poter salire qualche posizione nella scala sociale grazie magari a un matrimonio vantaggioso, ecc.

c940f55d41401b7ae7e5ec152b803bc5


Jean-Philippe Worth in costume di Rajah indiano, dal libro “A Century of Fashion” di Jean-Philippe Worth, 1928.

Durante il romanticismo, i costumi si inspirarono ai luoghi esotici, figure letterarie e alla natura.  Ma con il passare del tempo, arrivarono nuove suggestioni come la scienza e la tecnologia con costumi che si basavano in concetti come la fotografia, l’elettricità, e persino il telegrafo. Anche i fatti dell’epoca furono rappresentati nei costumi, un esempio è  quando il Giappone finalmente aprì le sue porte allo scambio commerciale e culturale con l’occidente, comparvero allora molti costumi realizzati con dei kimono.

 

Ardern Holt’s New Woman costume, 1895

Ardern Holt’s New Woman costume, 1895

Costume di ape (dal sito messynessychic.com)

Costume di ape (dal sito messynessychic.com)

 

Costume "Electric light" Maison Worth, indossato da Alice Vanderbilt nel 1883

Costume “Electric light” Maison Worth, indossato da Alice Vanderbilt nel 1883

Come fonti per ricercare il proprio costume c’erano riviste, dipinti, libri e cataloghi come quello di Ardern Holt, che offrì nelle sue sei edizioni (dal 1879-1895) dozzine di dettagliate descrizioni e illustrazioni di costumi storici.

Incroyable fancy dress, 1887 England, Fancy Dresses Described by Ardern Holt

Incroyable fancy dress, 1887 England, Fancy Dresses Described by Ardern Holt

Incroyable fancy dress, 1887 England, Fancy Dresses Described by Ardern Holt

Incroyable fancy dress, 1887 England, Fancy Dresses Described by Ardern Holt

I costumi seguivano la forma del proprio tempo, così, se la moda dettava l’uso del corsetto, anche il costume doveva averne uno, lo stesso valeva per la scollatura; anche se a volte qualche concessione veniva fatta riguardo alla lunghezza della gonna.

 

Costumi del 1890, Francia, La Mode Illustree: Musica, Regina Egiziana e ???

Costumi del 1890, Francia, La Mode Illustree: Musica, Regina Egiziana e ???

Mentre nell’800 la moda era quella di conservare una fotografia indossando il proprio costume, nel settecento in mancanza di questa possibilità, la gente che poteva permetterselo si faceva fare un ritratto; è il caso del dipinto “Lady in Turkish Fancy Dress”, 1790 ca, di Jean-Baptiste Greuze .

 Portrait of a Lady in Costume turco, circa 1790, ritratto di Jean-Baptiste Greuze


Portrait of a Lady in Costume turco, circa 1790, ritratto di Jean-Baptiste Greuze

 

Questi balli si continuarono a tenere nel secolo successivo e i costumi furono sempre più disinibiti e creativi, influenzati dai Balletti Russi e dagli spettacoli di varietà come il Folies Bergere e il Moulin Rouge; un esempio sono i costumi indossati dalla Marchesa Casati, disegnati da Poiret e da Bakst.

Marchesa Casati in costume "Regina della notte"

Marchesa Casati in costume “Regina della notte”

Marchesa Casati in costume da Fontana, anni 20

Marchesa Casati in costume da Fontana, anni 20

Ancora oggi i balli in costume sono popolari, anche se hanno una valenza molto diversa: ora, lo scopo principale è il divertimento, la trasgressione e non più un riconoscimento sociale o la volontà di mostrare il proprio potere o la propria condizione; ma una cosa non è cambiata: il gusto di indossare un costume per poter essere se stessi almeno una volta all’anno.

Ana Muraca

Bibliografia e sitografia:

- Lou Taylor, “Establishing Dress History (Studies in Design)”

- Torry Castle, “Masquerade and Civilization, The Carnivalesque in Eighteenth-Century English Culture and Fiction”

- AnneLise Wilhelmsen., “The History of Costume Balls and Fancy Dress”

- Il sito del Metropolitan Museum

- www.theguardian.com

 

 

 


Va dove ti porta il cuore …

$
0
0

Arriva San Valentino e noi, ci occupiamo della storia di un simbolo, quello del cuore; spesso pensiamo che sia sempre stato il simbolo dell’amore, ma non è così, seguiteci e scopriremo come lo è diventato.

La raffigurazione del cuore è antica quasi quanto l’essere umano, già i cacciatori di Cro-magnon, prima l’ultima glaciazione, lo utilizzavano per i loro pittogrammi, anche se noi, probabilmente non sapremo mai il significato che le conferivano; nell’antichità, la forma del cuore era la semplice raffigurazione del fogliame come le foglie di fico, d’edera e di giglio d’acqua; fu solo alla fine del Medioevo che la forma del cuore fu associata all’amore.

Sacré-Coeur_Köln

In occidente, il cuore fu emblema dell’iconografia cristiana; il Sacro Cuore, che era associato alla sofferenza, divento l’immagine di Cristo, del suo amore e della sua carità; si può ritrovare in diverse opere dell’epoca come nell’allegoria della Carità nella Cappella degli Scrovegni di Giotto nel 1305, o nella porta sud del battistero di Firenze, realizzata da Andrea Pisano nel 1337; in questo periodo, la rappresentazione del cuore non era come la conosciamo oggi, ma aveva delle connotazioni anatomiche e presentava una leggera punta verso l’alto.  Successivamente, L’icona del cuore diventa un simbolo importante per l’araldica medievale, dove viene utilizzato per indicare la sincerità e chiarezza. Nell’arte e nella letteratura cavalleresca, il cuore è sempre più visto come sinonimo di Santo Graal.

charity, giotto, capella scrovegni, wikiart

Carita, Giotto, Capella degli Scrovegni, Padova

Nel quattrocento, si tendeva a raffigurare il cuore con una piccola punta nella parte inferiore che man mano iniziò a essere sempre più pronunciata; ma fu solo alla fine del quattrocento che compare la forma definitiva del cuore, riscontrabile nelle carte da gioco.

Carta da gioco 1490-1500 al Victorian and Albert Museum

Carta da gioco 1490-1500 al Victorian and Albert Museum

Andreas Benedictus Göbl, ca. 1765

Carta da gioco, Andreas Benedictus Göbl, ca. 1765, immagine dal sito: http://search.getty.edu

Quando venne proclamato un giorno dedicato a San Valentino nel XVII secolo, fu naturale scegliere il cuore (segno dell’amore di Cristo) come il suo simbolo e grazie a questo il cuore iniziò a essere associato anche con l’amore romantico e sentimentale e all’amicizia.

964063f4f043ee3b41ce7549d8603eb9

Biglietto di San Valentino del 1790 British Postal Museum and Archive,

Carta di San Valentino del 1850–99 al Met museum

Carta di San Valentino del 1850–99 al Met museum

Per quanto riguarda la moda, essendo un simbolo sacro, non fu spesso utilizzato nell’abbigliamento; durante il medioevo, lo si riscontra dipinto sul petto o ricamato sugli abiti.  La sua popolarità inizia a crescere quando le vengono attribuiti nuovi significati perdendo un po’della sua sacralità: è così che durante il XVIII il cuore si ritrova soprattutto in stoffe e gioielli, ma fu durante questo periodo che inizio a  guadagnare in popolarità e a essere diffuso anche in decorazioni, accessori, carte da parati, ecc.  Nel novecento invece divenne un simbolo universale commercializzato e sfruttato in tutte le sue varianti.

2006AF7081_jpg_ds

Fine VIII, inizio IX secolo in Cina, stoffa realizzata probabilmente a fini decorativi.
V&A

1600-1650 al Victorian

1600 – 1650, Questo anello di nozze intricato è decorato con simboli di amore e citazioni dalla cerimonia di matrimonio. Il motivo centrale proviene dalle “mani in fede” italiane, che era un simbolo popolare di amore. I tre cerchi comunicanti, ognuna con una mano o un cuore allegato, si incastrano perfettamente. Le iscrizioni possono essere lette solo quando i cerchi dell’anello si tirano fuori.
V&A

 

98ed6661eb4db71c754765e8f3d6c676

Fibbie per le scarpe della fine del XVIII secolo
Augusta Auctions

1760ca, Abito di seta operata rosa con motivi di foglie a forma di cuore. Dal libro: "La Moda" Dalla collezione del Kyoto Costume Institute.

1760ca, Abito di seta operata rosa con motivi di foglie a forma di cuore.
Dal libro: “La Moda” Dalla collezione del Kyoto Costume Institute.

Spilla di diamanti a forma di cuore, XVIII secolo. Dal sito: bonhams.com

Spilla di diamanti a forma di cuore, XVIII secolo.
Dal sito: bonhams.com

 

1848 al Victorian

Carta da parati del 1948 al V&A

 

Ana Muraca

Fonti:

- Susan Meller, Joost Elffers, “Textile Designs”, Abrams, New York, 1991, Cina

- V&A Museum

- Metropolitan Museum

- Wikipedia

http://www.pbs.org/wgbh/amex/partners/breakthroughs/b_history.html

http://www.shutterstock.com/blog/2013/02/heart-iconic-symbol-love/

 http://www.longhornlifeonline.com/features/2014/02/heart-symbol-history

 

 

 

 

 

 

I costumi del film: The Danish Girl

$
0
0

Più o meno un anno fa, girava la pubblicità di questo film su facebook, incuriosita, ho visto il trailer e mene sono innamorata, ho atteso con impazienza l’uscita nelle sale e a dire il vero, anche con un po’ di timore di essere delusa. Il giorno è arrivato e sono andata a vederlo e devo dire che è uno dei pochissimi film, riesce a darti di più di quanto ti aspettavi.

Il film, ambientato negli anni venti, è un adattamento del romanzo di David Ebershoff, “The Danish girl”, che racconta la storia vera del pittore danese Einar Wegener  uno dei primi transessuali della storia e il primo a sottoporsi all’intervento chirurgico di riassegnazione sessuale.

Il vero Einar Wegner e Lili Elbe

Un giorno Gerda, la moglie di Einar, anche lei pittrice, gli chiese di sostituire la sua modella e di vestirsi come una donna per poter finire il dipinto che stava realizzando; Einar, all’inizio titubante, si lascia trascinare dalla morbidezza delle calze, dal luccichio delle scarpe e dalla bellezza dell’abito svegliando in lui qualcosa che aveva sempre represso. Da questo gioco innocente nasce Lili Elbe, la donna che c’era sempre stata dentro di lui ma che non era mai riuscita a farsi sentire abbastanza per uscire allo scoperto.

Schermata 2016-02-22 alle 13.57.56

Diretto da Tom Hooper, regista del Discorso del re e I Miserabili; il film è stato nominato quattro volte ai premi Oscar tra l’altro come migliori costumi, grazie al lavoro dello spagnolo Paco Delgado (con cui Hooper aveva lavorato nei Miserabili) che basandosi sui quadri dipinti da Gerda, sui creatori di moda più famosi del periodo e sulla società di Copenaghen e di Parigi degli anni venti, ha saputo raccontare magistralmente tramite i costumi, questa commovendola  storia.

Lili_Elbe_by_Gerda_Wegener

La bellezza dei costumi di questo film non è racchiusa, nell’ esecuzione filologica e fedele al periodo di riferimento, anche perché spesso nel film si vedono silhouette che non corrispondono agli anni venti; ma risiede tutto nel  riuscire a raccontare i personaggi dall’interno,  ciò che provano si riflette all’esterno e questo il caso di Einar, nella sua trasformazione in Lili, ma anche in Gerda, nel suo conflitto interno, nella sua affermazione come artista.

Schermata 2016-02-22 alle 14.26.18

Einar all’inizio del film compare con completi scuri, colletti rigidi, che sembrano a loro volta una sorta di prigione autoimposta; quando Lili viene alla luce, lo fa scegliendo abiti molto femminili, quasi seguendo un cliché, perché deve capire chi è lei, come è, cosa le piace.

Eddie-Redmayne-Einar-Wegener-Danish-Girl-Movie-2015

2702A30A00000578-3012725-The_great_Dane_Eddie_Redmayne_was_seen_on_the_set_of_his_upcomin-a-1_1427380558076

Quando la coppia si trasferisce a Parigi, tutto cambia, Einar veste con completi neutri e fluidi che evidenziano una trasformazione già avviata, come se avesse iniziato ad accettare la convivenza di Einar e Lili nello stesso corpo.

 Photo from Vantagenews.co.uk

foto dal sito Vantagenews.co.uk

Quando è Lili a prendere il commando, i suoi abiti riflettono più consapevolezza e allegria con toni caldi e stoffe fluide che danno quel senso di libertà che prima non c’era, lei comincia ad avere un carattere più definito, a sapere cosa vuole.

d95f08f85dce8f6aa4af0481972f95fd

Per i suoi abiti, Paco si è inspirato alla “robe de style” (creata da Jeanne Lanvin nel 1921 dove si segue la silhouette tipica degli anni venti con la vita scesa, ma riprendendo le forme del panier settecenteschi, la gonna si apre sostenuta da altre sottogonne in una foggia molto femminile) che gli di da un tocco più teatrale.

tumblr_inline_o0zpejjyoZ1qirla5_1280

Anche Gerda cambia il suo aspetto, nonostante il dramma che vive nella sua vita privata, professionalmente si sta affermando sempre di più, inizia a essere molto conosciuta nell’ambiente, per ciò i costumi non potevano non inspirarsi a Coco Chanel, che vedeva la donna come un essere libero, indipendente e sportivo.

Schermata 2016-02-23 alle 12.56.32

tumblr_nls4h7iyCa1tf7goeo6_400

 Degni di nota sono anche i costumi di Ulla, la loro amica che Paco ha pensato di vestire con un tocco molto orientale, una esplosione di colori ispirati a Paul Poiret, re indiscusso della moda agli inizi del secolo, ma con un tocco più moderno e adatto agli anni venti.

??????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????

1280x720-QyG

Ana Muraca

 

Il guardaroba della regina Maud di Norvegia

$
0
0

Oggi parliamo di un guardaroba molto interessante, quello della regina Maud di Norvegia (1869-1938), che si distinse per il suo stile elegante e raffinato e che ci mostra uno squarcio della moda regale tra la fine dell’800 e gli anni trenta del novecento.Principessa inglese, nipote della regina Vittoria, nel 1896 sposò suo cugino, il principe Carlo di Danimarca, secondogenito del futuro re della Danimarca Federico VIII e che nel 1905 diventerà inaspettatamente re della Norvegia.

queen maud of norway 1896

Regina Maud

Nel 1991, quando il suo unico figlio, il Re Olav morì, tutto il guardaroba della regina Maud, fu donato al Museum of Decorative Arts and Design, permettendoci di conoscere questi meravigliosi abiti che oggi vi raccontiamo.

Tra capi donati non c’era purtroppo il suo abito da sposa, ma lo possiamo vedere in alcune fotografie, dove è evidente che rientra pienamente nei canoni dello stile vittoriano, ovvero un abito bianco dove il decolté, l’orlo e lo strascico sono decorati con dei fiori, a completare il tutto, un velo in pizzo e una tiara.

La principessa Maud con suo marito il principe Carlo di Danimarca nel giorno delle loro nozze nel 1896

La principessa Maud con suo marito il principe Carlo di Danimarca nel giorno delle loro nozze nel 1896

Realizzato in satin di seta rosa con collo e maniche lunghe e cintura nera, questo è uno dei suoi primi abiti da donna sposata e come vedremo, il rosa sarà spesso presente nel suo guardaroba.

Abito realizzato da Madame Leonie Duboc, 1896, presso il Museo Nazionale di Arte, Architettura e Design

Abito realizzato da Madame Leonie Duboc, 1896, abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

Nel 1897, il principe Carlo e la principessa Maud parteciparono al famoso ballo in maschera della Marchesa di Devonshire, uno degli eventi più sfarzosi del giubileo di diamante della Regina Vittoria.  La principessa Alessandra, si era vestita come Margherita de Valois( la moglie di Enrico IV) e Maud insieme a altre donne si mascherarono come dame di corte .  L’abito di Maud fu realizzato da Morin-Blossier in un satin di seta rosa con un’applique di organza di seta e decorato con paillettes colore argento, perline dello stesso colore e strass.

4a1eecc84eb60cc73140546e9658d80b

Abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

Principessa Maud, Principe Carlo e Principessa Vittoria del Gales 1897

Continuiamo con lo splendido abito usato per la sua incoronazione, è stato realizzato in lamé dorato fatto a mano a Lyon, con maniche di pizzo e un ricco ricamo in filo metallico a forma di fiori e fiocchi con perline dorate, perle artificiali e strass. L’abito è in stile principessa (un’altra costante del suo guardaroba). A differenza del tradizionale abito d’incoronazione norvegese che includeva il leone araldico, quello di Maud è completamente privo di ogni simbolo, piuttosto richiamava quello che sua madre, la regina Alessandra, indossò il giorno della sua incoronazione come regina del Regno Unito e imperatrice dell’India nel 1901.

bbf12e8cc23bebdc5d5dc2a2bdc2bf29

d48704b2014ff0467222d7b77fcf6041

Abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

da42402a66835987319fd4a6dafc4e09

Dopo questo momento Maud, ha dovuto cambiare tutto il suo guardaroba per seguire al meglio il suo nuovo ruolo da regina.  I suoi innumerevoli impegni prevedevano un cambio d’abito almeno quattro volte al giorno.

Lafferrière fece diversi abiti per la regina Maud, come questo del 1909 in satin di seta verde ghiaccio, sul davanti c’e un drappeggiato asimmetrico sulla sinistra che cade deliziosamente con un ricamo di fiori e foglie, le cui dimensioni aumentano man mano si arriva all’orlo inferiore.

Nel periodo tra il 1905 e il 1910, tutti gli abiti da festa della regina hanno lo stessa tipologia: una vita stretta, scollature quadrate e profonde e delle gonne con strascico, inoltre hanno tutti lo stesso taglio principessa che allungava la figura, segno che la minuta e piccola Maud, sapeva bene cosa gli stava meglio.

8e38bb6ac92890ff0c80304610d2e4ed

Abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

 

Dal sito http://godsandfoolishgrandeur.blogspot.it

Dal sito http://godsandfoolishgrandeur.blogspot.it

Qui invece vediamo un abito della maison Worth, che ha una storia particolare; sembra che Maud avesse chiesto una modifica nella parte superiore, egli lo voleva più affusolato, forse per differenziarsi da sua cugina, la regina Vittoria Eugenia di Spagna che ne possedeva uno uguale.

tumblr_m67nv9vLgj1qf46efo1_1280

Abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

4708167794_133528ecc4

Fotografia della regina Ena, cugina di Maud nell’abito di Worth, insieme all’abito originale

In questi abiti possiamo osservare come la moda sta rapidamente cambiando, qui siamo tra il 19010-13; il vitino da vespa di 46 centimetri di Maud è sparito sotto questi abiti privi di corsetto dalle stoffe più fluide.

122da1fc3433ba36e2ba2300903ab765

Abiti conservati al National Museum of Art, Architecture and Design

Questi invece sono degli anni venti dove nonostante l’età della regina (all’epoca aveva circa cinquant’anni), lo stile del decennio sta divinamente nel suo esile corpo.

1918 -1920, al National Museum of Art, Architecture and Design

1918 -1920, al National Museum of Art, Architecture and Design

1929 al National Museum of Art, Architecture and Design

1929 al National Museum of Art, Architecture and Design

Questo abito del 1923 ha una chiara inspirazione egiziana, motivo decorativo in voga all’epoca dopo che era stata scoperta la tomba di Tutankhamun nel 1922.

Web_OK-1991-0183

Abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

Maud fu sempre una donna sportiva, lo si vede nelle numerose fotografie che ritraggono lei e suo marito praticando equitazione o attività invernali.

9287cc71aca63e83246d923e6d07f13d

Insieme conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

Queen Maud of Norway

 Il meraviglioso abito dell’incoronazione del suo nipote Albert Frederick Arthur George come Re Giorgio VI del Regno Unito nel 1937 è in lamé dorato con una leggera sfumatura di rosa pallido, l’elemento rosa continua nelle maniche di chiffon che sono state ricamate con perline dorate e orlate da una frangia dorata.  La gonna dell’abito è stata tagliata a sbieco e finisce con un lungo strascico.

592674aec5b21ea7f3bb7c800d0e6270

Abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

a3dcc4d3172067af9ceb5b7724a00cd7

Questo è uno degli ultimi abiti da lei indossato, creato dalla Maison Worth nel 1938, è un abito da cena, utilizzato non solo in occassioni sociali ma anche semplicemente per cenare in compagnia del marito, giacchè il re e la regina solevano cambiarsi e abbigliarsi elegantemente ogni sera prima di cena.

c647daae1110831314e4bc7fda3be5ca

Abito conservato al National Museum of Art, Architecture and Design

Come abbiamo visto, il guardaroba della regina Maud è degno di nota, non solo per la bellezza dei suoi abiti o perche comprendono un periodo di circa 50 anni in cui la moda è cambiata tanto, ma anche perchè Maud aveva uno stile proprio, molto personale, lo dimostrano i diversi disegni, oggi custoditi al Victoria & Albert Museum di alcuni degli abiti che le erano stati proposti dai vari stilisti dell’epoca, ma che somigliano ben poco a quelli effettivamente realizzati, grazie alle innumerevoli modifiche che la regina chiedeva di fare.

Ana Muraca

Bibliografia e Sitografia:

“Style and Splendour: The wardrobe of Queen Maud of Norway”

http://harriet.nasjonalmuseet.no/draktgallerier/dronning-maud/

http://trondni.blogspot.it/2012_07_01_archive.html

http://bellezza-storia.livejournal.com/114714.html

http://godsandfoolishgrandeur.blogspot.it/2013/10/queen-maudes-dresses.html

http://www.sickpupsnot.org/vict_albert/vaQueenM.html

http://digitaltmuseum.no/021095499093?page=20&query=maud&pos=468

http://fashionismymuse.blogspot.it/2009/04/wardrobe-of-queen-maud-of-norway.html

http://www.theroyalforums.com/forums/f189/style-and-splendour-queen-maud-of-norways-wardrobe-exhibition-14061-3.html

Per vedere altre immagini visita il nostro board “Queen Maud” su Pinterest

 

 

 

Robe de Style

$
0
0

Tutti noi conosciamo la silhouette androgina degli anni venti e riconosciamo in Coco Chanel la sua maggior promotrice, ma pochi sanno che questo stile non fu l’unico ad avere un certo successo durante quel periodo.

 In effetti, già durante la prima metà degli anni venti, si tracciavano ben due linee guida nella moda: la prima, era quella chiamata “Alla garçone”, mentre l’altra proponeva un’alternativa più legata alla tradizione, alla storia e sicuramente molto più femminile, sto parlando della “Robe de Style”.

74ce29adaee8019118207227d0d92211

Chanel 1926, fotografia dal sito: pinimg.com/originals

9504dca043fba5731ac852e66a4c834c

Robe de style, 1928, fotografia dal sito: www.flickr.com/photos

Questa tipologia d’abiti sembravano ispirati a una soffice nuvola di zucchero filato, pieni di nastri, ricami e pizzo; essa era in linea con le tendenze del decennio precedente con l’utilizzo di tessuti morbidi, stoffe sovrapposte e talvolta anche con un tocco esotico, ma proponeva come novità una silhouette diversa presa in prestito dai vestiti settecenteschi.  Un abito identificato con il nome di “robe de style” era aderente nella parte superiore con la vita nel suo punto naturale, mentre la gonna la cui lunghezza variava dai polpacci alla caviglia, diventava ampia e ondulante grazie al panier (proprio come nel XVIII secolo).

89b5dccc0259a8cf57dda25d4444c04a

1927 Robe de style al Philadelphia Museum of Art.

432e7dc29a1f7e877932fe25f6dcc3ac

Foto dal sito: whitakerauction.smugmug.com

56937277f00971e77a6cbfe32997b684

Panier , foto dal sito: edwardianpromenade.com

Data la natura dell’abito, esso era indossato sia di giorno che di notte durante gli eventi speciali che richiedevano una certa eleganza, da una cena a un ricevimento, da un matrimonio fino alla presentazione a corte; naturalmente cambiavano le decorazioni, le stoffe e i colori.

6b318bf645a112ede72bb0536e663a58

Abito di Corte, Boue Soeurs robe de style, fotografia dal sito: http://www.julierosesews.com/

93b4b07f047d8292d80a5db32bc91231


Clara Bow fotografata in abito da sposa da Eugene Robert Richee, 1929. Fotografia dal sito: http://miss-flapper.tumblr.com

Robe de Style, 1922, Jeanne Lanvin, al Metropolitan Museum

Robe de Style, 1922, Jeanne Lanvin, al Metropolitan Museum

La “robe de style” fu molto ben accetta sopratutto dalle donne a cui proprio non donava lo stile più geometrico proposto da Chanel; dalle tradizionaliste, ma anche da donne di tutte le età giacche era più benevolo con il corpo femminile. Negli stati Uniti fu rappresentato da Tappé, a Londra, da Lucile e a Parigi da Paquin, dalle sorelle Callot ma soprattutto da Jeanne Lanvin che ne fece il simbolo della sua Maison.

Ana Muraca

Bibliografia e sitografia:

“Fashion since 1900” Valerie Mendes / Amy de la Haye, Thames & Hudson, Londra, 2010

http://blog.fidmmuseum.org/museum/2009/07/robe-de-style.html

http://www.kci.or.jp/archives/digital_archives/detail_237_e.html

http://www.metmuseum.org/collection/the-collection-online/search/157340

http://www.edwardianpromenade.com/fashion/the-robe-de-style/

http://historiadelamodaylostejidos.blogspot.it/2015/02/le-robe-de-style.html

 

Il Bob che segnò la svolta

$
0
0

Caratteristico delle flapper degli anni venti, il bob è insieme all’accorciamento della gonna, l’abolizione del corsetto e la semplificazione dell’abbigliamento, un segno inequivocabile di libertà.  Molte donne tagliarono i propri capelli cercando di lasciarsi alle spalle il lungo e pesante passato di costrizioni e privazioni dei propri diritti, per prendere piena coscienza di sé e farsi valere.

Per secoli, i lunghi capelli delle donne furono un marchio di femminilità, è noto come le donne inventarono numerose metodi e trucchi per avere splendidi capelli, come la stessa principessa Sissi, cosi fiera e ossessionata dai suoi lunghissimi capelli da dedicare loro una intera giornata per lavarli con tuorli d’uovo e cognac.

Principessa Sissi

Principessa Sissi

L’ingresso delle donne all’educazione superiore e alle professioni tradizionalmente maschili, inizio durante gli anni novanta dell’800, e già allora si vide il primo bob, quello dell’attrice francese Polaire, ma ancora i tempi non erano maturi e il gesto di tagliarsi i capelli fu visto come volgare e non ebbe seguito; nel 1908 Poiret decise di far tagliare i capelli alle modelle per la presentazione della sua collezioni a Parigi; l’anno successivo, arrivò Antoine, un parrucchiere polacco molto noto nell’alta società parigina per le sue doti, che tagliò i capelli dell’attrice Eve Lavalliere alla quale seguirono altre attrici.

Antoine de Paris, foto dal sito: http://www.expatica.com/fr

Antoine de Paris, foto dal sito: http://www.expatica.com/fr

La guerra accelerò il processo di cambiamento, giacché furono le donne a svolgere lavori maschili e si occuparono completamente dalle loro famiglie e questo richiedeva un abbigliamento più semplice e comodo, ma anche un nuovo taglio di capelli, più pratico e facile da portare e che evitasse che le lunghe chiome finissero impigliate in qualche macchinario industriale, come effettivamente era successo.

Donne che si fanno il bob dal barbiere nel 1920, foto dal sito: http://www.smithsonianmag.com

Donne che si fanno il bob dal barbiere nel 1920, foto dal sito: http://www.smithsonianmag.com

Un’altra donna che popolarizzò il bob nel 1914, fu la ballerina Irene Castle, che in coppia con il marito fece spettacoli in tutta Europa e in America; fu lei stessa a raccontare che dovendo affrontare un’operazione di appendicite e volendo evitare che qualcun altro dovesse pettinare i suoi lunghi capelli, decise di accorciarseli in un bob.  Fu lei a rendere finalmente accettabile e rispettabile il bob, almeno in America.

Vernon e Irene Castle, foto dal sito: http://vintagedancer.com

Anche il cinema contribuì notevolmente alla diffusione del bob, nel 1916 esce nelle sale cinematografiche il film “Joan The Woman”, che raccontava la storia di Giovanna d’Arco, con Geraldine Farrar che mostrava i suoi capelli accorciati in un bob, diventando il sogno dei soldati durante la prima guerra mondiale; e nel 1917 fu il turno del film Cleopatra, con Theda Bara, in cui anche lei mostrava i suoi capelli corti.

Locandina del film "Joan-the-Woman" del 1916, fotografia dal sito: movieworld.ws

Locandina del film “Joan-the-Woman” del 1916, fotografia dal sito: movieworld.ws

La stessa Gabrielle Chanel cambiò radicalmente look nel 1916 adottando la moda dei capelli corti ormai molto diffusa nel mondo bohemien.

Fotografia di Gabriele Chanel, foto dal sito: pleasurephotoroom.wordpress.com

Fotografia di Gabriele Chanel, foto dal sito: pleasurephotoroom.wordpress.com

Dopo la guerra, le donne avevano raggiunto il diritto al voto, erano economicamente indipendenti ed emancipate; i tempi erano finalmente maturi e i lunghi e femminili capelli divennero un simbolo del passato, dell’oppressione, mentre i capelli corti rappresentavano l’indipendenza e la parità dei sessi.

Non tutti i bob erano uguali, alcuni erano più severi e corti come il “shingle bob” o l’”Eton crop”, i preferiti dalle flapper che volevano chiamare l’attenzione somigliando il più possibile a un uomo con questi tagli molto maschili ( come Josephine Baker e Louise Brooks), mentre altri erano più lunghi e femminili.

I diversi stili di bob, fotografia dal sito: Vintagedancer.com

I diversi stili di bob, fotografia dal sito: Vintagedancer.com

1925 Louise Brooks, foto dal sito: deedoolife.blogspot.com

1925 Louise Brooks, foto dal sito: deedoolife.blogspot.com

Josephine Baker, 1928-1930, fotografia dal sito: www.huffingtonpost.com

Josephine Baker, 1928-1930, fotografia dal sito: www.huffingtonpost.com

Oggi, può sembrare banale la domanda (faccio il bob o no?) ma all’epoca era una questione fondamentale che fu ampiamente discussa su giornali e riviste; essa definiva non chi sei, ma chi volevi essere, una donna che continua con la tradizione, che rispetta le regole o una donna che vuole assaggiare la libertà, che non è più disposta a seguire imposizioni.

Immagine di ragazza per bene negli anni 20, fotografia dal sito: losclaustros.blogspot.ie

Immagine di ragazza per bene negli anni 20, fotografia dal sito: losclaustros.blogspot.ie

Zelda Sayre Fitzgerald (1900 - 1948), fotografia dal sito: under-cloudy-sky.blogspot.co.uk

Zelda Sayre Fitzgerald (1900 – 1948), fotografia dal sito: under-cloudy-sky.blogspot.co.uk

Anche se la questione poteva non essere così drastica, molte donne sommerse dall’indecisione, optavano per soluzioni temporanee come quella di raccogliere i capelli in modo da emulare il bob; uno stile molto famoso all’epoca fu quello che prevedeva di dividere i capelli e raccoglierli come se fossero un paio di cuffie sopra le orecchie, tale stile fu conosciuto come “earphones” e fu molto popolare all’inizio degli anni venti per poi essere dimenticato a metà del decennio. (foto di Natacha Rambova su pinterest). Un’altra soluzione fu quella di utilizzare dei posticci o una parrucca.

Natacha Rambova, foto dal sito: classicfilmheroines.tumblr.com

Natacha Rambova, foto dal sito: classicfilmheroines.tumblr.com

Con l’arrivo del 1929 e la caduta della borsa tutto cambiò, nell’area si sentiva la crisi e l’ormai inevitabile mutamento dei tempi, le donne iniziarono a lasciar crescere  i loro capelli dando vita al nuovo stile degli anni trenta.

 

Ana Muraca

Sitografia:

-https://books.google.it/books?id=p3Du-PlmugEC&pg=PA66&lpg=PA66&dq=Eve+Lavalliere+bob&source=bl&ots=zLPRMlV013&sig=ZGQlLQD6oUFHXsm6ZX4CGsHu0YE&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwje3YDRtqLLAhVE_Q4KHaShCG8Q6AEIPzAI#v=onepage&q=Eve%20Lavalliere%20bob&f=false

In Copertina: Gerda Wegener ( la moglie di Einar Wegener, del film “The Danish Girl“)-  Fantasio – 1925 – Cheveux Courts.

Viewing all 216 articles
Browse latest View live




Latest Images

Pangarap Quotes

Pangarap Quotes

Vimeo 10.7.0 by Vimeo.com, Inc.

Vimeo 10.7.0 by Vimeo.com, Inc.

HANGAD

HANGAD

MAKAKAALAM

MAKAKAALAM

Doodle Jump 3.11.30 by Lima Sky LLC

Doodle Jump 3.11.30 by Lima Sky LLC